di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La nostra Costituzione ha delineato in modo ineccepibile i valori, i poteri e le istituzioni di una autentica democrazia parlamentare. In un contesto di difficoltà post-bellica, con la presenza del maggiore partito comunista dell’Occidente, i nostri padri costituzionali hanno scelto il Parlamento come centro e cuore del potere della nostra democrazia, e ad esso hanno, in vario modo, riferito gli altri poteri, in particolare quelli di garanzia. Per cui il Parlamento oltre, che essere l’artefice dell’attività legislativa, l’elettore e il controllore del governo (attività esecutiva), l’elettore di un terzo del Consiglio superiore della Magistratura, e, in particolare, l’elettore, con maggioranze qualificate per la tutela del pluralismo, del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte costituzionale.
Questo assetto costituzionale dei poteri del nostro Stato è oggi, nei fatti, seriamente messo in discussione e in pericolo dalla maggioranza del governo Meloni, in particolare per quanto attiene il rispetto del ruolo del Parlamento. La prima forzatura si manifesta nella concreta attività legislativa che risulta sempre meno frutto delle proposte di legge e del lavoro di maggioranza e opposizione, per diventare sempre più un’assemblea finalizzata all’approvazione passiva e scontata delle proposte di legge e dei decreti presentati dal governo, spesso approvati con il voto di fiducia.
Leggi che sovente contengono numerosi decreti attuativi per cui l’intero processo legislativo è sempre più attività esclusiva del governo, Ad esempio, l’ultima manovra di bilancio è stata approvata giorni fa con 103 decreti di attuazione delle misure previste. Succede poi che, dovendo i decreti essere approvati entro 60 giorni, molte volte non si riesce a rispettare tale termine, per cui si cerca di superare il ritardo attraverso il loro accorpamento in un maxiemendamento da approvare in fretta, tramite il voto di fiducia, ma in tal modo non si rispetta l’articolo 72 della Costituzione che prevede una approvazione articolo per articolo, aumentando in tal modo il caos legislativo.
In questo contesto, all’opposizione rimane soltanto un ruolo impotente di protesta che, con il passare del tempo, diventa sempre più scontato, con evidente umiliazione dell’intero Parlamento, che in tal modo viene progressivamente spogliato anche della funzione di controllo. In aggiunta a ciò occorre prendere atto che per particolari provvedimenti, come la legge di bilancio, il Parlamento diventa di fatto monocamerale perché la seconda camera è costretta a limitarsi all’approvazione senza alcuna possibilità di modifica al fine di evitare l’esercizio provvisorio.
Questa prassi parlamentare realizza già, in buona parte, ciò che dovrebbe diventare il Parlamento con l’approvazione della riforma del premierato, ma ciò non appare sufficiente a chi ci governa. Con la riforma del premierato, che prevede l’elezione diretta del capo del governo, accompagnata da una nuova legge elettorale che, secondo l’ipotesi formulata, dovrebbe essere di segno proporzionale con un superpremio di maggioranza senza soglia minima, si potrebbe determinare una maggioranza tale per cui chi riesce a vincere di poco le elezioni può prendere tutto. Cioè, chi conquista la maggioranza col voto potrebbe trovarsi nella condizione di poter eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte costituzionale soltanto con i propri voti. Se a ciò aggiungiamo gli effetti di divisione del Paese con la riforma dell’autonomia regionale differenziata, tramite il possibile trasferimento di 23 materie alle Regioni, tra cui sanità e istruzione, senza aver definito i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), e la mutazione del rapporto tra magistratura e politica tramite la riforma della giustizia con la separazione delle carriere tra i giudici requirenti e quelli giudicanti, non c’è dubbio che la Costituzione viene cambiata in alcune parti fondamentali relative ai rapporti e all’equilibrio dei poteri dello Stato con conseguente modifica in senso illiberale della nostra democrazia parlamentare.
Tradotto in termini precisamente politici significa che in Italia oggi c’è al potere un governo che, pur avendo legittimamente vinto le elezioni, sia pure anche per la divisione della coalizione alternativa, non condivide alcuni tratti essenziali della nostra democrazia repubblicana e, all’esterno, rimane contrario al modello di Europa federale così come l’hanno sognata e legittimata, con l’articolo 11 della Costituzione, i nostri padri fondatori. Una grave anomalia destinata a mutare in senso fortemente regressivo il futuro del nostro Paese. Per questo credo sia necessaria una opposizione senza incertezze, utilizzando tutte le occasioni, elettorali e no, per ricondurre l’Italia nel percorso di democrazia per il quale hanno combattuto e sofferto i nostri padri.