di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Nelle elezioni del 2024 Trump ha preso gli stessi voti del 2020 (74,7 vs 74,2 milioni) mentre i Democratici sono scesi da 81,2 milioni a 71. Come spesso ho indicato in passato chi perde non è perché perde elettori a favore dell’avversario ma perché non riesce a mobilitare non tanto i propri fedeli elettori, ma quella fascia di incerti che se non sono convinti si astengono. Ciò spiega perché Trump ha vinto con 5 milioni di distacco, mentre nel 2020 aveva perso per 7 milioni. Ci sono stati anche cambiamenti di voto come per esempio tra i giovani 18-29 anni: tra le femmine i vantaggio dei DEM che era di 33 punti punti nel 2020 si è ridotto a 18 nel 2024 e tra i maschi il vantaggio di 19 punti si è rovesciato a favore di Trump per 14 punti. Tutte le fasce sociali sono cresciute a favore di Trump, tranne le donne bianche laureate. Ma questi dati sono falsati da 10 milioni di elettori democratici che non hanno votato questa volta.
Significa che, all’interno di un calo di votanti, come avviene in Europa, la proposta politica di Trump ha mantenuto tutta la sua presa, mentre quella dei DEM ha perso il 12% dei suoi elettori, molti dei quali (specie nelle fasce deboli e nelle periferie) più ancora che votare Trump si sono astenuti. E ciò nonostante l’economia Usa segnasse indici da boom economico. Questa volta c’è anche qualcosa d’altro oltre la dozzina di uova che costano 3,8 dollari anziché 1,80.
Federico Rampini, da sempre un supporter dei Democratici, scrive che anche negli Stati abitati dai ceti più ricchi e globalisti come New York (dove Hillary aveva vinto con 63 punti di vantaggio su Trump e Biden con 54), Trump ha perso oggi solo di 37 punti, con una crescita di voti proprio nei quartieri più poveri come il Bronx e Queens. Trump ha raccolto più voti proprio tra gli immigrati legali, latinos, neri, la working class, il ceto medio impoverito e non solo tra i ricchi come Musk.
Per capire la vittoria di Trump bastava leggere i tre tomi del famoso giornalista del Watergate Bob Woodward: “Paura”, “Pericolo” e “Guerra” (ed. Solferino). Indicavano le tre parole d’ordine che Steve Bannon aveva consigliato a Trump per vincere nel 2016: “se la Clinton è la leader di un’America dell’élite e della globalizzazione, tu sarai il tribuno che vuole restituire agli Stati Uniti la sua grandezza mettendo fine all’immigrazione illegale, alle inutili guerre all’estero e riporterai in America i posti di lavoro dell’industria manifatturiera”.
A parte il blocco della immigrazione illegale, gli altri due punti sembrano tratti da politiche classiche della sinistra e ciò spiega tanto del successo di Trump.
Ma anche su sicurezza e immigrati –scrive Rampini, che certo non è un fan di Trump -, a New York sono state compiute cose incredibili dal sindaco Dem De Blasio, il quale sotto la pressione del movimento antirazzista Black Lives Matter ha ridotto le spese per la polizia, portando ad un aumento impressionante di omicidi e altri reati. Poi New York si è proclamata città “santuario” degli immigrati, in quanto, essendo da sempre una città di immigrati, ne ha accolti negli ultimi 4 anni almeno 200mila di illegali e ciò ha portato a scontri con quelli legali (con la green card) per la casa, il lavoro e altre forme di assistenza, spostando i voti degli immigrati legali a destra.
Ma è contata anche la contestazione alla cultura woke, al sostegno alle minoranze lgbtq+, alle modifiche di genere di adolescenti senza consenso dei genitori (pare sia questa la goccia che ha fatto passare Musk dai DEM a Trump) che li hanno terrorizzati e al desiderio di tornare ad una America in cui sono centrali le tradizioni. Così si spiega come mai non abbia premiato i DEM l’ottimo andamento dell’economia che in genere decide le elezioni. Lo ha notato il più autorevole giornale economico-finanziario del mondo (Financial Times): Trump ha vinto nonostante gli Stati Uniti venissero da uno dei loro migliori periodi economici sotto la presidenza Biden. Erano usciti prima e meglio dell’Europa dal Covid-19 con ben 9 trimestri di crescita ad una media di oltre il 3% del PIL, crescita di 16 milioni di occupati, disoccupazione ai minimi (4%) che non si vedeva dal 2002, boom delle borse, afflusso enorme di capitali dal resto del mondo. Secondo il FMI il reddito medio pro-capite è salito dal 2019 al 2024 di quasi il 9% e i consumi sono cresciuti del 10%. Anche la spesa pubblica è cresciuta (e anche il debito per la verità) e sono in corso imponenti progetti di spesa pubblica (dalle infrastrutture alla transizione ecologica). Dati da boom economico, eppure i DEM hanno perso e i sondaggi (che i media italiani non riportavano) dicevano invece che per il 70% degli americani il Paese stava andando per la strada sbagliata.
