di Paola Bignardi. Pubblicato in Avvenire del 5 ottobre 2024.
Le attese delle nuove generazioni verso la Chiesa, la delusione che spinge a lasciare. Ma c’è un affetto che rimane Cari Padri sinodali, oggi ha inizio il Sinodo.
C’è da chiedersi quanti tra i giovani che in questi giorni stanno vivendo le prime settimane di scuola o di università se ne accorgeranno. E ancor meno se ne accorgeranno quelli che sono alle prese con il lavoro – quello che c’è e quello che non c’è – o con i vari problemi e interrogativi della vita. Vivono, viviamo, in un altro mondo. La maggior parte dei nostri amici pensa che la Chiesa sia vecchia: vecchio il suo linguaggio, il suo stile nelle relazioni, la sua visione della vita. Non pensiate che questo sia disprezzo: è il nostro modo di voler bene alla Chiesa, da cui molti di noi si sono allontanati quasi per un amore tradito.
La maggior parte della nostra generazione ha frequentato oratorio e parrocchia; sono stati anni belli nei quali abbiamo apprezzato uno stare con gli amici sereno e leggero, fatto salvo il peso di quell’ora di catechismo o di Messa domenicale, in cui alla spensieratezza dello stare insieme si sostituiva la noia di un’esperienza che non ci toccava. Siamo riconoscenti per quegli anni, che oggi ci appaiono però una promessa non mantenuta. Quando siamo cresciuti non siete più riusciti a parlare con noi, ad ascoltare le nostre domande, ad accogliere le nostre inquietudini. Vi è bastato accompagnarci ai primi sacramenti? Non avete pensato che il più doveva ancora venire? Ci avete lasciati soli ad affrontare una vita con cui i vostri insegnamenti non riuscivano ad entrare in dialogo.
Sappiamo che voi avreste voluto che noi continuassimo a frequentare la comunità cristiana, ma ci eravate diventati estranei. Il vostro modo di pensare la vita era quello dei nostri nonni! In questa Chiesa non ci sentiamo a casa. D’altra parte anche voi ci avete esclusi. Quanti giovani partecipano alla vostra assemblea? Possiamo immaginare la vostra risposta: il Sinodo è dei vescovi, le questioni all’ordine del giorno riguardano l’assetto interno della Chiesa... Pensate che noi non avremmo qualcosa da dire? Noi che abbiamo sperimentato nella comunità cristiana relazioni poco coinvolgenti, per niente corresponsabili, poco dialogiche e poco inclusive; che abbiamo visto quanto facilmente l’autorità diventa potere che umilia. Papa Francesco spinge la Chiesa a uscire. Noi siamo usciti, eppure nessuno è venuto a cercarci; né a chiederci perché ce ne siamo andati. Se continuerete a costruire una Chiesa senza di noi, sarà sulla misura della vostra sensibilità di adulti, o di anziani, sarà sempre meno anche nostra, e noi ci sentiremo sempre più estranei e, alla lunga, stranieri.
Il Sinodo sui giovani aveva acceso in noi molte speranze, papa Francesco aveva voluto ascoltarci. Ma poi c’è stato un equivoco: noi non volevamo qualche iniziativa in più per noi, volevamo una Chiesa diversa. E invece è rimasta la stessa: anzi, un po’ più triste, un po’ più disorientata, sempre più lontana. Continuiamo a vedere una Chiesa ripiegata su sé stessa e sui suoi problemi, mentre dentro di noi e attorno a noi preme una domanda di vita, di senso, di futuro. Vi avevamo detto all’inizio di questa lettera che il nostro andarcene era un atto di amore. Inspiegabile? Speriamo che la nostra presa di distanza sia un modo, forse ruvido e troppo deciso, per segnalare una situazione di crisi non più rinviabile, come anche papa Francesco ha dichiarato nel suo viaggio in Belgio. E che questa consapevolezza vi dia l’audacia e la creatività di decisioni in grado di ringiovanire questa Chiesa che anche noi amiamo. Per questo preghiamo lo Spirito, nel quale continuiamo a credere; e vi auguriamo buon lavoro!