di Carlo Piscicelli e Paola Colais. Pubblicato in Forward di dicembre 2024.
Il ricorso al taglio cesareo primario in Italia è tra i più elevati in Europa, è diminuito lentamente nel corso degli anni, passando da una media del 25 per cento nel 2015 al 23 per cento nel 2023. Tuttavia, queste percentuali restano ben al di sopra della soglia del 10-15 per cento raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), considerata ottimale per garantire il massimo beneficio complessivo per la madre e il bambino. Inoltre il dm70/2015 ha stabilito una quota massima di taglio cesareo primari del 25 per cento per le strutture con oltre 1000 parti all’anno e del 15 per cento per quelle con volumi inferiori. Escludendo le strutture con meno di 500 parti all’anno, la cui chiusura era già prevista dall’Accordo Stato-Regioni del 2010, nel 2023 solo il 14 per cento dei punti nascita con meno di 1000 parti all’anno e il 68 per cento di quelli con oltre 1000 parti hanno rispettato le proporzioni indicate dal dm 70/2015.
Permane una forte variabilità inter- e intra-regionale con un gradiente nord-sud a sfavore delle Regioni meridionali. La maggior parte delle Regioni del sud registra alti livelli di taglio cesareo, basse percentuali di parti vaginali dopo cesareo e un frequente ricorso all’episiotomia. Al contrario, nelle Regioni del Nord si rileva un minore ricorso al taglio cesareo, un maggiore utilizzo di parti vaginali dopo cesareo e un uso ridotto dell’episiotomia. L’Italia si distingue per avere un tasso di cesarei significativamente superiore alla media raccomandata, con notevoli variazioni regionali.
Va chiarito subito che il taglio cesareo è una scelta obbligata in situazioni specifiche. In caso di placenta previa o in presenza di un prolasso del cordone ombelicale, il cesareo non solo è preferibile ma rappresenta un intervento salvavita. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il cesareo non rappresenta l’opzione migliore per il parto. L’evidenza scientifica e il consenso degli esperti concordano sul fatto che i cesarei comportano, in media, maggiori rischi rispetto ai parti vaginali, ma ciò che rende il cesareo ancora più insidioso è il fatto che il rischio maggiore si verifica nei successivi interventi.
Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, c’è un fattore demografico: oggi si registra un aumento di obesità, ipertensione e diabete, le mamme sono più anziane. Esiste anche un problema economico, dato che il sistema attuale crea un vantaggio economico a favore dei cesarei, disincentivando la pratica di eseguire un parto vaginale. Anche il timore di una denuncia, in caso di esiti negativi per il bambino, è un fattore che può spingere i medici verso il cesareo.
Altro elemento da considerare, che rappresenta un fenomeno in costante aumento è la richiesta della gestante a partorire con il cesareo. Il diritto all’autodeterminazione materna va rispettato. Il problema è che quest’incontro ideale tra medico e gestante che insieme prendono una decisione realmente obiettiva e basata su una esaustiva informazione è difficile da realizzare.
sintesi di Alessandro Bruni
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