di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Più interessante delle proposte è l’analisi delle cause del declino dell’Europa nel Rapporto Draghi (https://www.eunews.it/2024/09/09/il-rapporto-draghi-in-italiano/). La produttività pro-capite (fatto =100 quella degli Stati Uniti) è cresciuta in modo costante nel dopoguerra, salendo dal 40% degli anni ’50 fino al 95% nel 1995; oggi è scesa al 70%1. “Su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000, ma è anche vero che le famiglie dell’UE risparmiano di più rispetto a quelle statunitensi e la loro ricchezza è cresciuta di un terzo dal 2009”, anche se poi discernendo per decili di reddito Draghi scoprirebbe che solo il 20% delle ricche è cresciuto. In ogni caso non sarebbe drammatico mantenere questo livello di benessere se potessimo rinunciare a guerre e inquinamento in un mondo di pace, dove c’è una cooperazione multilaterale. E ciò vale in particolare per l’Europa che come dice lo stesso Draghi “tra il 2000 e il 2019, ha accresciuto la sua quota del commercio internazionale sul PIL dal 30% al 43%, mentre negli Stati Uniti è passata dal 25% al 26%. L’apertura commerciale ha fatto sì che l’Europa potesse importare liberamente i beni e i servizi di cui era carente, dalle materie prime alle tecnologie avanzate, esportando al contempo i prodotti manifatturieri in cui era specializzata, in particolare verso i mercati in crescita dell’Asia”. Se c’è qualcuno che beneficerebbe da un mondo multilaterale e di accordi con Cina, Russia e Brics è proprio l’Europa. Basta leggere quanto dice lo stesso rapporto Draghi sulle materie prime critiche: “gran parte dell’estrazione e della lavorazione è concentrata in Paesi con cui l’UE non è strategicamente allineata. Ad esempio, la Cina è il più grande trasformatore di nichel, rame, litio e cobalto, con una quota compresa tra il 35 e il 70% dell’attività di lavorazione” e senza queste materie prime nessuna innovazione tecnologica sarà possibile. (https://www.eunews.it/wp-content/uploads/2024/09/FIG2-CAP4.jpg).
Per noi seguire gli Stati Uniti significa finire in un baratro, in quanto per motivi di “alleanza” dobbiamo rinunciare a queste materie prime a basso prezzo, ai mercati esteri di questi paesi per noi vantaggiosi, per “spirito di servizio”. E ciò spiega i numerosi premi che gli Stati Uniti danno a Draghi come ottimo servitore. Draghi ammette che “la globalizzazione ha esacerbato le disuguaglianze”, che il reddito da lavoro è calato del 6% nei paesi del G7, che le differenze si sono accentuate tra città, tra città e campagne e periferie e “che i governi sono stati visti come indifferenti”. Ma poi non c’è nessuna proposta nel merito. Che dire? Belle parole di un drago incantatore di serpenti.
Se c’è declino rispetto agli anni ’80 e ’90 (prima dell’unificazione europea) vuol però anche dire che abbiamo sbagliato qualcosa di grosso (e Draghi è stato uno degli artefici come Banca Centrale che non ha neppure l’occupazione tra i suoi obiettivi, come pure ha la Federal Reserve), ma su questo punto nulla si dice perché significherebbe criticare gli Stati Uniti che ci hanno usato come un “mero mercato”. Draghi propone di salvare l’Europa dal suo declino in quanto così procedendo non saremo più in grado di continuare a garantire gli attuali livelli di benessere e aumenterebbero gli esclusi. Il futuro, quindi, appare fosco, specie per i poveri e meno abbienti e si profila quindi un’auto distruzione di questa Europa.
Draghi propone una spesa annua con fondi comuni di investimento (750-800 miliardi, pari al 5% del PIl, l’attuale bilancio UE è del 2%) per accrescere la competitività dell’Europa che, lungi dall’essere diventata, come si diceva nel 2000, l’economia della conoscenza più competitiva nel 2010, ha registrato un arretramento rispetto a Stati Uniti e Cina del 20% nella produttività dei principali settori strategici. Da qui gli investimenti pubblici e privati comuni europei in Innovazione (puntare al primato delle batterie elettriche), nella Difesa militare (e ricostruzione dell’Ucraina), tenendo in Europa le produzioni, nell’Energia (che oggi paghiamo 2-3 volte in più degli Usa e il gas naturale 5 volte -60 euro per MWh contro i 12 degli Usa-, con la perdita delle forniture della Russia), nella Decarbonizzazione ed Energie rinnovabili. Draghi propone alleanze tra imprese in modo da formare campioni europei in grado di competere con i principali big (Cina e Usa), anche nel settore industriale e nelle auto evitando de-localizzazioni e acquisto di nostre imprese da parte di stranieri.
