di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Il governo Meloni, arrivato a metà legislatura e fortemente impegnato per completarla, dal punto di vista della durata è considerato tra i più stabili governi in Europa. Il rimanere comunque in sella è considerato un fatto positivo in sé, per cui la stabilità del governo diventa sinonimo della sua durata, indipendentemente dalla qualità della politica realizzata.
Nel caso del governo italiano, il rapporto tra durata e qualità politica presenta un elevato grado di contraddizione che la martellante propaganda governativa riesce malamente a coprire. Alla radice di tale squilibrio c’è un patto di potere che regge la coalizione di centrodestra, fondato su finalità più o meno diverse dei tre partiti, che ha consentito, di raggiungere una solida maggioranza nei due rami del Parlamento con le elezioni del 2022, vinte dal centrodestra già in partenza per il diverso grado di unità delle coalizioni in competizione. Il rimanere al governo è assunto come l’obiettivo primario, al quale la mediocre qualità della classe dirigente della maggioranza subordina ogni scelta politica.
L’azione politica del governo, al di là dei contenuti sui quali si è facilmente disponibili ad adattare le scelte in relazione al consenso, si sviluppa in concreto in due direzioni: la progressiva occupazione dello Stato attraverso un gestione partigiana delle nomine e una propaganda aggressiva sulle presunte realizzazioni positive del governo accompagnata da una continua polemica contro la sinistra, protagonista di tutte le malefatte della politica.
Questa realtà emerge, in tutta la sua preoccupante drammaticità, anche in alcuni recenti fatti sui quali si è concentrato lo scontro politico. L’improvviso rimpatrio, da parte del governo italiano, con volo di Stato, del generale libico Almasri, ricercato come criminale contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale dell’Aja, ha determinato una comunicazione da parte del procuratore di Roma Lo Voi, al tribunale dei ministri e agli interessati: la premier, Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, di una iscrizione sul registro degli indagati per peculato e favoreggiamento.
Situazioni simili si sono verificate in passato con altri premier, gestite con responsabilità istituzionale e archiviate dal tribunale dei ministri senza alcun problema per i relativi governi. In questo caso invece la premier Meloni, dopo aver informato della comunicazione il Quirinale, ha improvvisamente scatenato un durissimo attacco alla magistratura sui social denunciando il subdolo tentativo di mettere in crisi il governo. Rispetto a tale attacco di segno politico lei si è dichiarata non ricattabile e perciò intende tirare dritto per la sua strada.
La singolarità e l’assurdità di tale scontro è dimostrata dal fatto per cui, mentre il centrodestra protesta perché una questione squisitamente politica è finita in tribunale, la premier polemizza sui social con i magistrati mentre rifiuta di chiarire la questione in Parlamento, come richiesto dall’opposizione. Un grave segnale di ulteriore marginalizzazione del Parlamento e di assenza del senso delle istituzioni. Ma, oltre a ciò, il conflitto con la magistratura viene scientemente radicalizzato a dismisura con la nomina della senatrice Bongiorno avvocato difensore, con una serie di denunce contro il procuratore Lo Voi fin dall’interno del Csm, nella totale indifferenza di fronte alla richiesta della Corte internazionale. mentre Fratelli d’Italia arriva ad ipotizzare una manifestazione di piazza della maggioranza.
Poiché, molto probabilmente il tribunale dei ministri archivierà la denuncia, il senso vero di tale incomprensibile conflitto lo esprime la stessa Meloni ritornando a farsi viva sui social per plaudire al successo personale e del suo partito registrato dai sondaggi a riprova della sua coerenza per l’interesse nazionale. Una scelta nel solco della propaganda per aumentare il consenso anche se divide e spacca il Paese. Ma i limiti della politica del governo si manifestano anche con il colpevole silenzio sull’economia ora a crescita zero e con un modesto +05% nel 2024, sotto la media europea. O con il maldestro tentativo, tramite la partecipazione del Tesoro in Mps, di acquisire Mediobanca per dar vita a un terzo polo bancario guidato dal centrodestra.
Per non parlare dello scandalo delle mancate dimissioni della ministra Santanchè, indagata per falso in bilancio e truffa ai danni dello Stato, che da mesi si trascina in contraddittorie dichiarazioni tra il “io resto”, “me ne frego” “ vado se me lo chiede Meloni”, ben sapendo che la premier non decide perché senza dimissioni ritornerebbe all’ordine del giorno il rimpasto di governo, con la rimessa in discussione di altri casi anomali, oggi congelati, fino ad una possibile crisi di governo. Un quadro preoccupante, sia dal punto di vista costituzionale che dell’efficienza politica. Nell’attuale disordine mondiale l’Italia rischia troppo, per cui la necessità di un’alternativa credibile, che ancora non c’è, chiama in causa Pd e alleati vecchi e nuovi per uscire dall’incertezza e compiere scelte conseguenti.