di Massimiliano Iervolino. Pubblicato in Linkiesta del 19 ottobre 2024.
L’Italia è una democrazia imperfetta, lo dichiara il settimanale The Economist esaminando lo stato della democrazia in centosessantasette Stati attraverso un indice denominato Democracy index. Secondo l’indagine, su una scala da zero a dieci il nostro Paese si posiziona trentaquattresimo con un punteggio di 7,69.
Gli Stati con democrazia imperfetta hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione alla vita politica, e problemi nel funzionamento del governo. In Italia accade che, nonostante le Regioni pianifichino i propri fabbisogni impiantistici suddivisi per aree, nessuna infrastruttura per chiudere il ciclo dei rifiuti negli anni venga realizzata, neanche quelle dedicate al compostaggio.
Nonostante questo scenario così desolante, negli ultimi mesi le parole più cool per il governo sono diventate due: «aree idonee». Vengono utilizzate sia per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sia per la costruzione di impianti da rinnovabili. Peccato che quando si parla di aree si parla di territori, e quando si parla di territori in Italia iniziano i guai, quelli seri. E questo succede da decenni, non da oggi.
Della necessità di costruire un deposito per la gestione dei rifiuti radioattivi si discute da lustri, ma siamo ancora all’anno zero, tant’è che qualche giorno fa il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha precisato che ci sono cinquantuno aree da considerarsi idonee, aggiungendo però che per la scelta c’è ancora bisogno di tempo. La sola pubblicazione delle cinquantuno zone idonee all’installazione degli impianti ha scatenato il putiferio. Tutti uniti, governatori, sindaci, presidenti delle province e cittadini delle zone interessate: no al deposito!
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare: stiamo parlando comunque di rifiuti radioattivi, quindi è normale avere una popolazione allarmata. Purtroppo non è così. Questo avviene anche per le rinnovabili. Il problema principale è la mancanza di fiducia. Ampie fette di popolazione non ritengono più credibili le istituzioni (l’astensione alle elezioni lo dimostra in modo lampante) e in ambito ambientale la distanza tra la gente e la politica è ancora più marcata poiché troppi errori sono stati commessi nei decenni.
Due esempi su tutti: l’immonda gestione dei rifiuti nelle Regioni del Centro-Sud Italia e le mancate bonifiche dei siti di interesse nazionale. L’Italia è una democrazia imperfetta ne consegue un difficile rapporto tra imprenditoria, politica e società civile. Eppure i tre attori in campo dovrebbero collaborare, soprattutto in ambito ambientale: senza impianti qualsiasi transizione diventa un’utopia. Di questo dovremmo iniziare a discutere: come la (bassa) qualità della nostra democrazia compromette la transizione energetica.
sintesi di Alessandro Bruni
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