di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Con l’elezione di Trump, come avevamo detto più di un anno fa, si profila la fine (finalmente) della guerra in Ucraina. I pacifisti, come noi, sono sempre stati accusati dal blocco atlantista di fare gli interessi della Russia, dell’aggressore, ribattezzato neo Hitler, a favore delle dittature, contro la democrazia e via di questo seguito. Saremmo dei “pacifinti” e ancora oggi c’è chi si oppone alla pace perché essa darà piena soddisfazione alla Russia (l’accordo prevederà che Donbass e Crimea saranno russi e l’Ucraina rimarrà neutrale non entrerà nella Nato) e, secondo questi analisti, creerà le condizioni per un futuro attacco a territori europei.
Emmanuel Todd ha scritto (ragionevolmente) che questa narrazione/propaganda atlantista non ha alcuna base realistica per la semplice ragione che la Russia non sarebbe in grado dii supportare una guerra contro gli europei. Ha una crisi demografica che le impedisce di supportare la conquista di altri territori, avendo già con una piccola popolazione un territorio immenso da gestire e l’economia russa è molto debole e non sarebbe in grado di sostenersi se dovesse combattere per anni in territori europei che certo si opporrebbero, come gli ucraini. Ci sarebbe inoltre la reazione della Nato che è ben altra cosa di quella dell’Ucraina. La Russia ha infine un enorme interesse a dialogare con l’Europa in quanto non solo ne fa parte, ma ha un’economia complementare (materie prime vs tecnologia occidentale).
Ora, al di là di chi abbia ragione in questo conflitto e se sia davvero vero che la Russia è l’aggressore e l’Ucraina (o Nato) l’aggredito, non c’è dubbio che, se le posizioni dei pacifisti fossero state seguite e si fosse fatto un accordo di pace in aprile 2022 mediato dalla Turchia, oggi l’Ucraina avrebbe conservato molto più territorio, ci sarebbero stati centinaia di migliaia di morti e feriti in meno (da ambo le parti), moltissimi danni materiali e ambientali in meno e un ‘Europa che sarebbe uscita da questo conflitto non nelle pessime condizioni di dignità in cui si trova oggi, costretta a far “buon viso a cattiva sorte”, o meglio a lustrare le scarpe all’alleato USA che non la considera minimamente. Una figuraccia stratosferica a scala mondiale.
Del resto era tutto prevedibile e non avevano certo la sfera magica per capire che sarebbe andata così. Bastava aver letto il libro del nostro ex ambasciatore Stefano Pontecorvo (l’ultimo aereo da Kabul) al tempo coordinatore Nato in Ucraina (e certo non sospettabile di essere un putiniano) per capire che la NATO non è un’organizzazione militare in cui decide (come in un parlamento) chi ne fa parte, ma a decidere sulle questioni che contano (allora coi talebani) sono solo gli Stati Uniti e senza neppure consultare (come avvenne anche allora) non solo gli alleati ma neppure il Governo afgano in carica. Oggi la storia si ripete con l’aggravante che c’era chi (i pacifisti) allora (febbraio e marzo 2022) aveva detto a chiare lettere cosa sarebbe successo in mancanza di una pace che avrebbe certo concesso alla Russia anche alcune sue condizioni.
L’Europa esce del tutto umiliata da questa situazione per la grave responsabilità delle sue élite che non hanno mai capito nulla dei cambiamenti geopolitici in atto e di quello che stava succedendo e che hanno assunto decisioni in gran parte non solo contrarie a quello che pensava la maggioranza dei suoi cittadini, erodendo, su un fatto strategico, il valore della democrazia, ma anche contro i loro stessi interessi, pur di assumere servili posizioni di subordinazione alle strategie degli USA, che hanno voluto questa guerra (come le altre precedenti, Kosovo 1999, Iraq 2003, Libia 2011) per meri interessi nazionali e del tutto contrari a quelli di un’Europa libera ed indipendente nel mondo.
Senza parlare degli enormi danni creati non solo ai belligeranti (morti, feriti, distruzioni), ma alle stesse condizioni di vita degli europei che hanno dovuto subire una caduta del tenore di vita e una caduta della dignità morale nei confronti degli Stati Uniti che oggi ci trattano come stupidi servi (e del resto del mondo).
E’ quindi comprensibile lo choc di molti commentatori mainstream che oggi si rendono conto di aver sbagliato tutte le analisi e le proposte e che istericamente ululano alla fine dell’Occidente e al disastro più totale che porterà (udite, udite) ad una nuova guerra di aggressione della Russia verso territori europei, da cui l’idea demenziale di un forte riarmo in tutta Europa, che porterà solo ulteriore impoverimento. Inutile dire che queste affermazioni porteranno ad una crescita (più prima che poi) di quei partiti (quasi tutti di destra) che vogliono riprendere il dialogo con la Russia e abbattere questa Europa non filo americana ma servo americana.
