di Daniele Rocchetti. Pubblicato in La barca e il mare del 31 ottobre 2024.
La notizia è passata sotto silenzio ma vale la pena riprenderla. Nei giorni scorsi, tutti i membri del Consiglio per le relazioni con l’Islam istituito presso il ministero dell’Interno hanno annunciato le loro dimissioni criticando la strategia adottata dal ministero dell’Interno. In una lettera indirizzata al ministro Matteo Piantedosi, il coordinatore Paolo Naso e tutti gli altri membri del Consiglio hanno denunciato la sospensione di tutte le iniziative avviate e programmate e il mancato riconoscimento giuridico di vari enti islamici. In sostanza – è l’obiezione – congelando ogni attività, il Ministero ha bloccato il processo di integrazione dell’Islam italiano, equiparabile alle altre confessioni religiose.
Tra le iniziative di questo organismo, ci sono corsi di formazione per una leadership islamica compente e attenta a denunciare ogni forma di radicalizzazione e iniziative di dialogo interreligioso con il coinvolgimento di varie università italiane.
Nella lettera di dimissioni del Consiglio sta scritto: “Con ogni evidenza (è) giudicato (dal ministero degli interni e dal governo) non rilevante per la definizione di orientamenti e politiche nei confronti dell’islam italiano e, più in generale, delle varie comunità di fede”.
Le conseguenze non sono da poco. I due milioni di islamici, per grandissima parte immigrati, saranno più esposti alle possibili derive fondamentaliste, al ricorso strumentale alla politica identitaria e all’assenso verso un comunitarismo isolazionista.
Dopo quasi vent’anni di attività l’organismo è stato convocato dall’attuale ministro il 13 luglio 2023. Poi, più nulla. Rimangono sospesi alcuni progetti come la collaborazione con l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) per la questione dei cimiteri e delle aree per le moschee (circa 1.000 in Italia). Nessuna iniziativa è stata avviata e calendarizzata. Il riconoscimento giudico di alcune organizzazioni musulmane non ha avuto la prosecuzione sperata. Le reiterate sollecitazioni da parte di alcuni consiglieri (che non percepiscono compensi) non hanno ottenuta udienza. Senza enfatizzare un impegno che rimane lento e complesso, l’attuale situazione di stallo esprime un cambio di indirizzo da parte dell’attuale governo e la volontà di non perseguire un “islam italiano”, un adeguamento della tradizione islamica ai principi di riferimento costituzionali dell’Italia.
Come ha scritto Lorenzo Prezzi su Settimananews, “le attuali dimissioni del Consiglio alimentano un interrogativo sulla continuazione del cammino finora percorso. Due gli smottamenti riconoscibili nell’attuale situazione. Il primo è lo spostamento di autorità sul fenomeno dal ministro degli interni alla presidenza del consiglio. Si constata una riduzione del ruolo del ministero a favore di commissioni in capo alla presidenza del consiglio. Il ché può comportare ritardi, fraintendimenti e forse blocchi. Il secondo è l’accelerazione sul versante politico piuttosto che sul lavoro tecnico e giuridico. In altri termini, la questione islam è uno strumento di lotta politica più che un problema di libertà religiosa, di integrazione sociale e di efficacia amministrativa. Alla destra è più congeniale avere una “riserva” da spendere nella polemica partitica che perseguire una legislazione di riconoscimento e di integrazione.”
A farne le spese non sono solo i mussulmani, in maggioranza da tempo cittadini a pieno titolo del nostro Paese, ma tutti noi, donne e uomini di uno Stato laico incapace di dare dignità e valore alle differenze che lo compongono.