di Fabrizio Baldassarri. Pubblicato in Il tascabile del 24 ottobre 2024.
Negli ultimi decenni schiere di scienziati hanno cominciato a lavorare con più attenzione a ridefinire le attività vegetali, cercando di stabilire, attraverso esperimenti in laboratorio e trials, alcuni aspetti dell’enorme complessità della vita delle piante, che è spesso irriducibile alla definizione antropocentrica della vita. La concezione antropocentrica della natura contiene infatti una serie di conseguenze logiche problematiche e sbagliate, a partire dalla convinzione che l’essere umano sia padrone e dominatore della natura. Se questa convinzione si è formata completamente tra il Rinascimento e il Seicento, ha acquisito una valenza etica, sociale, politica ed economica solo con la logica di sfruttamento capitalistico, che ha fatto della natura un oggetto per il nostro benessere. Questa logica riguarda non solo le regole economiche ma anche quelle ambientali, perché ha portato a compimento la rottura del rapporto tra essere umano e resto della natura, facendo del primo il dominatore della seconda, e la seconda l’oggetto a disposizione del primo.
L’interpretazione della vita delle piante intreccia però almeno tre discorsi diversi, in primo luogo quello scientifico relativo al comportamento delle piante. Poi quello filosofico della definizione delle piante come soggetto autonomo, come indicato per esempio da Francis Hallé nel suo In difesa dell’albero (2022). Infine quello etico, che riguarda la costruzione di una società nuova e di un ambiente in cui l’essere umano non sia all’apice della piramide, padrone e dominatore di una natura da sfruttare in modo illimitato. Questi tre discorsi devono essere collegati tra di loro, perché a partire dalla consapevolezza della vita delle piante è possibile ripensare le ragioni ecologiche e ambientali in modo più adeguato alla realtà delle cose.
Come si diceva, occorre cambiare prospettiva sulla vita delle piante, cioè sul rapporto tra piante ed esseri viventi, che non è finalizzato alla sola vita degli esseri umani. È pertanto cruciale abbandonare la prospettiva antropocentrica che regola l’analogia pianta-animale, utilizzata dagli scienziati fin dall’antichità per spiegare le funzioni vegetali, dalla sensazione all’intelligenza delle piante, passando per la sessualità vegetale. Questa riduzione antropomorfica non rende merito della diversità delle piante stesse, perché continua a reificarle. La via da percorrere è quella di considerare la radicale alterità delle piante rispetto alla vita animale, espandendo al regno vegetale la riflessione filosofica di Jacques Derrida sul concetto di alterità presente ne L’animale che dunque non sono (2002). Sulla scia della denuncia derridiana dell’uso delle metafore animali per descrivere esseri umani stupidi o folli (la radice della parola francese bêtise è bête, “bestia”), Derrida applica questa stessa lettura al caso delle piante.
Se questa linea interpretativa di una differenza tra piante e animali è dominante nel corso dei secoli, e costruisce una metafisica della natura sulla distinzione e separazione tra i regni al cui apice della scala naturale sta l’essere umano, l’idea presocratica di una unità tra animali e piante resta sottotraccia nella cultura europea. Nel corso del Rinascimento, diversi autori ripetono l’interpretazione platonica delle piante come uomini capovolti, sottolineando un’unitarietà vitale e naturale che la distinzione aristotelico-scolastica aveva distrutto. In molti casi, si pensi alla teoria delle segnature secondo cui la somiglianza tra un vegetale e una parte del corpo animale indicherebbe un legame terapeutico tra i due corpi, questa identità si mantiene però ridotta agli usi più o meno segreti delle piante, che sono ancora considerate meri oggetti da sfruttare.
L’alterità e la complessità della vita delle piante è al centro di Essere una quercia (2021) di Laurent Tillon, che descrive tale complessità dalla prospettiva della pianta e del bosco. L’autore, biologo e ingegnere forestale, non si accontenta infatti di individuare una relazione particolare con una pianta specifica, cosa che magari può essere un’esperienza comune per ogni appassionato di piante, ma ripercorre la storia di una quercia attraverso i momenti fondamentali della sua vita, dal 1780 ai giorni nostri. Nel preambolo introduttivo, Tillon scrive che se ci fermiamo a guardare gli alberi con la dovuta attenzione, “se li osserviamo attentamente, se esaminiamo ognuna delle loro reazioni di fronte ai diversi problemi che devono affrontare, ci rendiamo conto che le piante mostrano una capacità di adattamento straordinaria, impossibile da comprendere con il nostro sguardo animale”.
Se questo è un aspetto ormai accettato a livello culturale, non ci dobbiamo accontentare. Partendo dalla recente riflessione filosofica sulla definizione di vita vegetale, e sulla linea dell’alterità tra regno vegetale e animale, Tillon offre una prospettiva inedita, mettendo al centro del mondo le piante stesse, ristabilendo un ordine naturale proprio e permettendo di sviluppare una scienza della vita vegetale coerente. Nei vari capitoli sulla vita della quercia, e a partire dall’essere e dalla vita di una pianta presa in se stessa, emerge una metafisica della mescolanza, in cui le piante diventano il punto privilegiato per osservare la natura nella sua complessità, come una trama di relazioni sotterranee e sopra la superficie che si sviluppano al di là della ragione.
In questo senso, la centralità dell’umano o l’idea che sia l’apice della scala naturale viene drammaticamente meno, perché anche l’essere umano è all’interno di una relazione con la natura che è necessario costruire non come mero sfruttamento dell’uno sull’altra sulla, ma come scambio e reciprocità. Così, studiare le piante all’interno di questa prospettiva “plantocentrica” permette di comprendere in modo diverso l’ambiente, inteso non più come semplice costruzione dell’umano, bensì come interrelazione tra uomo e natura. Acquistare questa consapevolezza ha una forte importanza ecologica ed etica, ed è cruciale non solo per i biologi o i botanici, ma per tutti noi, a cominciare dalle scelte green della politica che puntano a rivedere il rapporto città/giardino e città/bosco non più come mera alterità. Altrimenti la natura rimane qualcosa d’altro, che può anche curarci, ma che non fa davvero parte della vita degli esseri umani.
sintesi di Alessandro Bruni
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