di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Già abbiamo scritto de “valore e limiti” del Rapporto Draghi e della sua interessante analisi nelle 397 pagine, https://www.eunews.it/2024/09/09/il-rapporto-draghi-in-italiano/, ma non si può non prendere atto che altri economisti (oltre al nostro noto banchiere) hanno messo in luce, in anni passati, del rischio di una Europa che si fosse limitata a costruire un grande mercato comune che non potesse sfruttare adeguatamente i vantaggi in quanto mancava il soggetto politico Europa, che sapesse guidare il suo sviluppo tecnologico ed industriale. E di una Europa costruita sulla moneta e la finanza e non invece su valori comuni che, alla lunga, sono le basi su cui cresce o frana qualsiasi comunità umana (i soldi, per fortuna, non sono ancora tutto).
La “lezione” della storia non è stata capita e la Commissione procede ad un ulteriore allargamento a 10 paesi dei Balcani, semprechè alle elezioni del 2025 in Germania non crolli anche la CDU (oltre agli ai partiti “semaforo” che ora governano in modo disastroso) sotto la guida del neo candidato premier Friedrich Merz, un ultra conservatore e rigorista che si opporrà a qualsiasi debito comune che Draghi vuole (che non sia quello per il riarmo).
Proseguire in questa politica si fa la fine del vaso di coccio tra due vasi di ferro (Usa e Cina), come è puntualmente avvenuto, e più si allarga la compagine ad altri Stati (oltre ai 10 Balcani, l’Ucraina), più si rende difficile la formazione di un soggetto politico.
L’Europa ha bisogno di “più politica” non di “più economia” o più allargamento. L’obiezione è però che l’Europa che abbiamo è questa e che dobbiamo fare i conti con la realtà e non con i sogni (Europa federale delle origini, Europa del welfare), che è la Commissione Europea che governa (con il Consiglio degli Stati) e che ci troviamo di fronte al fatto che Germania e paesi frugali (Nord) non vogliono fare debito comune e che la nuova austerità fiscale lascia pochi margini per un grande “new deal europeo” nei settori strategici. Eppure tempo per temporeggiare non c’è più, dal momento che è stato fatto saltare in aria in Europa il modello “tedesco” (che trainava parte dell’Europa e l’Italia del Nord) con i bassi prezzi delle materie prime russe ed export in Cina e, se si continua così, ci attendono impoverimento, più disuguaglianze e rivolte popolari.
Nel mondo è invece stato fatto saltare il modello di governance delle Istituzioni mondiali (FMI; Banca mondiale, OCM,…) con la lotta geopolitica avviata dagli Stati Uniti con il cambio di governo in Ucraina nel 2014 e a cui si stavano però già preparando Cina e Russia (con gli altri Brics) dal 2009. Questi paesi hanno deciso in quell’anno di “mettersi in proprio” (non accettare più il dominio Usa sul mondo) e si sono preparati per un decennio ad uscire allo scoperto (Russia inclusa che lo lo ha fatto militarmente con l’invasione dell’Ucraina del 2022). La Cina si è dedicata alla costruzione di un’ampia rete mondiale di paesi ed oggi i BRICS hanno la maggioranza nel mondo in termini di popolazione, pil e controllo delle materie primi critiche e, con la Russia, la stessa forza militare e nucleare dell’Occidente.
E’ quindi evidente che il declino Usa è iniziato e proseguirà (comunque vadano le prossime elezioni Usa) e questa Europa finirà stritolata tra Brics e Usa. Di tutte queste cose (centrali) il rapporto Draghi non parla.
Condividiamo che solo l’Europa e non i singoli Stati può avere la soglia critica per stare nel mondo, ma questa Europa troverà un limite anche nella produzione digitale, perché per utilizzare sistemi di Intelligenza Artificiale e far funzionare i data centre serve un elevato consumo elettrico, i quali assorbono attualmente il 2,7% della domanda elettrica in Europa, ma si stima che il loro consumo fra sei anni sarà enorme (28%, a proposito di sviluppo sostenibile). Ovviamente il paese più in difficoltà sarà l’Italia.
