di Franca Grisoni. Pubblicato in Ytali. del 12 novembre 2024.
All’uscita della Rsa (Residenza sanitaria assistita) in cui ha ricoverato la madre di 89 anni dopo una breve degenza in un pronto soccorso, Rossella Valdrè si è «gettata a scrivere poesie», in un percorso di conoscenza verso quel doppio organismo formato da madre e figlia tra cui talvolta si compie uno scambio dei ruoli: «la figlia madre con la / madre bambina», un itinerario reso intellegibile e condivisibile dalla poesia. (La nobiltà degli inermi di Rossella Valdrè, MC edizioni, 2024, Prezzo: Euro 15,00)
Valdrè si affida a versi liberi come per un’urgenza di registrare ciò che sta scoprendo della propria madre, su ciò che è stata e su come sta cambiando, sull’invecchiamento, sulla malattia e la morte in una struttura protetta, per resistere ad una dolorosa esperienza personale e forse anche per mettere alla prova alcune teorie psicanalitiche oggetto dei suoi studi e della sua pratica clinica.
Nelle sue visite Rossella Valdrè applica la sua capacità di ricercatrice ad un mondo femminile trasformato dalla resa: oltre alla madre, osserva anche alcune degenti portatrici di diverse disabilità, accumunate dalla fragilità. Donne che chiama per nome, di cui mette in luce abitudini ed esigenze, conflitti e frustrazioni, possiede le chiavi per decodificarne i segnali. Sono Amalia, Adriana, Elvira, la Carla, retrocessa al tempo dell’infanzia («parla della sua scuola elementare»), «Elisa, la finta cieca»; ne riconosce patologie e manie, che registra e interpreta. Non giudica, non condanna. Comprende le mute ragioni di ognuna. Come la madre, anche le altre degenti hanno perduto non solo la casa dove hanno vissuto e gli oggetti accumulati in anni di vita, ma anche il loro corpo: «questo corpo, / non è più casa tua».
La madre, come le sue compagne di degenza, nel «luogo dell’inermità» è espropriata del suo corpo dalla malattia e dalla dipendenza da operatori che si permettono di darle del tu, con cui lei non comunica. Da una poesia, che è una radiografia emotiva della condizione della madre, si intuisce che la perdita dalle competenze in lei può essere stata determinata da cause non fisiologiche.
L’immobilismo a letto potrebbe essere un rifugio da cui esercitare ancora fremiti della propria volontà. Il ricovero ha trasformato la madre: «felice fino a sei mesi fa»; ora la madre è diventata «di una straziante mitezza». È complessa la nuova «mitezza», se comporta anche il rifiuto dei gesti di attenzione e di cura; la madre vuole mantenere un controllo: «in lotta con chi ti cura». Tra distacco e tenerezza, sentimenti ambivalenti, la madre rifiuta i piccoli gesti di sollievo e nella figlia insorge un bruciante senso di colpa per l’impossibilità di alleviare significativamente disagi e sofferenza materni.
La sua esperienza di medico psichiatra e il sentimento di pietà, la portano a comprendere l’esperienza dell’estrema solitudine sperimentata dalla madre nella prossimità con altre degenti e con il personale che la accudisce. Con competenza e sensibilità, riconosce il peso della dipendenza dagli operatori: affidate alle cure di infermieri e assistenti le degenti sono «nelle mani dell’altro, un’estranea vestita di bianco, che / tra poco smonta». Non solo, la frequentazione di quel mondo fa sorgere in lei il timore che ad attenderla ci possa essere lo stesso il destino.
Nella «traversata» poetica di quella che Rossella Valdrè riconosce come la «lunga anticamera» della morte, si delinea una meditazione non tanto o non solo sulla morte, ma sullo stillicidio di vivere fino alla fine il limite umano: l’altrui finitudine, e la propria, nel dolente mistero dell’esistenza.
sintesi di Alessandro Bruni
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Dalla quarta di copertina. «Si può solo scrivere / l'essenziale della vita?». Potremmo partire da questo emblematico distico di Rossella Valdrè per parlare della raccolta d'esordio della psicoanalista genovese che si affida al logos poetico per descrivere la situazione, disarmante e controversa, della madre malata. E non è un caso che il termine «inermità», con il quale l'autrice traduce il freudiano Hilflosigkeit, ricorra in maniera così insistente, accampandosi nel cuore stesso di tale dittico. Qui si descrivono non solo le vicissitudini relative all'assistenza a una persona anziana, relegata in una delle tante RSA spuntate nel nostro territorio, ma anche di alcune degenti «immobili» che la parola poetica dota di una fisionomia e una storia ben definite. La vita, «ridotta all'osso», sembra accontentarsi dei bisogni più elementari. Lo stesso rapporto tra madre e figlia non si risolve nel semplice capovolgimento dei ruoli ma conserva quel vicendevole dissidio sedimentato nel tempo: «Le due, le tre / di notte, / sono sveglia, / mi perseguitano i tuoi no». Nel giro di poche parole si riesce nel difficile intento di rendere esemplare uno dei frequenti contrasti che la malattia della madre tende gradualmente a stemperare. Gli sforzi compiuti si ripercuotono in una più consapevole ricerca dell'assistenza vissuta alla stregua di una dimensione salvifica: «Mi dà valore / piacere agli altri, per te». Così, nella «girandola / chiamata vivere», l'epifania sostituisce il responso clinico, insufficiente a soddisfare «i residui giorni» di una «Memoria impietosa».