di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Un titolo del genere, a prima vista, data la sensibilità media nel Paese circa la solidità di questo governo, può apparire eccessivo, ma il quadro generale dei rapporti unitari, se approfondito in relazione ai problemi del Paese, interni e internazionali, acquista una sua tragica realtà. La sensazione ormai diffusa è che il patto di potere su cui è nato e si regge il governo Meloni stia collassando. Se è vero che la rottura recente è avvenuta sul voto di emendamenti in Commissione nei quali la maggioranza di governo è stata battuta due volte, rispettivamente su taglio del canone Rai e sulla sanità in Calabria, Nel primo caso FI ha votato contro l’emendamento della Lega mentre nel secondo, per vendetta, la Lega si è astenuta sull’emendamento di FI facendolo respingere.
Formalmente si tratta di aspetti abbastanza marginali ma la rottura profonda che hanno determinato al vertice dell’esecutivo danno la misura della qualità di questo governo. Se ci riferiamo ai risultati del governare dobbiamo amaramente constatare che ci troviamo già nella palude. Infatti, la manovra 2025 in discussione in Parlamento, dopo essere stata definita dal governo in mesi di discussione, dati i ristretti margini derivanti dal livello del debito pubblico, e, nonostante ciò, la stessa maggioranza ha presentato oltre 1200 emendamenti su una manovra che, dal punto di vista strutturale, contiene solo la riconferma del taglio del cuneo fiscale deciso l’anno scorso. Se poi osserviamo l’ambito delle riforme promesse, notiamo che l’autonomia regionale è stata letteralmente smontata dalla Consulta e dovrà ripartire quasi da zero, nonostante le forzature del ministro Calderoli.
Sul premierato è in atto da tempo una fermata in attesa di tempi migliori, mentre sulla giustizia si procede a rilento tra dissensi e ripensamenti. Ma il necessario confronto sulle riforme viene da tempo marginalizzato per il prevalere di uno scontro rissoso che vede protagonisti i due vice premier Salvini e Tajani, che, specie in occasione delle scadenze elettorali, avanzano richieste o pongono vincoli di parte per conquistare voti ai rispettivi partiti. Così recentemente si sono verificati scontri sul bilancio dello Stato, sulle banche, sulla politica industriale, sulla sanità, sul welfare sull’immigrazione in Albania e sulle politiche dell’Ue, nei quali la polemica reciproca ha raggiunto livelli tali per cui tutto, compreso l’insulto, sembra essere permesso.
Tale divisione e contrapposizione si è manifestata, con particolare gravità in Europa, in occasione del voto nel Parlamento europeo sulla nuova Commissione Ue retta da Von del Leyen e sulla prosecuzione dell’invio di armi all’Ucraina, dove ogni partito di maggioranza ha pensato a sé stesso votando in modo differente. Un fatto di gravità tale , circa il ruolo dell’Italia in Ue, che da solo avrebbe dovuto determinare la crisi di governo. Ciò che in tale contesto impressiona in modo particolare risulta il comportamento della premier Meloni che invece di affrontare e risolvere i problemi assumendosi la responsabilità che le compete, nel dire l’ultima parola, minimizza tali scontri considerandoli “schermaglie”, limitandosi a commentare tali comportamenti come atti negativi per il governo. Con l’unico effetto di evidenziare propagandisticamente una sua presunta saggezza politica di fronte all’irresponsabilità degli alleati.
In tal modo ogni scelta e comportamento dei membri del governo, anche quando concretizzano veri e propri atti di violenza nei confronti delle istituzioni, vengono alla fine considerati normali espressioni di dialettica politica e, come tali, resi coerenti con la stabilità del governo. Non a caso la durata dell’esecutivo fino alla fine della legislatura nel 2027 viene ripetutamente indicata come traguardo che sarà raggiunto. In questa situazione, a scanso di impreviste fratture e discontinuità nella maggioranza, dovremo assistere ad un possibile, ulteriore degrado della situazione politica del Paese, sempre ricondotta a una fittizia normalità che garantisca la prosecuzione del governo.
Una situazione pagata a caro prezzo dai cittadini e che può arrivare fino ad un cambiamento della qualità della nostra democrazia, in direzione di forme illiberali e autoritarie. Una prospettiva possibile che deve stimolare l’opposizione a rendere meno generica e più credibile l’alternativa di governo, al fine di far ritornare l’Italia sul sentiero dello Stato di diritto.