di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
L’ingegnere Taylor inventò la catena di montaggio, introdotta da Ford nel 1904, che raddoppiò non solo la produttività (con la divisione del lavoro e la noia) ma anche i salari degli operai (da 2,5 a 5 dollari all’ora). Così potevano comprarsi l’auto che costruivano e rimanere al lavoro, riducendo l’enorme tasso di dimissioni dal lavoro di allora che complica molto la fabbricazione. Nel 1928 la produzione industriale americana rappresentava il 45% di quella mondiale. Basta questo dato per affermare che il secolo scorso è stato il secolo americano. Ma oggi la sua produzione industriale è scesa al 16% e nel Regno Unito nello stesso periodo è scesa dal 9% all’1,8%, mentre è salita in Cina (oggi 30% della produzione mondiale), Vietnam, Messico, in tutti i paesi asiatici, in Giappone, Polonia, e resiste (anche se in calo) in Germania e Italia. Nelle macchine utensili l’area tedesca-italiana è però ancora la più forte al mondo mostrando come l’Europa (se volesse) potrebbe svolgere un ruolo rilevante nel mondo.
Colpisce la pochezza della produzione industriale di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, tutti e tre i Paesi che hanno fatto la rivoluzione liberale ma che con la globalizzazione avviata da Clinton nel 1999 (e le politiche neo liberali) hanno auto-distrutto la propria manifattura delocalizzando all’estero e così diventando tutti importatori netti di merci.
Nell’industria manifatturiera made in Usa lavorano solo il 9,7% degli occupati: 15 milioni. Scendono però a 5 se si considerano solo quelli che producono in fabbrica o 8,2 (secondo come interpretare i dati). Per memoria si sappia che nella manifattura europea lavorano 30 milioni (7,5 milioni solo in Germania e quasi 4 milioni in Italia) e, per quanto sia stata delocalizzata, quella europea è oggi il doppio di quella americana e nell’Europa dell’Est è diventata il triplo. Le statistiche americane, molto accurate, ci consentono di capire i “dettagli” (dove spesso si nasconde il diavolo) .
Anche in agricoltura gli Stati Uniti, nonostante campi sterminati e macchine di enorme potenza, hanno un deficit del commercio e ci lavorano ormai solo l’1,4% degli occupati (2,23 milioni sui 161 milioni di americani al lavoro). Fonte: BLS USA.
Gli americani hanno abbandonato la produzione di merci fisiche, beni durevoli e prodotti agricoli che fecero la ricchezza nel ‘900 e hanno oggi il loro potere nei giganti del web e nell’Intelligenza Artificiale (AI), guidati dalla Finanza anglosassone che “fabbrica” la maggior parte di denaro al mondo depositato nei paradisi fiscali sia per non pagare le tasse, ma anche per poter “lavorare” e “produrre” nuovo denaro (finchè dura) senza sporcarsi le mani in Fabbrica o nella Terra.
Per la verità negli ultimi 20 anni gli Stati Uniti hanno silenziosamente aumentato in modo enorme la produzione di petrolio e gas di cui sono diventati esportatori netti, anche per l’altissimo sfruttamento del gas liquefatto (GNL) col fracking (che è altamente inquinante).
Con la globalizzazione, hanno gradualmente smantellato la propria manifattura spostandola in Cina, Vietnam, Messico, India, Germania, Polonia, Italia. La stessa cosa ha fatto il Regno Unito che aveva già smantellato la propria produzione nazionale (auto incluse) con la Thatcher. Non è, pertanto, casuale che gli Stati Uniti abbiano il maggior disavanzo commerciale e della Bilancia dei Pagamenti al mondo (manifatturiero e agricolo in primis). Ed è in costante crescita dal 1992 (mentre quello della Russia è positivo in modo crescente dal 2000). Si potranno consultare tutti i dati cliccando sul sito di World Bank.
Gli occupati americani non guadagnano lavorando quindi nella manifattura (delocalizzata all’estero). O meglio a guadagnare sono (e molto più di prima quando la produzione era in patria) gli azionisti americani delle multinazionali che sfruttano i bassi costi del lavoro di altri paesi, mentre gli operai americani sono stati falcidiati (una delle ragioni del successo di Trump). Come si può vedere dalla tabella allegata chi lavorava nella produzione industriale made in Usa nel 1999 (quando inizia ad operare la turbo-finanza e la globalizzazione) ha visto ridursi l’occupazione del 30%, nonostante l’economia americana sia cresciuta del 18,9% come occupati negli ultimi 24 anni (un milione in più all’anno).
Da sempre gli Stati Uniti hanno un enorme afflusso di immigrati per cui non bisogna credere che gli occupati in più siano “bianchi”. Sono quasi tutti messicani e asiatici e ciò spiega perché non aumenta il tasso di Occupazione (62%) nonostante l’enorme aumento di occupati, che rimane molto inferiore a quella della media europea. Gli aumenti di occupati sono avvenuti sia nei settori ben pagati della finanza, computer, internet, intelligenza artificiale dove i fisici e matematici ora lavorano, ma anche nei servizi a basso salario come i servizi di supporto alla sanità privata, vendite, ristorazione, pulizie, agricoltura dove lavorano gli immigrati. Si potrà notare che gli ingegneri sono rimasti stabili, nonostante l’enorme aumento degli occupati e del digitale.
Ora infatti l’idea è guadagnare con la finanza, il web, il management, come medici e dentisti delle assicurazioni private, avvocati, docenti universitari, nell’export di petrolio e gas (specie ora che si vende molto caro all’Europa al posto di quello russo che era a basso prezzo).
Chi paga questa dismissione nella produzione dei beni durevoli fisici che comporta un deficit commerciale mostruoso e che è andato crescendo nonostante le politiche protezionistiche avviate da Obama, aumentate con Trump e consolidate da Biden?