A cura di Erica Sorelli. Ufficio Stampa Il Pensiero Scientifico Editore.
Intervista ai curatori del libro Autismo – Interventi, servizi e supporti evidence-based: Luigi Mazzone, neuropsichiatra infantile dell’Università Tor Vergata di Roma, Martina Siracusano, neuropsichiatra infantile dell’Università Tor Vergata di Roma, Giacomo Vivanti, assistant professor al Drexel Autism Institute della Drexel Università di Philadelphia.
Oggi che non lo identifichiamo più come una patologia, qual è la definizione diagnostica dell’autismo?
Giacomo Vivanti. Con il termine autismo facciamo riferimento a due concetti: quello di disabilità e quello di diversità (o neurodiversità). Quindi da un lato l’autismo è una disabilità definita da un’etichetta diagnostica che indica sintomi specifici. Dall’altro è l’espressione di una variazione nel modo di essere, apprendere e pensare, che va accolta e rispettata, e, per l’appunto, non patologizzata. Queste due prospettive non sono contrapposte, ma complementari. Dobbiamo quindi inquadrare l’autismo come una disabilità da affrontare con interventi, supporti e servizi, secondo la prospettiva per cui a contribuire alla disabilità non sono solo i sintomi clinici, ma anche una società poco equipaggiata ad accogliere le differenze che si accompagnano a questa condizione. La definizione diagnostica continua ad essere quella formalizzata dal DSM-5 nel 2013, che include:
- deficit persistenti nella comunicazione sociale e nella interazione sociale in differenti contesti, non spiegabili da un ritardo generale dello sviluppo,
- un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività,
- i sintomi devono essere presenti nell’ infanzia, ma c’è la possibilità che si manifestino in modo chiaro solo quando le richieste sociali eccedono le capacità del bambino,
- i sintomi nel loro insieme limitano e compromettono il funzionamento quotidiano.
Quali sono i disturbi dello spettro autistico (ASD)?
GV | L’autismo non è una condizione “monolitica”, ma uno spettro di manifestazioni dai confini sfumati che si collocano lungo un continuum di gravità, da cui il termine “spettro” autistico. Queste manifestazioni sono eterogenee ma hanno confini troppo sfumati per definire un numero preciso di quadri clinici chiaramente distinti. Per questo nel sistema diagnostico DSM-5 non sono più indicati dei precisi “sottotipi”, come avveniva con le classificazioni diagnostiche passate, ma un’unica categoria di “disturbi dello spettro autistico”.
Esiste una causa univoca dell’autismo?
GV | Le cause sono molteplici, ma un ruolo fondamentale è ascrivibile a una vulnerabilità ereditaria che in alcuni casi si configura con delle anomalie genetiche. Queste anomalie interagiscono con altri fattori di rischio prima della nascita o nelle primissime fasi di sviluppo, tra cui la nascita pretermine (in particolare se accompagnata ad un basso peso alla nascita), l’età elevata dei genitori (il rischio è più alto quando le madri hanno più di quarant’anni e i padri più di cinquanta), la presenza di diabete gestazionale, di ipossia neonatale, o di obesità materna, e l’assunzione di valproato (un farmaco anticonvulsivante) durante la gravidanza (Lord et al., 2020). L’autismo è quindi una condizione di natura biologica, e non, come si riteneva erroneamente fino a tempi recenti, una sindrome causata da comportamenti atipici da parte dei genitori. Un altro mito rispetto al quale è utile sgomberare il campo da malintesi è l’idea che i vaccini causino l’autismo: la ricerca scientifica ha documentato in modo inequivocabile che non c’è alcun legame tra i vaccini e sintomi dell’autismo.
Quali sono i sintomi di autismo e quali funzioni limitano e compromettono?
Luigi Mazzone, Martina Siracusano. I sintomi core dell’autismo includono il deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale in associazione alla presenza di comportamenti (motori, verbali, rituali), interessi ristretti e ripetitivi. Tali sintomi si manifestano precocemente e caratterizzano la persona fino all’età adulta. L’autismo è infatti un “life long disorder” che tendenzialmente va incontro ad un miglioramento nel corso della vita. L’impatto che tali sintomi possono avere sulla vita di una persona con autismo è pervasivo. La vita sociale, quella scolastica e lavorativa sono sicuramente compromesse dall’autismo così come il funzionamento dell’intero nucleo familiare (organizzazione della giornata, costi delle terapie, preoccupazioni riguardo il futuro). Un ruolo centrale nell’impatto dei sintomi di autismo sul funzionamento della persona stessa è svolto dal profilo cognitivo (quoziente intellettivo) e adattivo (autonomie personali) insieme alle abilità linguistiche.
Quali sono gli strumenti diagnostici maggiormente utilizzati per l’esame diagnostico di sospetto autismo?
LM, MS | La diagnosi di autismo è clinica, tuttavia esistono degli strumenti definiti “gold standard” che supportano il clinico nella diagnosi. In particolare, l’ADOS-2 – Autism Diagnostic Observation Schedule – Second Edition è un’osservazione di gioco operata dal clinico che permette di misurare i sintomi dell’autismo e può essere somministrata già dal primo anno di vita – permettendo di identificare condizioni a rischio di ASD fino all’età adulta. Inoltre, ad integrazione dell’ADOS-2, vi è l’Adi-R (Autism diagnostic interview – Revised), un’intervista rivolta al genitore che consente di raccogliere informazioni circa la presenza di sintomi di autismo nell’intero corso della vita della persona.
Maschi e femmine con diagnosi di ASD sviluppano sintomi differenti?
LM, MS | Il rapporto maschi: femmine è 4:1. Sicuramente la diagnosi di autismo è soggetta ad un cosiddetto “male bias” da ricondurre ad aspetti metodologici degli studi che sono scarsamente rappresentativi della popolazione femminile autistica. Tuttavia, le femmine con buone abilità cognitive e verbali presentano tendenzialmente migliori abilità sociocomunicative e comportamenti ripetitivi meno atipici che possono essere responsabili di una diagnosi tardiva. In tal senso le femmine autistiche avrebbero maggiori capacità di compensare “camuffandosi” e riuscendo a riprodurre comportamenti imitativi nelle interazioni sociali. Tale “mascheramento” renderebbe più difficile riconoscere l’autismo nelle donne soprattutto con un buon funzionamento intellettivo portando a un ritardo nella diagnosi oppure a ricevere altre diagnosi errate come disturbo ossessivo-compulsivo o disturbi del comportamento alimentare.
Il mondo degli interventi per l’autismo è molto complesso, quali consigli si possono dare alle famiglie che hanno un bambino con ASD?
LM, MS | Succede spesso che i genitori riscontrano messaggi ambivalenti e non sempre univoci rispetto alle terapie da far fare al proprio figlio. In tal senso il primo consiglio utile è quello di ricercare sempre terapie “Evidence based” con percorsi possibilmente “individualizzati” e pensati su misura in base alle caratteristiche comportamentali, adattive e cognitive del proprio figlio. Un altro consiglio è quello di iniziare precocemente un “parent training” in modo da avere strumenti utili per riconoscere comportamenti disfunzionali sia all’interno che fuori il contesto familiare. Il “parent training” dovrebbe fornire ai genitori strategie utili per promuovere e migliorare le competenze comunicativo-relazionali, oltre che per fornire consigli per aumentare il livello di auto-efficacia genitoriale, migliorare la qualità di vita e diminuire lo stress genitoriale.