di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Unimpresa, l’associazione delle imprese manifatturiere italiane ha pubblicato uno studio (su dati Bankitalia dal 2018 al 2023) in cui dimostra come la percentuale di profitti che le banche italiane pagano sia del 19,6% a fronte di una media delle imprese e de lavoratori del 42%. Nel 2023 il fatturato (ricavi) delle banche italiane è stato di 102,6 miliardi, dei quali il 60% è legato ai guadagni sull’aumento dei tassi di interesse dovuto alla decisione della BCE (Banca Europea) di alzare i tassi da zero al 5%. Dal 2018 al 2023 le banche italiane hanno pagato in media 3,7 miliardi di imposte a fronte di 86,1 miliardi di fatturato e di 19,2 miliardi di profitti lordi (appunto il 19,6%). “La tassa sugli extraprofitti delle banche (dice Giovanna Ferrara, Presidente di Unimpresa), rappresenta una misura di equità sociale che serve a ridistribuire la ricchezza prodotta nel Paese”.
Le banche si sono adeguate verso coloro che chiedevano prestiti (imprese e famiglie, portandoli al 4-10%) ma si sono ben guardate di aumentare i tassi dei loro clienti risparmiatori (0,4-07%), in tal modo hanno fatto extraprofitti senza svolgere alcuna attività di rischio d’impresa. Le banche prestano senza rischiare, in quanto lo fanno solo a coloro che danno in cambio garanzie reali. Un tempo le banche svolgevano un ruolo importante nell’economia perché raccoglievano soldi da chi non ha idee e le prestavano a chi aveva idee e, ovviamente, potevano anche sbagliare e perdere in tutto o in parte il prestito (cosiddetti NPL, prestiti a rischio). Un’attività che sosteneva l’economia reale, le piccole imprese, gli artigiani, i giovani che avevano idee ma che oggi non si fa più. Se vai in banca infatti e chiedi un prestito devi dare in cambio garanzie reali (casa, patrimoni vari,…) su cui la banca pone una ipoteca. Non gli frega nulla se le tue idee sono buone o cattive (il buon mestiere che una volta facevano i bancari, ragionieri ed economisti sostituiti da matematici e fisici), tanto se non paghi ti portano via la casa. Inoltre dal 1999 con l’abolizione da parte di Clinton della legge Glass-Steagall, che aveva introdotto Roosvelt nel 1933 (dividendo le banche commerciali da quelle d’affari/speculative), tutte le banche possono speculare su tutto ed è questa l’attività principale delle banche oggi in tutto il mondo occidentale, non quella di favorire gli investimenti e l’occupazione sul proprio territorio.
Questa deriva della centralizzazione e concentrazione dei capitali è in realtà un disastro per l’Europa che non è uno Stato sovrano ma un mero grande mercato. In Cina infatti tutto il risparmio dei cinesi finisce nelle banche cinesi; negli Stati Uniti, dove di risparmio privato ce n’è poco (i suoi cittadini sono iper consumisti ed è lì che hanno inventato le rate), si ricorre al risparmio del resto del mondo, sfruttando il potere del dollaro; in Europa dove di risparmio privato ce n’è tanto, esso viene dirottato in gran parte nelle banche e nei fondi speculativi anglosassoni che lo usano per investire nelle loro economie. Ecco perché la finanza è così importante oggi, in quanto è colei che decide a chi dare i soldi e chi far “fiorire” o “morire”. Noi in Europa facciamo fiorire le big tech americane, tanto più procede la concentrazione bancaria in poche grandi banche europee. Ed è significativo l’accordo tra Meloni e Musk e gli altri big tech per far venire in Italia imprese made in Usa che sfrutteranno i nostri ottimi ingegneri a basso costo del lavoro. Il nostro Governo di centro-destra è silente e in grande imbarazzo sulla questione Unicredit-Commerzbank, in quanto si tratta di rompere con la logica del sovranismo, di allinearsi alla logica capitalistica (e americana) delle concentrazioni, di colpire la Germania che è l’unica che si può opporre nel lungo periodo all’americanismo. L’esatto contrario di quanto sostenuto per 20 anni dalla Meloni e FdI.