In un precedente articolo ho spiegato alcune ragioni. Vediamole in sintesi:
1. l’inflazione ha fatto si che tutti i beni essenziali (la famosa dozzina di uova, ma anche il mutuo casa) costassero molto di più e gli americani non hanno risparmi con cui farvi fronte;
2. I salari reali, al netto dell’inflazione, per la maggioranza della working class e dei poveri erano in calo e solo alcuni sono riusciti con duri scioperi ad ottenere forti aumenti (portuali,…; i dipendenti di Boeing sono ancora in sciopero,…);
3. La classe operaia che votava DEM aveva già iniziato a votare per Trump nel 2016, capendo che la globalizzazione e la de-industrializzazione sostenuta dai DEM, portava alla loro miseria;
4. Tutti i vantaggi di crescita (da globalizzazione e finanziarizzazione) andavano ai profitti e alle rendite finanziarie e cioè alle classi agiate e ai laureati/e che se la passano benissimo nelle città diventate per tutti gli altri costosissime;
5. Sotto i DEM crescono regolarmente le guerre (per controllare il mondo) con grande dispendio di soldi sottratti agli americani. Guerre che poi finiscono tutte per essere regolarmente perse;
6. Le nuove politiche DEM a favore dei diritti civili lgbtq+, del cambio di genere tra i giovani, dell’aborto oltre sei o dodici settimane sono di gran lunga minoritarie tra chi vuole difendere i diritti sociali (lavoro e salario) e i valori tradizionali (famiglia, religione,…), che erano, peraltro, anche valori dei DEM fino alla presidenza Clinton (1999) e che ora, abbandonate dai DEM, sono difese da Trump, mentre i nuovi diritti civili sono difesi dai DEM, così identificati con le élite globaliste.
Molti elettori DEM hanno così pensato: perché votare i DEM che difendono queste élite, la globalizzazione, la deindustrializzazione, le multinazionali e le guerre? Meglio Trump o astenersi anche se il più ricco al mondo (Musk) sta dalla sua parte e probabilmente taglierà anche le tasse delle imprese. Ma forse finisce almeno la guerra in Ucraina e chissà che non riporti la working class su una via di maggior benessere, visto che oggi i più poveri spendono per la spesa essenziale il 40% del loro reddito quando 20 anni fa ne spendevano la metà e il 40% dei consumi è appannaggio del 20% delle famiglie più abbienti (Rockefeller Centre).
A mio avviso, solo Bernie Sanders tra i DEM avrebbe potuto battere Trump, riportando quell’entusiasmo tra i giovani e la working class che è diffuso in modo “viscerale” tra i seguaci di Trump e fare agli Americani una offerta politica sui temi concreti che li affliggono, anziché riempirsi la bocca di “democrazia contro fascismo”. Se ne riparla tra 4 anni. DEM ed élite dell’Europa hanno ampia materia su cui riflettere.
In Italia e in Europa c’è molta paura tra le élite per la vittoria di Trump, anche perché la recessione è in agguato. In Italia le preoccupazioni riguardano soprattutto i dazi che gli Usa potrebbero imporci, ma è anche vero che l’Italia negli ultimi 10 anni ha sviluppato un’enorme crescita del suo export diversificandolo in tutto il mondo (a differenza della Germania) per cui è diventata il 4° esportatore mondiale, testa a testa con Giappone e Corea del Sud, con circa 412 miliardi di export nei primi 8 mesi del 2024, quando 10 anni fa era indietro a questi paesi di 70-100 miliardi (a valori costanti). Il che dimostra che l’Italia ha notevoli capacità di flessibilità delle sue imprese (nonostante gli alti costi di energia che da sempre ci penalizzano) e sa riorganizzarsi meglio di altri paesi e che i dazi made in Usa potrebbero farci meno male di quel che si crede e nel lungo periodo addirittura farci bene (non tutto il male viene per nuocere) trovando altri mercati di sbocco nel mondo, essendo l’Italia un “creditore netto verso il mondo”.
Per questo un’Europa meno americana farebbe un gran bene per primo all’Italia e ogni azione tesa a far rimanere in Italia le imprese di valore è benvenuta e va abbandonata lo logica dei Ceo di badare solo ai risultati a breve termine (e sono pagati in base ai risultati trimestrali delle proprie aziende). Troppo spesso è successo che guardando al lungo termine si è scoperto che i “rami secchi” della nostra manifattura erano invece preziose aziende dotate di know-how che andavano difese. Lo dice anche Angelo Guarini, direttore Confindustria Brindisi, se solo si fossero considerate non solo le ricadute sociali ma il sistema input-output e la tavola delle interdipendenze settoriali di Leontief e/o le matrici con le produzioni secondarie di Stone. Cioè più economia (con benefici multisettoriali diretti e indiretti per la comunità) che finanza a breve termine, che è la logica che ora comanda.