“Bello e impossibile” non essendo l’Europa una entità politica ma solo un grande mercato come gli Stati Uniti hanno sempre voluto. E se si vuole decidere a maggioranza, allora bisogna riformare le Istituzioni, avviare una fase costituente democratica e prendersi anche le grane, tra cui la tassazione (No taxation without representation”). Una grande ristrutturazione implica infatti dei “perdenti” (piccole imprese che chiudono, licenziati, territori svantaggiati) che avrebbero bisogno di essere tutelati con una indennità comune europea (che non c’è) e con risorse che dovrebbero derivare da una seria tassazione dei più ricchi (che non si vogliono tassare). E poi il debito comune significa comunque più interessi da pagare che ridurrebbero, stante le politiche restrittive dell’Europa, le spese per scuola, sanità e pensioni.
Insomma un piano da “banchiere che osa”, nel senso di fare debito comune per favorire alcuni settori (ma non scuola e sanità che sono punti di forza nel mondo e che possono tradursi anche in beni vendibili), ma che non si spinge a indicare come tutelare welfare e perdenti e a indicare che per un rilancio l’Europa deve passare dall’essere il più grande mercato dei capitali e delle merci (senz’anima) a una entità politica che scalda i cuori in quanto diventa autonoma, propositiva nel mondo e portatrice di pace (non di guerra).
Che significa più grandi imprese, alleanze transnazionali con processi di concentrazione che porteranno alla chiusura di molte piccole imprese e licenziamenti delle fasce più deboli dei lavoratori. Una volta si diceva “chi paga questa ristrutturazione?”. Non essendo l’Europa uno Stato unitario (come Cina e Usa ma un mero mercato), le conseguenze saranno un ulteriore rafforzamento dei paesi e imprese più forti a discapito degli altri. A parte il fatto che Germania , Francia e i paesi nordici non sono disponibili a fare debito comune, emerge tutta la debolezza di una costruzione europea fatta in funzione degli interessi americani, i quali mentre creavano con fondi sia pubblici che privati i loro monopoli big tech nel digitale, distruggevano le nostre imprese tecnologiche, avendo solo bisogno di aggiungere al loro mercato interno quello europeo2. E ciò spiega l’espansione ad est e la proposta demenziale di integrare prima nella Nato e poi nella UE altri 10 paesi balcanici. Gli Usa sono anche riusciti a diventare gestori globali dei prezzi dell’energia il cui ultimo ostacolo era il basso gas russo che ora compriamo dall’”alleato” a prezzo triplo. Infine la finanziarizzazione anglosassone dell’economia che, come scrive Alessandro Volpi (docente a Pisa) in “I padroni del mondo”, riesce a dirottare gran parte dei risparmi degli europei nei fondi Usa che finanziano la loro crescita.
L’idea di campioni europei sarebbe bella, ma arriva un tantino tardi (si chiude la vicenda dell’Irlanda che ha fatto pagare ad Apple dal 1999 al 2014 meno dell’1% di profitti, anziché il 12,5% che, peraltro, dovrebbe essere redistribuito ai paesi europei che acquistano i prodotti Apple), quando i giochi sono già tutti fatti.
E’ poi evidente che l’Europa ha bisogno non di “più economia”, ma di “più politica”, il che significa diventare indipendente dagli Usa e perseguire i nostri interessi. Finchè non sarà rotto questo nodo gordiano, tutte le proposte sono illusorie o, come quelle di Draghi, possono rafforzare alcune imprese e aree a discapito di altre, creando ancor più malumore e impoverimento, oppure usare il debito comune per il riarmo che appare la proposta più percorribile (le produzioni sono frammentate -12 carri armati contro uno degli Stati Uniti-), ma è anche vero che siamo dopo gli Usa coloro che spendono di più nel mondo e non ci sarebbe affatto bisogno di spendere di più se fossimo indipendenti. Riarmo che sottrarrà risorse al welfare (di cui mai si parla, se non per proporre una privatizzazione e finanziarizzazione delle pensioni).
Se non avviene uno schock esterno (o interno) le prospettive sono quelle di un declino di tutti gli Europei, foriero di grandi convulsioni politiche, perché gli elettori certo non si rassegneranno a impoverirsi e a vivere in perenne guerra e sanno bene quanto eravamo più benestanti e pacifici nel 2° dopoguerra del Novecento.
175mila dollari pro-capite in Usa, contro 55mila in Europa, dovuti per il 70% a maggiore produttività e per il 30% al fatto che gli americani lavorano più ore degli europei.
2 % Pil nel mondo: Usa 26, UE 17, Cina 17. Con l’Europa gli Usa salgono al 43% del Pil mondiale. Fonte: FMI, 2024.