di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Da sinistra si passa a destra. La Groenlandia è stata una colonia danese dal 1721 al 1953, poi parte integrante della Monarchia danese è dal 1979 una regione autonoma per le questioni interne (non per politica estera e difesa) ed ha un accordo del 2009 con la Danimarca che può fare un referendum per la propria indipendenza, a cui pare siano favorevoli il 90% dei suoi abitanti gli inuit (mangiatori di carne cruda).
Il rischio è però di perdere quei 554 milioni di sussidi danesi che oggi rappresentano il 40% della sua spesa, qualcosa come 10mila euro all’anno per abitante (quanto spendeva Gheddafi per ogni famiglia libica, da cui il grande consenso che aveva dalle varie tribù non troppo amiche tra loro). La Groenlandia faceva parte dell’Unione Europea fino al 1985 da cui è poi uscita per non voler rispettare le quote sulla pesca imposte dalla UE, che rappresenta un settore fondamentale per la sua economia.
Altissima (66%) la partecipazione al voto dei 57mila abitanti che così votato per i 31 seggi del parlamento:
- L’opposizione di centro-destra e centro hanno vinto.
- Il prossimo primo ministro sarà il giovane di 33 anni Nielsen di centro-destra, laureato in scienze sociali che ha lavorato nell’immobiliare. E’ favorevole all’indipendenza (come tutti) ma non prima del 2029, perché prima bisogna diventare indipendenti economicamente dalla Danimarca (che sussidia metà spesa pubblica). Il suo programma prevede di pescare di più (la precedente legge dell’ecologista Egede) la limitava oltre 3,5 miglia marine dalla costa (in questo settore lavora il 40%), tagliare le tasse e la burocrazia, la settimana di lavoro a 32 ore come in Islanda.
- Al secondo posto è Naleraq (centro) che ha buoni rapporti con Trump e chiede il referendum sull’indipendenza subito. Ma Nielsen potrebbe allearsi anche con l’ex capo del governo precedente (il giovane di 38 anni Múte Bourup Egede) che ha anticipato le elezioni di un mese e che era a capo di una coalizione tra il suo partito (Inuit Ataqatigiit), di sinistra ecologista e indipendentista, e i socialdemocratici di Siumut.
Trump si era rivolto agli abitanti dell’isola dicendo: «Continueremo a prenderci cura di voi come abbiamo fatto fin dalla II Guerra Mondiale. Siamo pronti a investire miliardi di dollari per creare nuovi posti di lavoro e rendervi ricchi e se lo vorrete, vi daremo il benvenuto nella nazione più forte del mondo, gli Stati Uniti d’America» a cui l’ex premier Egede aveva risposto: «il futuro della Groenlandia lo decidono i groenlandesi». Vedremo ora cosa dirà il nuovo governo.
L’isola più grande al mondo (metà Europa) è ricca di giacimenti minerali, petrolio, metalli preziosi e terre rare, ma soprattutto è adiacente alla futura rotta marittima dalla Cina all’Europa che passa per acque di fronte alla Russia e che è metà di quella per Suez. E’ anche sede di una base USA per la sorveglianza spaziale e la difesa missilistica.
Il tema del referendum per l’indipendenza dalla monarchia danese, annunciato a capodanno dal premier Egede, era sparito dall’agenda politica del suo partito, che è stato invece il principale punto della campagna elettorale di Narelaq. I dibattiti che hanno coinvolto le diverse municipalità, mettendo a confronto i 5 partiti che si presentavano alle elezioni, sono stati incentrate molto di più su temi locali: la carenza dei servizi sociali nelle comunità più lontane dalla capitale le problematiche inerenti l’industria della pesca che lamenta scarsità di manodopera interna, le tasse e la settima di lavoro. La proposta della sinistra di Ia di prevedere un’agenzia statale per la gestione e l’estrazione delle risorse minerarie, nazionalizzando l’intera filiera estrattiva, non ha suscitato particolare consenso. La proposta era volta ad avere quell’indipendenza economica dalla Danimarca che, ad oggi, trasferisce al governo autonomo dell’isola circa il 40% delle risorse di bilancio.
Le sinistre groenlandesi hanno perso la maggioranza a favore del partito di centro-destra di Nielsen (30%) e di centro di Narelaq (25%) e su cui ha puntato Trump. Con loro si è candidato il parlamentare socialdemocratico Kuno Fencher che a gennaio era volato a Washington per incontrare esponenti repubblicani del congresso ricevendo al suo ritorno un procedimento di espulsione dal suo (ex) partito. Il successo di Nielsen e Narelaq cambia completamente le prospettive del paese.