di Giuseppe Vannucchi. Pubblicato in Salute internazionale del 27 novembre 2024.
Demenza è un termine generico per indicare diverse malattie che comportano un progressivo decadimento delle funzioni cognitive a cominciare dalla memoria. La malattia di Alzheimer (demenza degenerativa) è la più comune forma di demenza. Insorge più frequentemente dopo i 65 anni di età e colpisce più spesso le donne. Seguono le demenze vascolari, che possono essere dovute a micro infarti a livello cerebrale, o a seguito di ictus (trombotico, o emorragico), che colpisce zone strategiche importanti per le funzioni cognitive e per la memoria (in questi casi l’esordio è acuto). Vi sono forme miste, vascolari e degenerative e numerose altre, quella ad esempio che insorge in una fase molto avanzata del Morbo di Parkinson.
Epidemiologia delle demenze
Nel 2019 secondo l’OMS nel mondo si avevano circa 57 milioni di persone affette da demenza. Oltre il 60% di queste risiedono nei paesi a basso e medio reddito. Questo numero è destinato a salire fino a circa 150 milioni entro il 2050 sia per l’invecchiamento demografico a livello mondiale, sia per l’aumento della frequenza di fattori di rischio potenzialmente modificabili. La demenza è una delle principali cause di disabilità tra gli anziani di tutto il mondo. La malattia è devastante non solo per le persone che ne sono affette, ma anche per chi le assiste e a livello globale sono soprattutto le famiglie che forniscono la maggior parte delle cure e del supporto. In Italia circa 1.100.000 persone soffrono di demenza (circa l’8% della popolazione >65 anni) e circa 900.00 persone manifestano MCI (Mild Cognitive Impairment), decadimento cognitivo lieve (circa il 6% della popolazione >65 anni).
MCI, Decadimento cognitivo lieve
Il Decadimento cognitivo lieve è una condizione clinica caratterizzata da una sfumata difficoltà in uno o più domini cognitivi (quali ad esempio memoria, attenzione, o linguaggio) oggettivata attraverso test neuropsicologici, ma non tale compromettere le normali e quotidiane attività di una persona. L’ MCI in modo semplificato può essere considerato una fase di transizione tra l’invecchiamento fisiologico e la demenza lieve. Gli studi di letteratura dicono che una percentuale stimata tra il 10-15% di persone con diagnosi di MCI ogni anno sviluppa demenza. Tuttavia è importante sottolineare che questa condizione, opportunamente diagnosticata dallo specialista, non necessariamente avrà una progressione in demenza. In una considerevole percentuale di casi i sintomi possono restare stabili per anni e addirittura regredire, attuando interventi di tipo psico-sociale. Pertanto anche per questa condizione, al pari di altre patologie croniche, sarebbe importante un intervento sociale e sanitario proattivo, di presa in carico della persona.
Prevenzione della demenza
Nel 2024 la Commissione Neurologica del Lancet ha aggiornato un suo precedente rapporto sulla prevenzione della demenza del 2020. La Commissione ha effettuato e analizzato nuove revisioni e metanalisi individuando 14 fattori di rischio per la demenza. Nel rapporto si stima che circa il 45% delle demenze siano dovute a fattori di rischio potenzialmente modificabili.
Per ciascun fattore di rischio si stima la frazione attribuibile. Per esempio alla bassa istruzione è attribuibile il 7% del rischio. Tale fattore di rischio è collocato nelle prime fasi della vita (età infantile e giovanile). Può apparire curioso, ma un intervento finalizzato al contrasto dell’abbandono scolastico, è un’azione che rientra nella prevenzione della demenza. Va considerato che in una persona si può avere un’associazione di più fattori di rischio.
Le riserve cognitive possono definirsi una specie di “scorta cerebrale”. Il nostro cervello ha la capacità di utilizzare connessioni nervose alternative, o servirsi di quelle esistenti in modo più efficiente, in risposta alla graduale morte dei neuroni e alla perdita delle connessioni tra di essi. Quanto più è elevata la riserva cognitiva, tanto più il cervello riesce a compensare le alterazioni cerebrali legate all’ invecchiamento, In questo modo non si manifestano i sintomi della malattia, o questi esordiscono molto più là nel tempo.
Anche in età avanzata il nostro cervello è in grado di svilupparsi ulteriormente: intraprendendo stimolanti attività mentali, o imparando qualcosa di nuovo si formano nuove connessioni tra i neuroni e si rafforzano quelle esistenti. Ciò contribuisce a stabilizzare e addirittura aumentare la riserva cognitiva. Se manteniamo attivo il nostro cervello, con compiti e stimoli sempre nuovi, lo rendiamo più resistente. Per evitare che il cervello si atrofizzi dobbiamo usarlo regolarmente, come avviene con i muscoli. Il motto è “use it or lose it”.
Prevenzione secondaria
La prevenzione deve continuare anche dopo la diagnosi di malattia, specie nelle prime fasi. Lo scopo è quello di rallentare il decorso. Tra gli interventi di prevenzione rientrano, le attività che stimolano le abilità ancora presenti, al fine di mantenerle il più a lungo possibile. Nella prevenzione secondaria rientrano anche le attività di informazione e sostegno al caregiver. Gli interventi sopraindicati si definiscono terapie psico-sociali, o interventi non farmacologici. Questi possono essere attuati in strutture assistenziali apposite quali i Centri diurni Alzheimer, gli Atelier Alzheimer e ove proprio necessario in specifici moduli Alzheimer nelle RSA.
Terapia farmacologica
Ad oggi sono stati studiati più di 200 farmaci per il trattamento della demenza senza risultati evidenti. Oggi la ricerca si indirizza sugli anticorpi monoclonali. Data la rilevanza del problema, il numero di soggetti coinvolti è facile immaginare con quale frenesia proceda la ricerca, quali siano gli investimenti e gli appetiti in campo. A volte ci si illude di aver trovato il farmaco efficace, ma poi, con ulteriori verifiche, si va incontro a delusioni.
sintesi di Alessandro Bruni
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