di Marco Trabucchi. Pubblicato in Avvenire del 31 marzo 2025.
Si intitola Ageismo. Il pregiudizio invisibile che discrimina gli anziani (Il Margine, pagg.187, euro 16), il nuovo libro di Marco Trabucchi, psichiatra, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia. Cos’è l’ageismo? “Una malattia cronica della società contemporanea, un meccanismo di difesa che sembra oscuro: chi lo pratica mostra una cultura fragile, perché dimentica che nella società complessa non basta aggredirne una porzione per risolvere problemi che riguardano tutti”. L’ageismo, in sostanza, tende a ridurre i diritti degli anziani e gli interventi a loro favore e produce un’emarginazione che tende a riprodursi. Pubblichiamo qui sotto ampi stralci del capitolo sull’ageismo in famiglia.
L’evoluzione dei costumi famigliari avvenuta negli ultimi decenni ha portato all’assunzione di atteggiamenti poco attenti e rispettosi nei confronti della persona anziana. La tradizionale centralità dei vecchi è stata scardinata dalla rottura dell’equilibrio tra le generazioni e dalle difficoltà organizzative ed economiche; in particolare, ha giocato un ruolo importante la modificazione del rapporto tra l’io e il noi, con la prevalenza del ruolo del singolo anche rispetto alla famiglia-comunità. In questa logica, il vecchio ha perso per definizione la sua centralità, la possibilità di vivere serenamente nella famiglia «nido degli affetti», di sentirsi rispettato e amato. Fortunatamente, il cambiamento dei costumi è avvenuto con tempistiche diverse e non ha ancora riguardato la maggioranza delle famiglie italiane; però il fenomeno non si arresta, con le relative conseguenze sulla salute psicofisica degli anziani e sull’equilibrio complessivo della collettività, perché il mancato rispetto della dignità dell’anziano provoca un cambiamento dell’atmosfera famigliare, che a sua volta induce disagio e sofferenza sociale.
Tutti i componenti, anche quelli coinvolti in atteggiamenti ageistici, comprendono che la fine dei rapporti d’amore comporta la fine della famiglia stessa, trasformata in un dormitorio dove prevalgono le relazioni economiche e operative, e ha poco spazio chi dona attenzione, accompagnamento, rispetto, affetti e tenerezza. Si potrebbe concludere che la famiglia che permette al suo interno atteggiamenti ageistici ha perso il suo ruolo e non funziona più nemmeno come struttura difensiva, anche sul piano delle azioni pratiche, cioè di protezione rispetto a violenze fisiche, psicologiche, economiche, organizzative. Ma allora la famiglia rischia di perdere il proprio ruolo di cellula fondamentale della società, come è stata forse troppo retoricamente definita in passato? Qualcuno sostiene che la presenza dell’anziano riguarda solo una parte della convivenza famigliare; però uno stile irrispettoso, egoista, insensibile esprime un disagio che ricade sull’intera famiglia.
Molte sono le forme di ageismo nella famiglia, che possono essere così schematicamente riportate. Quella più disturbante rispetto alla vita di tutti i giorni è la «trasparenza», intesa come condizione per la quale l’anziano non viene coinvolto nelle decisioni, piccole o grandi, negli eventi più significativi di festa o di dolore, non viene interessato nemmeno alle attività giornaliere (dal cibo agli orari di riposo, ecc.). È trasparente, come non esistesse. L’anziano vive nel suo cuore un grande dolore, che la famiglia non percepisce, sia per un’egoistica cecità, sia perché ritiene, anche se con poca convinzione, che l’anziano viva bene nel suo isolamento e nella separatezza.
La pazienza verso i vecchi potrebbe essere definita come un atteggiamento «antiageista» per eccellenza, perché porta ad accettare gli aspetti meno belli del comportamento di chi non è più giovane… spesso rende possibile scoprirne i punti di valore, l’esperienza, la saggezza, la calma nell’affrontare i problemi della vita. Senza un’atmosfera di pazienza in famiglia, la marginalità e la solitudine psicologica dell’anziano proseguono, accompagnate da una progressiva diminuzione della capacità di ricordare e di interazione, fino alla comparsa di deficit più o meno gravi delle funzioni cognitive. Così l’anziano entra in una spirale senza fine, con conseguenze progressivamente più gravi per la sua salute e per la possibilità di avere un rapporto positivo con la famiglia. Con una sofferenza, sebbene non sempre dichiarata, che tende ad autoriprodursi, senza che i famigliari se ne accorgano (o fingono di non accorgersi).
Una domanda viene naturale pensando ai vecchi nelle famiglie: fino a quando il loro utilizzo come guardiani dei bambini risponde a una logica di reciproca donazione e quando, invece, diventa un atteggiamento che nasconde una logica ageista («tu non fai nulla, cerca almeno di essere utile a noi che produciamo…»)?
In molte famiglie, fortunatamente, il rapporto non è venato di ageismo, ma da una scelta di generoso, reciproco aiuto, che dà senso alla convivenza tra le generazioni. Oggi la frequente trasformazione anche formale del legame famigliare espone l’anziano a condizioni di imbarazzo, perché si sente ospite di una convivenza precaria, nella quale uno dei due componenti della coppia può non avere piacere di condividere la giornata con l’anziano.
Anche in questo caso, il vecchio soffre ed è tentato di abbandonare la famiglia (talvolta subentrata, per ragioni organizzative, nella sua casa); in particolare, questa condizione viene vissuta dall’uomo, che sente di essere di peso a causa di una frequente minore capacità di autogestione casalinga, come invece capita meno alla donna, spesso più abituata percentualmente a occuparsi della casa (anche se talvolta intuisce che il legame è più pratico-commerciale che affettivo).
La condizione economica è frequentemente causa di tensioni, perché la nonna è accusata di non contribuire adeguatamente al bilancio («sei più attenta ai nipoti che non vivono qui e non si occupano di te»). Al contrario, se la nonna mostra attenzione sia al bilancio famigliare sia nei riguardi dei singoli componenti, l’atmosfera si rasserena. Accade che in famiglia si adottino comportamenti che la nonna non ritiene di dover approvare sul piano morale o religioso; si creano situazioni di disagio non sempre verbalizzato, ma che rovinano la qualità della convivenza.
Spetta alla persona anziana mostrare tolleranza e comprensione, facendo capire che l’affetto prevale sulle sue idee, alle quali peraltro può restare fedele. Sembrerebbe, quindi, che l’impegno dei componenti della famiglia possa creare buone relazioni anche in situazioni che richiedono particolari attenzioni e qualche sacrificio. Il tutto, però, funziona solo se in famiglia ci si astiene da posizioni critiche sulla persona anziana con la quale si convive.
sintesi di Alessandro Bruni
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