di Guido Viale. Prubblicato in Pressenza del 1 novembre 2024.
Il disastro di Valencia ci dispiega sugli schermi il futuro di noi tutti. Sarà così nelle conseguenze, anche se in modi differenti, sempre più spesso e ovunque, ora qui e ora là. Alcune cose sono certe: il progressivo scioglimento delle calotte e dei ghiacciai che renderà irregolare il flusso dei fiumi e incontrollabile l’innalzamento di mari che sommergeranno molte città e interi Paesi, la desertificazione e le temperature intollerabili che renderanno invivibili larghe parti di diversi continenti. Altre, come le alluvioni, gli incendi, gli uragani sono aleatorie, ma si moltiplicheranno in frequenza, estensione e intensità. Il fatto che abbiano colpito una volta non vuol dire che non possano ripetersi a breve, come ci insegnano i ripetuti disastri della Romagna. E questo anche se per miracolo l’emissione di gas climalteranti si fermasse domani. Sono stati innescati dei meccanismi che continueranno a produrre e moltiplicare i loro effetti perversi per decenni.
Oltre al numero dei morti (che non vediamo) quello che più ha colpito l’immaginazione sono le centinaia se non migliaia di auto accatastate una sull’altra dalla furia delle acque. E’ l’immagine che ci restituisce meglio l’insensatezza del nostro modo di vivere e la sua fine; la congestione del traffico in cui è immersa la nostra vita quotidiana trasformata in un ammasso quasi inamovibile di fango e ferraglie. Ma è anche quella che dovrebbe avvertirci che per fare i conti con il clima e con la crisi ambientale non basta più la mitigazione, ma che dobbiamo impegnarci di più nell’adattamento: la convivenza con un clima e un meteo che continueranno a rendere sempre più difficile la nostra esistenza. Ma che, by the way, è anche l’unica via realistica per promuovere una mitigazione “dal basso”, visto che quella “dall’alto” non arriva mai.
L’auto personale resta ancora il simbolo più evidente del consumismo e l’aspirazione più importante di chi ancora non ce l’ha, ma anche la causa principale del consumo di suolo, della sua cementificazione e dello stravolgimento dei territori che trasformano le alluvioni in disastri. Per molte vittime della Dana di Valencia l’auto si è trasformata in una bara, per molte di più in un disastro economico: non tutti avranno il denaro per ricomprarne un’altra alimentando la domanda del settore, che langue (bisognerà prima pensare alla casa, o al lavoro). Ma è l’occasione per farsi qualche domanda.
Non si tratta solo di dare gli allarmi “per tempo”. Bisognerebbe per lo meno preparare dei ricoveri sicuri per la gente e per i beni e i mezzi indispensabili e delle squadre di soccorso adeguate, formate da volontari addestrati e magari anche da militari preparati a salvare vite invece di distruggerle. Siamo tutti molto indietro, ma bisogna per lo meno cominciare a pensarci e a parlarne come della cosa principale che ci troviamo a dover affrontare. Dovrebbero cominciare a farlo i meteorologi a cui capita di commentare ciò che succede, magari senza suggerire a otto miliardi di umani di “salire in montagna”.
sintesi di Alessandro Bruni
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Lacrime nella tempesta. Poteva andare peggio di così? No
Stralcio di Nicolas Lozito pubblicato nella newsletter dell'autore il 2 novembre 2024.
Nel sud-est della Spagna si è presentata la peggiore dell’equazione dei disastri:
- Una quantità di pioggia che in media cade in un anno intero.
- Infrastrutture, città, cittadini impreparati.
- Fragilità idrogeologica.
- Politica e amministrazione locale disattenta o, peggio, inadeguata a capire l’emergenza e dare l’allarme in tempo.
Bilancio: almeno 205 morti, 121.000 sfollati, ma il conto è ancora in aggiornamento, perché i dispersi sono tantissimi. E la situazione è tornata a peggiorare con le piogge di ieri sera. Come ha raccontato una donna alla Bbc: “Ognuno di noi conosce almeno una persona che è morta in questo disastro”.
È la tipica frase che pronuncia una persona di un Paese in guerra. Cadaveri ovunque. Intrappolati in auto, nei garage, trascinati via dalla corrente, travolti dai detriti, spazzati via insieme a strade, ponti, case. In un istante o con inesorabile lentezza, annegati o soffocati cercando inutilmente l’ultima bolla d’ossigeno.
Tutte le scene dei film apocalittici che abbiamo visto si condensano in un giorno di devastazione e morte — reale, verissimo, vicinissimo a noi. Sono morti soprattutto anziani, bloccati al piano terra delle loro abitazioni o delle case di riposo; e bambini, perché le scuole non avevano chiuso in tempo.