Angelo D’Orsi su Il Fatto quotidiano del 27 agosto 2023 rammentava quanto è successo nella guerra del Peloponneso tra le polis (città-Stato) di Atene (in declino) e Sparta (in ascesa) che durò 27 anni, dal 431 al 403 a.C. e cita un articolo di Graham Allison, professore di Harvard, sul Financial Times nel 2012, in cui usò l’espressione “trappola di Tucidide”, per indicare quando una potenza egemone vede sorgere uno Stato che può strappare questa leadership. In questo caso succede che la potenza egemone passa all’attacco prima che il rivale si affermi usando una raffinatezza tattica che consenta all’”aggressore” (la potenza in declino) di risultare “aggredito”.
La Russia ha vissuto un decennio terribile dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS (1991) con una gestione da parte di Boris Eltsin in cui il paese è stato preda di ogni sorta di trafficanti con privatizzazioni e liberalizzazioni selvagge che hanno formato i famosi oligarchi. Il Pil in quel decennio è stato disastroso e c’è stato un impoverimento di massa mai conosciuto nell’URSS, in cui i poveri assoluti sono passati dall’1,5% al 40% della popolazione (fonte Banca Mondiale) e le disuguaglianze sono salite alle stelle (indice di Gini da 28,9 del 1991 a 40 nel 2000).
La concentrazione della ricchezza è stata dovuta al sistema predatorio in cui le élite politiche (cosiddette comuniste) si sono appropriate delle principali ricchezze pubbliche (petrolio incluso), insieme a banche e finanza estera che hanno acquistato a prezzi irrisori parte del patrimonio pubblico, acquistando le azioni di molte imprese, banche che erano state distribuite dal regime ai cittadini. Ciò produsse in quel decennio un forte deterioramento delle condizioni di vita, di salute, un aumento di suicidi, alcolismo, disoccupazione e della mortalità.
Non stupisce quindi che l’elezione di Putin nel 2000, avendo ricostruito nei successivi 20 anni il potenziale economico della Russia e un rilancio del tenore di vita di cui la crescita della speranza di vita è il dato più sintetico e affidabile (da 65 anni del 2001 a 71 anni nel 2020, proprio mentre negli Stati Uniti calava da 78 anni a 76) e il suo ruolo di potenza mondiale (seppure a prezzo della fine di ogni democrazia e di ogni oppositore), abbia riscosso un enorme consenso tra i russi che dopo l’invasione in Ucraina è salito all’85%.
La Russia di Putin aveva avviato un dialogo con la Germania (ma anche con l’Italia), che avrebbe potuto creare un formidabile polo concorrente agli Stati Uniti e per questo è stato avversato in molti modi. Da qui la probabile scelta di mettere Putin con le spalle al muro in Ucraina.
Heinrich Joris von Lohausen, uno dei congiurati contro Hitler che sfuggì alle SS e potè testimoniare a Norimberga contro Goering, scrisse che bisogna sempre distinguere l’aggressore “operativo” da quello “strategico” che prepara le condizioni affinchè, come dicono Tucidide, von Lauhsen e Allison, la responsabilità cada sull’aggressore “operativo”.
Nel 2014 ci fu un cambio di governo in Ucraina (da filo Russia a filo Occidentale). C’è chi dice (con prove e documenti) che quel cambio di governo fu organizzato dagli americani. Non lo sappiamo ma è certo che se c’era così tanto dissenso col governo filo russo si potevano aspettare le libere elezioni dell’anno dopo (2015) per fare un cambio di governo legale e già nel 2015 furono siglati gli accordi di Minsk che prevedevano una sostanziale autonomia del Donbass. Negli anni successivi non solo non si diede attuazione a tali accordi ma crebbero le pressioni dell’Ucraina sulla popolazione del Donbass, con azioni terribili (non solo militari) come quella di proibire di parlare in russo anche in privato ad una popolazione che parlava russo da secoli. Cosa succederebbe se gli italiani proibissero nel Südtirol all’80% della popolazione di origine tedesca di parlare in tedesco?
Putin poteva rimanere inerte di fronte alla liquidazione dei cittadini russofoni “fratelli” del Donbass? Poteva rinunciare alla Crimea che è sempre stata russa e che offre alla Russia una posizione strategica nel mar Nero? Poteva accettare l’espansione della Nato ai suoi confini perdendo la neutralità dell’Ucraina, sempre promessa anche dalla Nato? Se fosse stato Gandhi o un pacifista si…ma non certo lo “zar” Putin.
