Per prima cosa dobbiamo citare le buone pratiche validate dal punto di vista scientifico, per cui abbiamo evidenze in senso positivo sullo sviluppo del bambino nei primi anni di vita: in parole semplici il mangiar bene, il dormire quello che serve, il movimento fin dalla nascita, lo stare all’aria aperta. Ma non dimentichiamo l’importanza del farsi le coccole, dello stare vicini, del giocare, parlare e cantare, far musica e leggere con il proprio bambino. Oltre a queste buone pratiche validate ci sono poi tante piccole buone abitudini che si strutturano nella relazione fra i genitori e i bambini fin dalla gravidanza e che hanno un’importanza fondamentale nei primi anni di vita. Tra queste penso soprattutto all’importanza dell’ascolto, del contatto fisico, del rispetto.
Come si trasmettono le buone abitudini ai più piccoli?
Parlare di buone abitudini non significa pensare a schemi di comportamento uguali per tutti. La realtà è più variegata perché ci possono essere tanti elementi che concorrono nella vita di una famiglia a far sì che anche aspetti che ci sembrano banali, come lo stare vicino al proprio bambino o il tenerlo in braccio, siano vissuti in modo diverso. La cultura di appartenenza, le esperienze di vita personali dei genitori, la relazione di coppia, il temperamento del bambino, l’esperienza della gravidanza e del parto, influenzano la relazione con il bambino e le scelte di cura e educative.
Per creare sane abitudini nei bambini, quanto è importante offrire loro un buon esempio da seguire?
Conta tantissimo, nel bene e nel male. L’imitazione è uno dei principali processi di apprendimento, i bambini imparano per imitazione, assorbono, vivono, sentono, guardano tutto quello che facciamo. Anche per questo la famiglia ha un ruolo così centrale nello sviluppo. Per questo motivo, ad esempio, in una famiglia abituata alla lettura è più facile che un bambino cominci a leggere, così come genitori che fanno più attenzione a seguire un’alimentazione sana trasmetteranno certe abitudini ai figli fin dallo svezzamento.
Al tempo stesso, però, possono essere i bambini a cambiare le abitudini dei genitori?
Assolutamente sì. Ci sono alcuni momenti particolari in cui la presenza di un bambino porta gli adulti a fare attenzione ad alcune cose che probabilmente se fossimo solo tra adulti non penseremmo nemmeno. Un bambino ci responsabilizza, accende spie di consapevolezza, fa interrogare su cosa mettiamo a tavola a pranzo o a cena, sul lasciare accesa la televisione mentre siamo in casa. Più i bambini crescono più possono contribuire a cambiare le nostre abitudini in maniera attiva, chiedendoci direttamente perché abbiamo detto o fatto una determinata azione. Tramite i compagni di scuola possono portare dentro casa argomenti e comportamenti nuovi che possono piacere o meno agli adulti. Se non alziamo un muro, anche queste possono essere occasioni di dialogo costruttivo.
Abbiamo parlato del ruolo della famiglia. Qual è, invece, quello del pediatra e della scuola?
Il pediatra può essere una figura significativa nella relazione col bambino, a seconda della frequenza con cui lo incontra e delle modalità di relazione. Lo stesso ambiente in cui lo accoglie può trasmettere messaggi importanti. Ma sappiamo anche che il pediatra ha un’influenza indiretta sul bambino attraverso i genitori che, soprattutto nei primi anni di vita del figlio, sono molto recettivi. Man mano che il bambino cresce anche la scuola ha un ruolo fondamentale, perché si apre ad altri modelli di riferimento che gli permettono di vedere il mondo da più punti di vista.
Come si cambiano le “cattive abitudini” nei bambini?
Bisogna guardare non solo al comportamento del bambino, ma soprattutto a che cos’è che muove quel tipo di comportamento, chiedersi in che momento di crescita è, quali bisogni sta attraversando, che esperienze sta facendo. Non è facile e serve pazienza, perché per capire cosa c’è dietro il comportamento di un bambino bisogna saper osservare. Ma provare a comprendere il “perché” è il primo passo per affrontare un comportamento che non ci piace. In base all’età del bambino, poi, si può provare a intraprendere un dialogo con lui. L’importante è non puntare mai il dito verso il bambino, ma mettere in discussione tutto ciò che succede all’interno della famiglia: le abitudini dei bambini sono lo specchio di ciò che accade in casa.
Quanto è importante – e su quali aspetti – per i bambini avere delle abitudini e una routine?
Ogni bambino quando nasce si trova catapultato in un ambiente sconosciuto, che può percepire anche come spaventoso. Ha quindi bisogno di sentirsi al sicuro e di capire come funziona la realtà che lo circonda per poter agire in essa. Per far ciò struttura dei modelli di comportamento già nei primissimi mesi. Facciamo un esempio: intorno al quarto mese di vita il bambino capisce quando sta per essere preso in braccio e protende le braccia, riesce a prevederlo perché ha osservato accadere questo comportamento con una certa regolarità. Per noi adulti il passato, il presente e il futuro sono dimensioni conosciute, mentre per il bambino piccolo tutto accade qui e ora e quindi è difficilissimo all’inizio immaginare ciò che succederà durante la giornata. Per questo le routine, le cose che accadono con una certa frequenza, più o meno simili o uguali, diventano punti di riferimento che lo aiutano a capire e a sapere cosa aspettarsi rassicurandolo e rendendolo via via più autonomo. Le routine possono essere importanti anche nei momenti di transizione da un’attività all’altra per permettere al bambino di vivere meglio il cambiamento: ad esempio tra la sveglia e l’uscita di casa, tra la cena e l’andare a dormire.
I bambini di oggi hanno abitudini diverse rispetto a quelle che avevano i bambini delle generazioni passate?
Alcune sono diverse, altre fortunatamente uguali. Pensando ad abitudini che saltano subito all’occhio come diverse mi vengono in mente il movimento e lo stare all’aria aperta: oggi i bambini per impegni familiari, per la vita cittadina trascorrono molto meno tempo all’aria aperta, muovendosi anche meno. Abitudine, quindi, peggiorata rispetto al passato. Sempre a causa dell’urbanizzazione e della diversa conformazione delle città è cambiata anche la modalità di socializzazione, che un tempo avveniva in contesti meno formali, come i cortili delle case o i parchi. Un altro aspetto, non necessariamente negativo ma spesso a rischio, è la fruizione dei media, perché oggi molti strumenti sono accessibili anche i bambini. Tra le abitudini cambiate in positivo l’aumento della lettura precoce, su cui però le differenze socioeconomiche e culturali creano nette divisioni in termini di disuguaglianze tra famiglie.
Oggi, forse, c’è maggiore consapevolezza su alcune questioni rispetto al passato. Nei prossimi anni potremmo avere una popolazione più attenta ad avere abitudini sane per la propria salute e per quella del pianeta?
Da pedagogista devo guardare con speranza al futuro e rispondere di sì. È difficile, però, generalizzare perché se da un lato le nuove generazioni crescono forse più informate, dall’altro bisogna vedere quanto l’informazione diventa consapevolezza e azione verso il cambiamento. Dovremmo stare attenti a non pensare solo a cosa accadrà domani, perché i pensieri e le idee dei bambini potrebbero contribuire un po’ a cambiare il mondo già oggi. I bambini sono gli adulti di domani, ma sono anche persone di oggi e dovremmo provare ad ascoltarli e a dargli più spazio. Nel mondo ci sono esperienze di amministrazioni che si sono fatte aiutare dai più piccoli nel prendere decisioni concrete.