di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Gli Stati Uniti sono stati per decenni il leader della globalizzazione e del libero scambio. Clinton nel 1999 decide di consentire a tutte le banche di diventare d’affari e poter vendere prodotti speculativi contando sul fatto che in caso di fallimento avrebbero avuto un aiuto dallo Stato. Della serie “socializzare le perdite e privatizzare i profitti”. Da allora la finanza guida la stessa economia perché sono soprattutto i fondi finanziari che decidono quali sono le imprese su cui investire. Gli Stati Uniti sono diventati come il Regno Unito ai tempi della Tatcher che ha chiuso tutte le sue industrie dell’auto e fatto del Regno Unito la piattaforma europea delle auto giapponesi (allora leader).
Gli Usa sono il paese più permeabile al mondo agli scambi con l’estero ed è questa la ragione per cui hanno il maggior deficit della bilancia commerciale al mondo. Importano molto più di quello che esportano avendo deciso di smantellare la propria manifattura nazionale delocalizzando la produzione nei paesi a basso costo del lavoro con vantaggi per i consumatori americani ma svantaggi per i suoi lavoratori. E’, peraltro, su questa base che è iniziata l’ascesa di Trump, che si è fatto paladino degli operai della “rust bell”, la periferia industriale distrutta da 20 anni di delocalizzazioni in Cina, Messico, Vietnam, etc.
Trump pensa ora di fare “grande” l’America, introducendo dazi per ridurre l’import ed aumentare l’export. I paesi colpiti dai dazi reagiranno (vedremo quanto) e il risultato finale (secondo gli economisti classici) sarebbe quello di una perdita per tutti, nel senso che le merci costeranno di più per tutti i consumatori (americani e non) e non è detto che ciò porti ad un aumento degli occupati americani. Vedremo come andrà a finire, in quanto negli ultimi decenni, molte sono state le previsioni sballate degli economisti mainstream.
Oltre all’import di merci e servizi stranieri, Trump cerca di arrestare un fenomeno devastante per gli Stati Uniti che è la diffusione del Fentanyl, una droga (oppiaceo di sintesi) che ha prodotto un aumento enorme di morti nella fascia di età 45-54 anni (soprattutto uomini bianchi) che ne hanno fatto un uso massiccio quando si sono trovati senza lavoro, depressi, ammalati o a vivere in solitudine a partire dal 2015.
Ciò spiega perché la speranza di vita in Usa ha avuto un calo eccezionale (unico paese tra quelli avanzati) tra il 2015 e il 2020, calando da 78,8 anni nel 2014 a 76,3 nel 2021. (per memoria nel 2021 la speranza di vita è per gli inglesi 80,7 anni, per i tedeschi 80,9 anni, per i francesi 82,3, per gli italiani 82,7, per gli svedesi 83,2 anni, per i giapponesi 84,5 anni. Per i russi è 71,3 anni, ma era 65,1 nel 2002).
Case e Deaton nel libro Deaths of Despair (ed. 2020) (ed. italiana "Morti per disperazione e il futuro del capitalismo", Il Mulino, 2021) analizzando la mortalità Usa dal 2000, fanno notare come essa abbia colpito in particolare i bianchi (uomini e donne) dal 2000 in poi nella fascia di età 45-54 anni per alcolismo, suicidi e dipendenza da oppiacei, proprio nel momento in cui cresceva la spesa sanitaria degli americani per le assicurazioni private. Mentre in tutti i paesi la mortalità diminuiva, negli Stati Uniti è passata (per questa fascia di età) da 40 per 100mila abitanti nel 2000 a 80 nel 2020 (in Europa è andata diminuendo ed è oggi la metà dii quella degli Usa).
Rammento che la spesa sanitaria negli USA è la più alta al mondo (18% del Pil Usa) quando in Europa si aggira nei paesi che spendono di più -Regno Unito, Svezia e Germania- attorno al 10-12% (in Italia 6%). Case e Deaton mettono in luce come le grandi aziende farmaceutiche con la collaborazione di ospedali, medici senza scrupoli abbiano fatto approvare dal Congresso nel febbraio 2016 una legge (Ensuring Patient Access and Effective Drug Enforcement Act) che vietava alle autorità sanitarie la sospensione dell’uso degli oppiodi e alla DEA (autority sui farmaci) di riferire al Congresso su “ostacoli all'accesso legittimo dei pazienti a queste sostanze”. Non è quindi strano che si sia creata una diffusone di massa di questi antidolorifici portando poi ad un’enorme dipendenza da farmaci e mortalità per overdose passata dai mille morti del 2014 ai 10mila nel 2016 e ai 45mila del 2023 (per memoria: 25mila morti per arma da fuoco, 21mila da incidenti d’auto).
Gli ingredienti del fentanyl sono acquistati in Cina e India e fabbricati in laboratori clandestini in Messico dai narcotrafficanti che usano spesso americani insospettabili per spacciarli negli Stati Uniti. Un esempio di come la società americana, al di là del Pil, dei suoi mitici miliardari, geni tecnologici e delle borse si stia disgregando con l’aiuto del consumismo, dell’individualismo, della religione zero e sulla spinta di potenti lobby prima di tutto industriali americane. Siamo lontani dall’America buona del New Deal di Roosevelt che decise di tassare i ricchi e istituire un contro potere sindacale, di trasformare la classe operaia nella classe media benestante, dell’America vincitrice della seconda guerra mondiale, dell’America dei Kennedy. Quell’America buona non esiste purtroppo più e Dio sa quanto ci converrebbe prenderne le distanze come Europa e andare per la nostra strada, prima che sia troppo tardi.
Trump è stato eletto la prima volta il 20 gennaio 2017, un anno dopo questa legge. Forse non si era accorto di tutto ciò o chissà forse l’aveva anche incoraggiata. Sta di fatto che oggi il nuovo ministro della salute Kennedy lo ha convinto a condurre una lotta che lui ha sempre fatto contro certe case farmaceutiche e contro il fentanyl che sta contribuendo a disgregare una società (quella americana) che i nostri media vogliono farci credere molto più forte e in salute di quanto non sia.
Nota esplicativa di Alessandro Bruni sul trumpismo dilagante. Questo blog non ha come fine l’esposizione di situazioni politiche e partitiche né per quanto riguarda l’Italia, né per altre nazioni. Ciò che ci interessa sono le ricadute sociali che la politica nazionale e internazionale determinano nella qualità della vita di persone comuni quali noi siamo. Pertanto, il prevalente interesse per la nomina di Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha per noi riflesso per quanto avrà sulle persone svantaggiate per conflitti armati, povertà, alimentazione, sanità. A fornire informazioni, dalla geopolitica allo scontro tra poteri, al determinare vinti e vincitori su qualsiasi scena, non mancheranno i media cartacei e digitali scrivendo di cronaca politica e partitica, di schieramenti, di conflittualità sovraniste, di ambigui vassallaggi, di indicazioni di vincitori e vinti. Noi continueremo a guardare a coloro che sono costantemente vinti, al mondo degli emarginati, dei perdenti, degli sfiduciati. Saremo poca cosa, ma ci interessano più le riflessioni post eventi politici, le riflessioni non urlate, ma confrontate con colloqui sereni al tavolo di cucina tra la nostra famiglia e i nostri amici fraterni di ogni posizione politica essi siano. I post che pubblicheremo sul trumpismo dilagante avranno questo fine e il nostro schieramento sarà sui contenuti sociali che il trumpismo determinerà con la ferma proposizione di non essere sudditi di nessuno. Non ci preoccupa essere dei perdenti liberi.