di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Lo psicologo americano Jonathan Haidt ha scritto “La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli” (ed Rizzoli) che sta per uscire anche in Italia, in cui conferma le più fosche preoccupazioni che già altri autori avevano anticipato (Manfred Spitzer, Demenza digitale, ed. Corbaccio 2012, Connessi e isolati, 2018), sugli allarmanti effetti dell’iperconnessione al cellulare: riduzione drastica del tempo dedicato al gioco, calo a picco della capacità di concentrarsi, peggioramento del sonno, sviluppo di una dipendenza simile a quella da slot machine, alcol o droghe. Una disconnessione dalla realtà che li rende molto più soli, meno capaci di osservare, di fare (e farsi) domande, di parlare di fronte a un compagno/a o un adulto (le interrogazioni sono un disastro), ma anche di scrivere perché implica sapersi soffermare a pensare (cosa che col cellulare non si fa più…non si pensa più, solo finti dialoghi bla bla).
Oltre alla catastrofe all’insegna del “w il digitale”, c’è poi un contesto sociale che oggi ci viene rimproverato dai giovani. Lockdown e mascherine hanno limitato per un tempo straordinariamente lungo, la libertà di muoversi, incontrarsi, riconoscersi e oggi conosciamo gli effetti drammatici di quella scelta. Non solo una perdita di apprendimento significativa. Una recente ricerca dell’Università di Washington, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale, ha “fotografato” il cervello dei ragazzi/e (9-17 anni) e fatto emergere come le misure restrittive abbiano provocato un’accelerazione dell’invecchiamento cerebrale di circa 4,2 anni nelle ragazze e di 1,2 anni nei maschi. Risultati visibili nello spessore della corteccia cerebrale, lo strato di tessuto esterno che si assottiglia con l’avanzare dell’età o in caso di forti stress.
“In nessun caso della storia recente una quota così ampia di popolazione è stata tenuta in uno stato di libertà limitata come nel 2020” dice Liliana Dell’Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria. Un trauma di massa che si poteva evitare secondo Sara Gandini, bio-statistica e direttrice Ieo di Milano, che aveva presentato a suo tempo al nostro Governo studi che mostravano come non ci fossero evidenze scientifiche sugli effetti positivi della chiusura delle scuole, come aveva ammesso lo stesso Brusaferro, coordinatore allora del Cts, al ministro Speranza. Solo gli adolescenti svedesi si sono salvati da questa prolungata limitazione delle libertà. Non se ne parla perché, avendo ottenuto poi la Svezia, la minore mortalità in eccesso in tutta Europa dal 2021 al 2024, si dovrebbe ammettere che quelle scelte furono sbagliate, in particolare, per i nostri adolescenti.
C’è poi il contesto di guerre continue, per gli europei anche vicino a casa, e un orizzonte in cui non si intravvedono quei possibili progressi sociali e quei valori umani che animavano le generazioni precedenti e che sono stati anche alla base dello sviluppo eccezionale nei primi 30 anni del dopoguerra, all’insegna di più uguaglianza e più welfare. Più che un mondo multiculturale, più fraterno, più ugualitario, con maggiore welfare le parole che si sentono nel nostro ricco Occidente, sono quelle di perdita di competitività, perdita di produttività, lotta per non perdere il dominio sul mondo, mentre prosegue l’impoverimento sia economico che di valori e il declino delle nostre comunità ora certificato anche dal Rapporto Draghi. Senza considerare i rischi di un conflitto nucleare sempre più vicino per evidenti interessi legati al Dio quattrino.
