di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Perché l’Europa ha deciso solo ora il ReARm? Perché una emergenza che invoca l’art.122 per bypssare il Parlamento? La guerra in Ucraina è in corso da tre anni, sarebbe stato più razionale deciderlo prima, subito dopo l’invasione della Russia nel febbraio 2022 o, al più tardi, in aprile, come arma di pressione sul negoziato in corso. Qual’è quindi l’urgenza di questa decisione che arriva proprio nel momento in cui si stanno avviando (finalmente e dopo 3 anni) i negoziati per la pace?
Se non diamo risposta a questa banale domanda non si capisce cosa sta avvenendo e perché il “Re” Europa è nudo.
Il progetto da 800 miliardi di ReArm dell’Unione Europea è un tentativo (tardivo e disperato) di riportare l’Europa al tavolo della Nuova Yalta che stanno confezionando Trump e Putin, avendo però presente che esiste un altro convitato di pietra chiamato Cina.
Ciò che è in ballo è molto più della pace tra Russia e Ucraina, del Donbass o della neutralità dell’Ucraina. In ballo ci sono le nuove “sfere” di influenza dei prossimi decenni e un sacco di relativi affari che porteranno vantaggi solo a chi si siede a quel “tavolo”. Non è la prima volta che acerrimi nemici dopo decenni di guerra si alleano creando scompiglio tra i vecchi alleati nei rispettivi campi. Successe nel 421 a.C. con l’”inaudita alleanza” tra Atene e Sparta che si facevano guerra da 50 anni e altre volte nella storia.
Trump non ha mai celato che avrebbe radicalmente cambiato la politica estera americana, abbandonando l’idea di un governo unilaterale del mondo e scendendo a patti con Cina e Russia, pur di fare affari per la sua America. Del resto Cina, Russia (e i Brics) avevano deciso da tempo (formalmente dal 2009) che erano mature le condizioni (economiche, tecnologiche, di materie prime contro finanza occidentale) per imporre agli Stati Uniti una Nuova Yalta.
Qualcosa si era percepito già con Obama, dopo la crisi del 2008 dei subprime (e della globalizzazione) come “economia incantatrice”. Obama aveva cominciato a distanziarsi dall’impostazione dei “geopolitici-gerontocratici di Washington” (formatisi al tempo della guerra fredda), facendo entrare la Russia nel WTO nel 2012 e rifiutandosi di armare l’Ucraina dopo l’inizio delle guerra civile in Donbass nel 2014. Lo stesso Biden, che pure aveva ripreso la strategia neocon del dominio unilaterale e dello smembramento della Russia, aveva proposto a Zelensky di fuggire in elicottero nei primi giorni dell’invasione russa, ma poi, come spesso accade nella storia, essa prende (con l’inaspettata resistenza ucraina) un’altra piega.
Europa e Inghilterra, seguendo da sonnambuli la via della guerra dell’amministrazione Biden (incluso il sabotaggio a Istanbul in aprile 2022), si sono trovate fuori dai “giochi” con il cambio di strategia di Trump che è “inaudito” per chi si era illuso che Trump scherzasse e non aveva colto la profondità della disgregazione sociale (ed economica) degli Stati Uniti.
Lo slogan “Make American great again” non è una sparata propagandistica ma il tentativo di rispondere ad un malessere profondo degli americani.
Se non è certo che la strategia di Trump sarà efficace, è invece certo che chi siederà al “tavolo” della Nuova Yalta incasserà vantaggi economici concreti per i propri cittadini. E’ quindi comprensibile il panico e l’isteria delle élite europee (e inglesi) che si vedono escluse, per la prima volta negli ultimi 110 anni dal tavolo dei “vincitori” e sostituiti con russi e cinesi, proprio dagli Stati Uniti.
Ben altrimenti sarebbe stato se l’Europa, costruitasi con una propria statualità federale, avesse avviato una propria forza armata e relativa politica estera già 20 anni fa e fosse intervenuta, a quel punto, in Ucraina con la propria voce tonante sia con le armi che con la diplomazia. Ma in questo caso non ci sarebbe forse stato neppure l’allargamento ad est, neppure il cambio di regime a Kiev nel 2014 (voluto dagli americani), neppure l’invasione russa nel 2022, perché si sarebbe (probabilmente) affermata quell’Ostpolitik (che la stessa Merkel ha coltivato per anni con discrezione) e quel dialogo con la Russia che metteva Europa e Russia in sicurezza con un’Ucraina neutrale.
