A cura di Claudio Singh Solorzano. Pubblicato in Centro Alzheimer del 5 dicembre 2024.
A pochi mesi dalla revisione dei criteri diagnostici per la malattia di Alzheimer (AD) sviluppati dal National Institute on Aging insieme all’Alzheimer’s Association (NIA-AA), che propongono una diagnosi basata solo su biomarcatori indipendentemente dall’espressione clinica della malattia, l’International Working Group (IWG) ha recentemente pubblicato una revisione dei propri criteri diagnostici sviluppati nel 2021 (IWG-3).
Mediante un’estesa revisione della letteratura degli ultimi anni (dal luglio 2020 al marzo 2024), l’IWG ha raccomandato che l’AD sia definita come entità clinico-biologica, con la possibilità di effettuare la diagnosi in uno stadio prodromico solo in presenza di declino cognitivo lieve e di biomarcatori amiloide e tau positivi. Questa visione è simile tra NIA-AA e IWG per soggetti con decadimento cognitivo, ma diverge per individui cognitivamente sani.
Per evitare l’aumento di falsi positivi, l’IWG propone che per gli individui cognitivamente normali, ma con biomarcatori positivi per l’amiloide, si usi il termine “asintomatici a rischio di AD”, in quanto queste persone presentano un rischio aumentato di sviluppare l’Alzheimer nel corso della vita, ma non è detto che manifesteranno la malattia.
Al contrario, coloro che presentano mutazioni genetiche – come mutazioni autosomiche dominanti o persone con sindrome di Down – vengono classificati sotto il termine “AD pre-sintomatico”, indicando che sono a rischio estremamente elevato di sviluppare la malattia. Questo approccio più sfumato rispetto ai criteri NIA-AA mira a evitare diagnosi inutili e i potenziali impatti psicologici negativi dell’etichettare come affette da AD persone asintomatiche.
In conclusione, i criteri IWG raccomandano di definire l’AD come entità clinico-biologica e mettono fortemente in discussione l’uso a fine diagnostico dei soli biomarcatori in individui cognitivamente normali. D’altra parte, l’IWG sottolinea l’importanza della ricerca con studi longitudinali in queste persone, al fine di identificare i fattori di rischio per lo sviluppo di declino cognitivo e per testare l’efficacia di interventi farmacologi e non-farmacologici di prevenzione.
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