di Valeria Esposito. Pubblicato in Scienze in rete del 20 dicembre 2024.
La Generazione Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza chini sullo smartphone, pare essere anche quella più ansiosa, depressa e soggetta a casi di autolesionismo. C’è correlazione tra uso degli smartphone in età puberale e i disturbi di cui soffrono le nuove generazioni?
Jonathan Haidt, che insegna psicologia sociale alla Stern School of Business della New York University, non ha dubbi in proposito e porta numerosi dati a favore della sua tesi nel libro La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024). Secondo Haidt la riduzione o addirittura l’azzeramento dell’esperienza del gioco libero all’aperto influisce negativamente sulla capacità delle persone più giovani di gestire rischi e pericoli, rendendoli percepiti come più grandi di quanto siano. Privati o quasi di queste esperienze, bambini e bambine perdono l’opportunità di confrontarsi con la paura e l’insuccesso, aspetti fondamentali che il gioco, uno dei più potenti strumenti di apprendimento, permette di elaborare. Le possibilità di crescita tramite l’esperienza offline risultano così inibite, portando bambini e bambine ad essere più frustrati e apprensivi da adolescenti. Questo il filo del ragionamento dello psicologo americano.
Con i primi anni dieci del Duemila arriva la "grande riconfigurazione”, come la chiama Haidt: l’infanzia e l'adolescenza vengono calibrate completamente su smartphone, rete e social. L’autore individua quattro danni fondamentali di questa transizione:
- Deprivazione sociale: il tempo passato offline con gli amici si è drasticamente ridotto grazie alla diffusione degli smartphone. La pandemia da COVID-19 ha poi acuito ulteriormente la distanza sociale tra adolescenti.
- Privazione del sonno: l’uso massiccio degli smartphone altera il ritmo circadiano dei più piccoli e peggiora la qualità del sonno.
- Calo dell’attenzione: non soltanto la concentrazione è logorata dal continuo flusso di notifiche che arrivano sullo smartphone ma anche la presenza stessa del telefono nuoce al pensiero di ragazzi e ragazze e contribuisce alla distrazione continua, aprendo anche a interrogativi su chi soffre di ADHD: «L’ipotesi più diffusa è che chi soffre di ADHD cerchi lo stimolo dello schermo e la maggiore focalizzazione presente nei videogame. Ma il nesso causale potrebbe anche funzionare all’inverso? È possibile che un’infanzia fondata sul telefono aggravi preesistenti sintomi di ADHD? A quanto pare sì», scrive Haidt.
- Dipendenza: i “mi piace” o le menzioni causano una scarica di dopamina nel cervello, facendo sì che venga rilasciato piacere ma non soddisfazione. In questo modo si innesca un meccanismo di assuefazione, simile a quello causato dal gioco con le slot-machine.
Le ragazze risultano le più colpite da disagi legati all’uso dei social dove domina l’immagine, quasi sempre manipolata da filtri: usano infatti Instagram e Tiktok in maggior misura dei ragazzi, rendendole vulnerabili al confronto sul proprio corpo.
I ragazzi, sull’altro fronte, non sembrano passarsela meglio. I videogiochi online inducono gli adolescenti a trascorrere ore e ore con altri utenti connessi, senza però costruire relazioni di qualità, con il risultato che solitudine e depressione prendono il sopravvento nelle loro vite. Anche l’abuso di pornografia, a cui i ragazzi accedono senza difficoltà dai loro dispositivi, distorce la sessualità e mina la percezione delle relazioni con l’altro sesso.
Infine è il turno dei genitori, a cui è dedicata l’ultima parte del libro. Pochi suggerimenti ma pratici: cercare di accrescere l’interazione con i propri figli e figlie nel mondo reale, favorire situazioni di incontro con i propri coetanei offline lontani da dispositivi e posticipare l’uso di smartphone e social media ai 16 anni.
C’è anche modo di migliorare l’esperienza d'uso dei social. «Introdurre una lista di affordance (funzionalità intuituive, ndr) dei social media, mutuandole dalla ricerca neurocognitiva e comportamentale, enfatizza il ruolo dell’utente (come la tecnologia viene percepita, interpretata e utilizzata) piuttosto che la progettazione tecnologica in sé» spiega Tiziana Metitieri su Valigia Blu. «In questo senso, l’approccio delle affordance è essenziale per superare il determinismo tecnologico degli outcome di salute mentale che enfatizza eccessivamente il ruolo della tecnologia come motore degli effetti, ma trascura l'autodeterminazione e l'impatto delle persone" nell'uso dei social media e, aggiungo, dello spazio digitale in generale».
In definitiva, il dibattito sull'uso dei social media da parte di bambini, bambine e adolescenti è tutt’ora complesso e divisivo, intrecciando opportunità di connessione e apprendimento con rischi per la salute mentale e lo sviluppo personale. Più che divieti servirebbe lavorare per una “ecologia della mente” applicata alla sfera digitale. A beneficio di giovani e no.
sintesi di Alessandro Bruni
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