Oggi fa una certa impressione che sia proprio l’Inghilterra (del dopo brexit) a porsi a capo dei volenterosi europei per una forza di garanzia per l’Ucraina (all’interno di accordi di pace) che è improbabile venga accettata da Trump-Putin. Un’armata brancaleone post brexit come disperato (tardivo) tentativo di sedersi con uno ”strapuntino” al tavolo della Nuova Yalta. A questo serve il ReArm, per questo è urgente: far capire che ci siamo anche noi europei (e inglesi) al fine di avere una fetta della “torta” al grido di democrazia e libertà.
ReArm prevede che i singoli paesi possano aumentare il loro debito in spesa militare nei prossimi 7 anni (fino al 2031) dell’1,5% del PIl. Fuori tempo massimo, va in direzione opposta (a mio avviso) alla missione spirituale dell’Europa dei popoli, già indicata dal Manifesto di Ventotene da Spinelli e Rossi nel 1941, come forza armata comune (indipendente dagli Usa).
Se fosse nata agli albori della UE o anche 10 anni fa, avremmo avuto il tempo per uniformare eserciti e armi creando quelle economie di scala e quella forza armata comune che sarebbe costata molto meno della somma delle attuali spese dei 27 membri (315 miliardi). E con le economie si sarebbe potuto avviare un welfare europeo che è ciò che interessa ai cittadini, mentre i capi cercano di accumulare vantaggi (da sempre) con le guerre e le logiche di potenza.
Ora è non solo tardi ma giunge paradossalmente quando sono in corso (di nuovo, finalmente) i negoziati per la pace tra USA, Russia e Ucraina, già sabotati in aprile 2022 dagli inglesi che ora guidano il ReArm. E qual’è il messaggio che quindi manda l’Unione Europea? Che sarebbe bene continuare la guerra in Ucraina (per la pace “giusta”) a costo (e così sarà se continuerà la guerra) di ulteriori mutilazioni dei territori ucraini e della loro gioventù, perché la Russia ha vinto la guerra e, se continua, vincerà ancora di più.
La Russia potrebbe non accettare, in pochi giorni, la tregua dei 30 giorni sia perché punta ad una pace duratura, sia perché l’accordo con gli Stati Uniti va ben oltre l’Ucraina e dovrà vedere coinvolta (seppure nessuno credo ne farà cenno) quella Cina che siede al tavolo come un convitato di pietra.
Nella storia non è la prima volta che chi si batte per una tregua non riesce subito nel suo intento: la Germania prese questa iniziativa nel 1916, Papa Benedetto XV nel 1917, ma le potenze anglosassoni “democratiche” lo respinsero perché volevano una vittoria piena. Non sarebbe quindi strano che la Russia, in vantaggio sul campo (come allora i vincitori della prima guerra mondiale), non avesse fretta di chiudere una guerra se non porta ad una pace duratura e ad una Nuova Yalta, sfruttando gli enormi errori di valutazione delle élite americane pre Trump e di quelle europee rimaste ora orfane del loro imperatore.
Se l’intero spazio fiscale in deroga al Patto di Stabilità UE (che in 20 anni non è mai stato concesso per spese pubbliche sociali, facendo cadere anche governi) fosse usato dall’Italia, secondo le stime fatte da Carlo Cottarelli, il nostro debito pubblico (ora è del 135,3% e previsto calare al 132% al 2031 nella strategia del governo Meloni) salirebbe al 136,9%.
Il solo annuncio dell’indebitamento ha fatto salire i tassi di interesse di tutti i titoli europei di 50 punti base. Per l’Italia significa in 7 anni pagare dai 12 ai 20 miliardi in più di interessi sul debito pubblico.
Se la nostra spesa militare nazionale salisse da 1,6% del PIl di oggi al 3,1%, passeremmo in ragione d’anno da circa 35 miliardi a 65-70 miliardi. Soprattutto nei primi anni (ma anche dopo) il moltiplicatore keynesiano di una spesa pubblica militare sarebbe molto modesto per non dire nullo sulla nostra occupazione e rilancio delle produzioni nazionali (stime Cottarelli), in quanto l’80% della spesa militare negli ultimi anni se ne è andata in importazioni per armamenti e tecnologie all’estero (e per 2/3 negli Stati Uniti). Sarebbe l’ideale per Trump che vedrebbe l’export USA crescere. Se poi, come si può ragionevolmente ipotizzare anche per la forte opposizione tra gli elettori, si usasse solo il 70% della disponibilità concessa dalle nuove regole dell’UE, la spesa militare salirebbe meno (circa 10-15 miliardi all’anno?) ma il debito non calerebbe (stime Cottarelli), rimarrebbe stabile e ciò significa, nell’attuale clima di instabilità internazionale (e di crescita dei tassi di interesse), oneri sul debito pubblico crescenti, cioè sopra i 104 miliardi del 2024. Una cifra mostruosa se si considera che l’intera spesa pubblica per scuole e università è di 75 miliardi e 135 quella della sanità.