In Europa l’unico paese che si è parzialmente opposto alla concentrazione delle banche è stata infatti la Germania, la quale ha conservato non solo un ampio settore di banche pubbliche ma anche di piccole banche a favore dei territori, delle sue imprese e dei suoi lavoratori (com’era una volta anche in Italia). Negli altri paesi invece è andata avanti quella concentrazione bancaria a cui è favorevole anche Draghi nel suo rapporto per creare “campioni europei” che si oppongono a Cina e Usa (ma che in realtà sono fuori controllo da parte dei territori, degli Stati e dei propri clienti-risparmiatori-cittadini e il cui scopo è fare soldi per i ricchi).
Così oggi ci troviamo nella situazione che le banche tedesche sono le più piccole in Europa e le banche maggiori in termini di capitalizzazione di borsa sono UBS 97 miliardi (Svizzera) che ha appena assorbito Credit Suisse (l’altra grande banca svizzera), BNP Paribas 70 miliardi (Francia), Santander (Spagna) 65 miliardi, Intesa San Paolo 67 miliardi e Unicredit 59 miliardi (Italia), Credite Agricole (Francia) 45 miliardi. A distanza seguono le tedesche Deutsche Bank 27 miliardi e Commerzbank 14 miliardi. In Germania e Italia l’80% del capitale azionario è controllato dal 2% degli azionisti, negli Stati Uniti dallo 0,2%.
Processo reso più facile dall’abolizione delle leggi Glass-Steagall Act nel 1999 da parte di Clinton che consentirono a tutte le banche di speculare e di diventare sempre più grandi al punto da essere “to big to fail”, cioè troppo grandi per fallire. Se vanno infatti in crisi per azzardi finanziari ci pensa lo Stato a salvarle onde evitare (questa la buona scusa) danni maggiori ai lavoratori dell’economia reale e ai clienti (elettori) di queste banche.
La Germania si era sempre caratterizzata per un sistema bancario solido ed efficace in quanto controllato quasi per metà dallo Stato, dai Länder e dai sindacati che ha svolto un ruolo non indifferente nel suo sviluppo. Ora però l’acquisto del 21% di Commerzbank da parte dell’italiana Unicredit avvenuto proprio dopo la presentazione del rapporto Draghi, ha messo in subbuglio i tedeschi che non sono così disposti a cedere le proprie grandi banche. Unicredit infatti ha fatto capire che vuole crescere in Commerzbank ed è già salita al 21% con una spericolata operazione finanziaria, acquistando l’11,5% di azioni tramite un derivato messo a punto dalla banca inglese Barclays e da Bank of America. Se arriva al 30% avrà il controllo della banca tedesca. I sindacati tedeschi sanno bene che perdere il controllo può significare esuberi di personale anche in Germania. In passato, lo sappiamo bene noi italiani, sono avvenuti nelle “periferie” europee, ma se si vuole essere coerenti con la logica della competizione e del capitale privato, bisogna stare alle regole di mercato dirà la BCE.
L’americanismo di Sholz nel seguire il grande alleato a stelle e strisce sta facendo deflagrare la Germania, della serie “tutti i nodi vengono al pettine” (insieme), dalla crisi dell’auto, ai prezzi alle stelle dell’energia, alla vendita delle banche tedesche, alla conseguente recessione e avanzata dei partiti anti-sistema.
Non vendere una banca è una violazione della legge della concorrenza capitalistica ma anche la dimostrazione che le concentrazioni non fanno così bene ai tuoi occupati, alle tue imprese e ai tuoi territori, in quanto oggi la principale vocazione delle banche è speculativa. Uno scontro tra gli interessi degli occupati, dei risparmiatori e delle imprese tedesche e quelli del grande capitale e della grande finanza (voluta da Draghi), che dimostra che se il capitalismo non viene temperato produce disuguaglianza e concentrazione di potere e di reddito. Cose già scritte da un vecchio con la barba (capitolo X del III libro) morto a Londra il 14 marzo del 1883 a 65 anni.