di Tiziano Balzano. Pubblicato in Scienze in rete del 18 dicembre 2024.
Le malattie neurologiche, come l'Alzheimer, il Parkinson e vari tumori cerebrali, sono tra le condizioni più invalidanti a livello globale. Nonostante i progressi della ricerca, i trattamenti efficaci restano ancora limitati: le ragioni sono varie e vanno dalla complessità del cervello alle difficoltà di una diagnosi precoce. Tra gli elementi che rendono difficile il trattamento delle malattie che interessano il cervello vi sono le difese naturali di quest’organo, in particolare la barriera emato-encefalica.
Possiamo immaginarla come una sorta di "checkpoint" altamente selettivo, un sistema di sicurezza sofisticato. È composta diversi tipi di cellule che collaborano per mantenere l’equilibrio interno del cervello, consentendo il passaggio di nutrienti e ossigeno e proteggendolo allo stesso tempo da potenziali pericoli. Un tempo si pensava che fosse solo una barriera fisica che impediva il passaggio di sostanze dannose. Oggi sappiamo che è molto di più: si tratta di un sistema complesso, che decide con grande precisione quali sostanze possono entrare nel cervello e quali no. E anche l’ingresso di molti farmaci terapeutici, rendendo difficile il trattamento delle malattie neurologiche.
Come superare dunque l’ostacolo della barriera emato-encefalica per un trattamento efficace delle malattie neurologiche? Negli anni, la ricerca scientifica ha lavorato a diverse strategie che permettessero di ovviare a questo passaggio. Tra queste, uno degli approcci più recenti è l'uso di ultrasuoni focalizzati a bassa intensità (LIFU, dall'inglese Low-Intensity Focused Ultrasound): utilizzando onde ultrasoniche e microbolle in circolazione, è possibile creare aperture temporanee e localizzate nella barriera, permettendo il passaggio di molecole terapeutiche. I primi studi condotti su animali ed esseri umani hanno mostrato risultati promettenti per il trattamento di condizioni come la malattia di Alzheimer, di Parkinson e metastasi cerebrali. Tuttavia, restano ancora molte incertezze sugli effetti immediati e a lungo termine di questa tecnologia sulla unità neurovascolare e sui meccanismi di recupero della barriera emato-encefalica.
Certo, la ricerca sull'uso degli ultrasuoni focalizzati a bassa intensità è ancora in una fase preliminare. E sebbene studi come il nostro suggeriscano che la barriera possa recuperare completamente dopo l'apertura temporanea indotta, permangono incertezze riguardo agli effetti a lungo termine, in particolare per quanto riguarda la possibilità di infiammazioni croniche o alterazioni microstrutturali. Inoltre, sarà fondamentale ottimizzare i parametri di trattamento per garantirne la massima sicurezza. Tuttavia, il LIFU rappresenta una strada innovativa e promettente: con ulteriori ricerche e sviluppi, potrebbe un giorno diventare uno strumento importante per il trattamento mirato di malattie neurologiche complesse, aprendo nuove prospettive terapeutiche oggi inaccessibili.
sintesi di Alessandro Bruni
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