Poiché è ragionevole pensare che il PIL cresca poco nei prossimi decenni, come avvenuto negli ultimi 30 anni (media annua 0,8%) e poiché dal 2027 verranno meno i giganteschi investimenti aggiuntivi del PNRR (71 miliardi a fondo perduto, 122 a debito) erogati all’Italia dalla UE nel post Covid, è facile stimare che tutto il welfare attuale (scuola, sanità, pensioni,…) entrerà in ulteriore sofferenza, facendo crescere il malumore dei cittadini con aumento delle astensioni e voti più “radicali” (le ali estreme dello schieramento politico), come spesso avvenuto nella storia. Se si migliora prevale il voto moderato, se si peggiora prevale la protesta e l’Italia è dentro questo tunnel dal 2008. Da qui le divisioni sia nel centro-destra che nel centro-sinistra sulla proposta di ReArm dell’Unione Europea.
Una forza armata comune era un punto fondamentale del Manifesto di Ventotene (“al posto degli eserciti nazionali”, ma poi seguiva “la lotta contro la disuguaglianza e i privilegi sociali, le successioni non tassate, una proprietà privata corretta e limitata, nazionalizzazioni per evitare che la grandezza dei capitali investiti possa ricattare gli organi dello Stato…”). Ma un conto è la proposta di razionalizzare (i famosi 20 carri armati diversi) le attuali ingenti spese militari tra i 27 paesi dell’Unione (38% in più di quanto spende la Russia, come ha mostrato anche Cottarelli) sufficienti a creare una deterrenza, un conto avviare un gigantesco riarmo per singole nazioni il cui esito non sarà una forza comune, ma squilibri tra paesi alleati, questa volta di potere militare, e sottrazione di risorse allo sviluppo umano dei cittadini, spingendoli ancor più nella protesta e astensione.
Per disporre di una forza comune bisognerebbe prima discutere chi la comanda (i paesi che spendono di più? A rotazione?...), il che pone il problema “capitale” di sempre dell’Europa: come passare da un mero mercato o dalla moneta unica (e ora dalle armi) agli Stati Uniti d’Europa, in modo federale, lasciando ai singoli Stati (come avviene in USA e nei Länder tedeschi) molta autonomia (come prevedeva il Manifesto di Ventotene), ma unità sulle cose fondanti (difesa, politica estera, politica industriale, mercato dei capitali, ma anche tassazione e welfare, i grandi rimossi). In tale contesto sarebbe opportuno creare “campioni europei” nelle produzioni (dall’auto al digitale) ora italiani, ora tedeschi o di altre nazioni europee, per competere con le imprese americane e cinesi. Ma garantendo il lavoro e la protezione sociale (tramite un welfare comune) nelle singole nazioni ai perdenti dei processi che attua il libero mercato. Se ciò non avviene si gonfierà il risentimento degli esclusi con effetti di ulteriore disgregazione sociale dell’attuale Unione. La scorciatoia del ReARm non funzionerà per creare gli Stati Uniti d’Europa, come non ha funzionato la moneta unica, come abbiamo visto in 24 anni. Semmai accelera la disUnione in corso.
Il rischio di un riarmo per singole Nazioni più che “deterrenza” porta all’escalation di un riarmo di tutti contro tutti e la possibilità dei paesi meno indebitati (Germania, paesi nordici e dell’Est) di ri armarsi di più (e se tra 4 anni vince AFD in Germania?) con rischi sempre maggiori di guerre, senza procedere di un centimetro nella direzione degli Stati Uniti d’Europa. La deterrenza verso la Russia esiste già sia come armi, che come alleanze ed impossibile che una Russia in calo demografico (scenderà da 140 milioni a 120) e con un enorme territorio da gestire, possa invadere una Europa quattro volte più popolata e più armata.
Più sicura sarebbe una de-escalation militare, una forza comune e coltivare buone relazioni.
ReArm creerà non solo scontento tra i cittadini europei e impoverimento ma premesse pericolose per usarlo tra gli stessi paesi europei (oggi uniti ma la storia insegna possibili svolte) che sono stati protagonisti nelle guerre degli ultimi 500 anni e nel secolo scorso. E non servirà al suo vero scopo: sedersi al tavolo della Nuova Yalta.