In questo contesto la scuola potrebbe essere l’agenzia culturale fondamentale che supporta i nostri giovani. Invece naviga indifferente come un Titanic verso un gigantesco iceberg. Il precedente ministro Bianchi aveva lanciato le parole d’ordine di Costituzione, sostenibilità ambientale, cittadinanza digitale, inclusività, scuola affettiva. “Temi più in sintonia con lo spirito del tempo -scrive Carlo Verdelli su Il Corriere della Sera del 10.9.2024- ma rimasti sulla carta”. Il nuovo ministro Valditara ha tolto (giustamente) i cellulari a scuola fino alle medie inferiori (come altri Governi, Gran Bretagna in testa), chiede di tornare a scrivere sul diario, a fare i compiti a casa, piccole giuste idee che non sono certo in grado di cambiare l’impianto di una scuola sempre più afflitta da procedure formali e che vede gli studenti “incatenati” al banco per oltre 30 ore alla settimana col cellulare sotto il banco in attesa di sms o di consultarlo appena possibile. Per non dire di quelle moltissime classi alle superiori che hanno metà studenti (8-10-12) del tutto indisponibili a seguire le lezioni ex cathedra, da cui un abbassamento pauroso dell’apprendimento per tutti.
Docenti che, senza risorse aggiuntive, svolgono sempre più compiti di “ordine pubblico più che insegnare”, che scappano dalle scuole più periferiche e turbolente in quanto impotenti di fronte ad un fenomeno ormai di massa di “indisponibilità a seguire le lezioni” e che dovrebbe essere al centro del confronto dei partiti, delle associazioni, anziché relegato ai margini.
Io insegno Economia e Scultura in un liceo di scienze umane (ad indirizzo Steiner) di Trento. I nostri allievi sono di fatto “selezionati” in quanto chi viene è perché apprezza la pedagogia steineriana che si alimenta di una enorme quantità di apprendimenti da Sperimentazione con laboratori vari (forestazione, dove si sta per una settimana nel bosco a lavorare coi forestali-, pittura, scultura, modellaggio, battitura del rame, cesteria, tessitura, falegnameria e i numerosi viaggi d’arte in Italia), che integrano le materie tipiche da Istruzione (lettere, storia, geografia, astronomia, inglese, tedesco, matematica., fisica, economia), svolte partendo dal vissuto degli adolescenti. Nonostante ciò e pur avendo classi piccole (10-18 studenti) anche noi abbiamo spesso 2-3 ragazzi che faticano a “stare sul banco” tante ore, nonostante ci siano lezioni molto partecipate (capovolte, a coppia, etc.).
Ecco perché quest’anno faremo una sperimentazione in cui sarà offerto agli studenti meno “tagliati” per studiare (quasi sempre maschi) un percorso che li vede impegnati per 4 ore alla settimana in attività manuali e artistiche (al posto delle ore in aula). Per fare questo occorrono enormi risorse sia economiche che di persone competenti. E mi chiedo: “come fanno quelle scuole dove in classe ci sono 25 studenti di cui la metà non vuole studiare?” Questo è il grande problema della scuola italiana. Non si vuole vedere ciò che sta accadendo perché sarebbero necessarie più risorse (soldi e docenti) come ha fatto la Finlandia che ha introdotto la falegnameria al liceo, perché lavorando anche con le mani gli studenti accrescono le loro capacità non solo manuali ma di connessione neuro-cerebrale e di autostima nel creare. Avete idea di quanto costa avere un’aula aggiuntiva dedicata alla falegnameria tra banchi, attrezzatura per 20 studenti e relativo esperto?
Ecco perché non se ne parla, nessuno vuole vedere il Titanic che va verso l’iceberg, né si vogliono tirare fuori i soldi che servono. Per le armi si trovano, ma non per le scuole. La maggioranza poi dei genitori anziché chiedere una scuola diversa, chiedono solo che il proprio figlio/a non sia bocciato. E infatti non si boccia quasi più nessuno. Così chi è di famiglia ricca userà i suoi forti sistemi relazionali per andare avanti nella vita, gli altri si arrangeranno. Un salto indietro alle condizioni della prima metà del Novecento quando solo pochi andavano a scuola. La scuola di massa infatti se non è qualificata non consente di premiare i “meritevoli”, al di là della famiglia di origine, com’è stato per noi anziani nella seconda metà del secolo scorso.