di Perla Allegri. Pubblicato in Pressenza del 8 marzo 2025.
8 marzo: niente fiori o mimose, ma un bel reato di femminicidio nuovo di zecca. Mentre si celebra la Giornata internazionale della donna, il governo decide di farci un regalo speciale: il reato autonomo di femminicidio.
Perché punire un omicidio con l’ergastolo non bastava, serviva un’etichetta nuova -possibilmente simbolica- e poco importa se non risolve il problema. Dimentichiamo prevenzione, educazione e interventi strutturali: l’importante è far vedere che si fa qualcosa, anche se non serve. Perché investire su sicurezza reale costa, ma scrivere nuove leggi fa sempre fare una bella figura.
A guardare il nuovo disegno di legge che introduce il reato autonomo di femminicidio, da un punto di vista tecnico, la prima cosa che salta agli occhi è la creazione di una “gerarchia delle vittime”, con evidenti profili di incostituzionalità. Riconoscere una protezione speciale alle donne, ma escludere altre categorie che subiscono violenza per motivi di odio e discriminazione (penso alle persone omosessuali, transessuali o disabili) è sbagliato. Se si vuole riconoscere la matrice di odio e discriminazione dietro questi omicidi, allora sarebbe più coerente prevedere un’aggravante specifica piuttosto che un nuovo reato autonomo.
La violenza di genere è un fenomeno gravissimo, ma non può essere affrontata con un approccio esclusivo che lascia fuori altre forme di discriminazione sistemica.
Un altro aspetto che da sempre mi trova contraria a questo trionfalismo fuori luogo riguarda la completa inefficacia dell’inasprimento delle pene. L’idea che l’ergastolo possa funzionare da deterrente per chi commette femminicidi è priva di fondamento giuridico, psicologico e sociologico. Su certi tipi di crimini la deterrenza non ha effetti perché la scelta di mettere in atto l’azione criminale non è fatta sulla base di un calcolo razionale delle conseguenze penali e non.
Se l’inasprimento delle pene avesse funzionato avremmo già dovuto raccoglierne i frutti col Codice Rosso e con la Legge Roccella, ma così non è stato.
La vera prevenzione non si fa aumentando le pene, ma con politiche educative e sociali che intervengano sulle cause della violenza sin dall’infanzia, promuovendo una cultura del rispetto e dell’uguaglianza, spostando gli investimenti dal penale verso interventi educativi e strumenti di autonomia economica.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link