La guerra del Peloponneso finì con la vittoria di Sparta, ma come dice il motto “Se Atene piange, Sparta non ride”, fu una sconfitta per tutto il mondo greco che perse la sua egemonia nel mediterraneo.
La storia non si ripete ma per tanti aspetti è fonte di riflessione. Una guerra lunga è rovinosa per l’Ucraina in primis ma anche per la Russia e l’Europa. Può servire alla Cina e agli Stati Uniti ma non certo a Ucraina, Russia e Europa. Più prosegue, più questi Paesi diventeranno poveri, vulnerabili e dipendenti dai due veri contendenti mondiali: Ucraina ed Europa dagli Stati Uniti. La Russia dalla Cina.
Commento di Alessandro Bruni. Andrea Gandini espone con chiarezza l'evoluzione delle posizioni geopolitiche ed economiche di queste due guerre che hanno dilaniato i popoli i cui governi non hanno trovato la strada politica di negoziato per evitare una strage di sangue e di risorse economiche. Il negoziato, l'attenzione ai diritti dell'altro, il vuoto delle parole di pace dette impugnando le armi, la sottotraccia di cercare comunque e dovunque un futuro vantaggio di potere, sembrano oggi arrivate ad un bivio importante. Viene da dire che ogni azione che permetta la fine del conflitto armato è benvenuta, ogni azione che porti al silenzio delle armi è la prima condizione per trovarsi attorno al tavolo della negoziazione e quindi della pace. Il pericolo, non piccolo di oggi, è la presenza dello spirito di Tucidite, è nel non considerare che nella relazione tra persone e tra popoli la forma è sostanza. Questa modalità di ricerca della pace è di fatto esperita con la forza, con il potere economico, con la minaccia di soluzioni drastiche unilaterali che finiscono col preludere ad una paura di globalizzata perdita della qualità della vita (autonomia, economia, sanità mondiale). Non è una pace raggiunta con il negoziato, ma una espressione di potere autoritario e non una azione di equa autorevolezza delle ragioni altrui e quindi anche della nostre. Viene da chiedersi quanto potrà durare una pace imposta con il potere, quanto questa espressione sovranista sotto minaccia potrà essere accettata. La pace è, dunque, di fatto assai delicata, tutti la guardiamo con speranza, ma dobbiamo anche valutare che nella storia le paci raggiunte con l'imposizione hanno sempre portato a conflitti ancora più dolorosi con il governo poliziesco del più forte, con la ribellione terroristica, con l'alienazione di ogni umanesimo. Pertini disse che preferiva vivere in una democrazia debole piuttosto che in una dittatura forte. L'unica cosa che forse ci può fare sperare è che le guerre consumano grandi risorse economiche e umane e deprimono i consumi che sono alla base del capitalismo dei poteri economici in larga crescita. Siamo dunque a friggere in una padella tra guerre armate e di potere economico che non considerano l'individuo come tale ma come suddito asservito. Tutto questo, storicamente, non può che preludere ad una rivoluzione, ad una mina a tempo che non si sa quando scoppierà.
Nota esplicativa di Alessandro Bruni sul trumpismo dilagante. Questo blog non ha come fine l’esposizione di situazioni politiche e partitiche né per quanto riguarda l’Italia, né per altre nazioni. Ciò che ci interessa sono le ricadute sociali che la politica nazionale e internazionale determinano nella qualità della vita di persone comuni quali noi siamo. Pertanto, il prevalente interesse per la nomina di Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha per noi riflesso per quanto avrà sulle persone svantaggiate per conflitti armati, povertà, alimentazione, sanità. A fornire informazioni, dalla geopolitica allo scontro tra poteri, al determinare vinti e vincitori su qualsiasi scena, non mancheranno i media cartacei e digitali scrivendo di cronaca politica e partitica, di schieramenti, di conflittualità sovraniste, di ambigui vassallaggi, di indicazioni di vincitori e vinti. Noi continueremo a guardare a coloro che sono costantemente vinti, al mondo degli emarginati, dei perdenti, degli sfiduciati. Saremo poca cosa, ma ci interessano più le riflessioni post eventi politici, le riflessioni non urlate, ma confrontate con colloqui sereni al tavolo di cucina tra la nostra famiglia e i nostri amici fraterni di ogni posizione politica essi siano. I post che pubblicheremo sul trumpismo dilagante avranno questo fine e il nostro schieramento sarà sui contenuti sociali che il trumpismo determinerà con la ferma proposizione di non essere sudditi di nessuno. Non ci preoccupa essere dei perdenti liberi.