Non si può non riconoscere così ciò che dice Draghi e cioè che il divario tecnologico con Cina e Usa si sta ampliando in modo preoccupante, che manchiamo di “campioni europei” e che l’importazione di materie prime critiche sta portando l’Europa ad una dipendenza sempre più forte e che manchiamo di energia ed elettricità a buon prezzo, costando 5 volte quella degli Stati Uniti. Non è quindi sbagliato introdurre incentivi statali-europei per acquistare materie prime, beni e servizi europei (cose che per la logica del liberismo erano fino a ieri una eresia ma che Usa e Cina fanno da tempo), favorire e aggregare imprese europee che possono creare occupazione di qualità, sostituire importazioni e, nel lungo periodo, affermarsi, individuando quei settori strategici che possono diventare leader mondiali nel lungo periodo.
Draghi non dice però come si finanziano gli 800 miliardi di cui parla perchè dovrebbe dire che ci vogliono, insieme al “debito buono” più tasse (come quelle per le grandi imprese multinazionali su cui lavora il G20 prossimo a guida Brasile e poi SudAfrica) e ritornare alla tassazione progressiva nei nostri democratici Stati. Tralascio il fatto che avendo rotto i rapporti con la Russia, l’abbiamo gettata nelle braccia della Cina, che abbiamo perso un partner per avere bassi costi energetici e che oggi puntare sul riarmo militare significa ridurre il welfare, mentre è condivisibile puntare sulla transizione energetica, ma bisognerebbe poi includere l’enorme settore dell’offerta dei beni pubblici europei (salute, scuola, acqua, grandi infrastrutture, trasporti pubblici, energia & rinnovabili, prevenzione dei danni del cambiamento climatico, riforestazione, alloggi popolari di qualità, immigrazione legale e transizione al lavoro).
Non è vero che si può vendere e porta sviluppo solo l’Intelligenza Artificiale e il Digitale e che i beni pubblici (di cui parlo) non sono vendibili. Anzi, in un mondo e paesi emergenti che hanno bisogno come il pane di beni essenziali, sarebbero di grande vendibilità e qualificherebbero l’Europa come un’area che lavora e commercia sulla qualità della vita e la propone e non come un grande mercato di meri consumatori, appendice di quello americano anche come stile di vita. Anche perché tutti gli indicatori che contano (anni di buona salute, comunità, relazioni, qualità della vita,…) volgono al basso in Occidente. E non è strano che la maggioranza dei Brics e dei paesi emergenti non voglia seguirci.
In questi settori si potrebbero costruire campioni europei con logiche pubbliche. Ma questo significa che queste aziende devono essere nella piena disponibilità dei Governi (e dei cittadini) e non muoversi secondo logiche privatistiche, anche se gli Stati (come nel caso nostro di Enel ed ENI) ne sono azionisti di maggioranza. Ma oggi è tutto “finto”, in quanto le logiche che muovono i manager delle aziende pubbliche non sono in realtà quelle pubbliche di lungo periodo, che premiano occupazione, attente all’equilibrio territoriale, ai prezzi bassi ai clienti) ma quelle privatistiche della remunerazione del capitale e degli azionisti che hanno una logica di breve periodo, nessun interesse per l’occupazione, tantomeno per l’equilibrio territoriale e l’ambiente (se non come opportunità di altro business).
Se invece l’Europa investisse su beni pubblici governati dagli Stati e dall’Europa creerebbe investimenti di lungo periodo (anche raccogliendo risparmio privato) in cui gli obiettivi sono prezzi bassi per i consumatori, occupazione, beni di qualità e di grande durabilità, certamente vendibili anche all’estro, com’è stato per decenni anche per Enel ed Eni negli anni 1992-93 quando l’Italia poteva permettersi di avere l’elettricità al costo più basso in Europa e gli interessi di queste imprese non erano quelli di “remunerare gli azionisti”, ma di investire nel lungo periodo, come fece anche Mattei. Enel era totalmente in mano allo Stato, era la prima società al mondo per clienti, terza per energia elettrica prodotta e gli italiani avevano i prezzi più bassi in Europa. Idem per Eni che ci garantiva i prezzi più bassi del gas d’Europa. E sono state proprio le logiche della concorrenza accettate dalla Ue che ci hanno portato all’attuale disastro.
Sarebbe tutt’altra Europa che si muove con un’ottica di pace nel mondo e ha in mente un modello di sviluppo che fa molto bene al resto del mondo, in quanto questi popoli cercano di entrare in possesso dei beni essenziali per vivere: energia a basso prezzo, acqua, casa, lavoro, salute, scuola e non diventare meri consumatori di cianfrusaglie di imprese americane e cinesi.