di Susanna Schimperna. Pubblicato in Pressenza del 1 aprile 2025.
Raffaele è un ragazzone di cinquantasei anni con l’ingenuità, l’allegria, l’entusiasmo di un bambino. Che guarda il mondo con l’incanto e insieme la severità di un bambino, capace di giudizi precisi, battute che lasciano interdetti, amore incondizionato. Raffaele non è una persona, è un personaggio. Nel suo quartiere, a Roma sud, lo conoscono tutti e tutti lo cercano per essere avvolti nei suoi caldi abbracci, messi di buon umore dal suo sorriso luminoso, gratificati dal suo sincero, sentito «Come vaaaa?». Perché a lui importa davvero, come stai. Raffaele ha crisi epilettiche da quando è piccolo e seri disturbi cognitivi, e su di lui il padre, il giornalista Massimo Balletti, ha scritto un libro.
Dopo aver creato e diretto una cinquantina di testate di ogni tipo, e dopo il libro Il principe dell’eros in cui hai raccontato la tua esperienza professionale, ora hai scritto di tuo figlio in questo, lasciamelo dire, splendido La vita ricca – la mente, il cuore, l’amore (ed. Iacobelli). Come mai soltanto adesso?
Avrei voluto scrivere questo libro cinquant’anni fa, ma era tanto l’affanno, tanta la preoccupazione, ma soprattutto – ed è una cosa che ho capito dopo – avevo molta paura di non saper interpretare il pensiero di Raffaele, di tradire la sua verità. Questa paura spesso si è ripresentata anche quando, due anni fa, ho cominciato a scrivere. Ci sono stati momenti in cui ho dubitato di non aver capito niente, e allora chiedevo a Pina, la madre di Raffaele, e ai miei altri due figli.
All’inizio dei capitoli hai inserito riferimenti di cronaca che individuano gli anni di cui stai parlando, in cui sta vivendo Raffaele. Perché?
Perché io sostengo che tutte le vite, qualunque sia il grado di consapevolezza, hanno diritto a essere considerate storia. Ho cercato allora di inserire la narrazione dei fatti salienti di Raffaele nel contesto storico. Ho citato anche canzoni, perché tutti noi, Raffaele non escluso, la musica ricolleghiamo più o meno consapevolmente tanti episodi del nostro vissuto. Facendo questi inserimenti musicali mi è sembrato di dare musica alla lettura del libro.
A questo proposito: Raffaele cosa sa di quello che succede del mondo, e soprattutto che cosa gli interessa, lo commuove o lo fa arrabbiare?
Ha un particolare disgusto per gli atteggiamenti violenti, con un grande senso di protezione soprattutto verso i bambini e i vecchi. Quando in televisione vede scene di soprusi non stacca gli occhi e interviene con gesti e parole, anzi parolacce rivolte a chi fa questo.
Come è avvenuta la scoperta che Raffaele aveva qualcosa di diverso?
Molto impietosamente e con comunicazioni frettolose quando è stato ricoverato a poco più di un anno per una crisi epilettica. Al secondo ricovero, un giovane medico mi suggerì… di fare un altro figlio. La prima vera interpretazione del problema l’ho avuta a Zurigo, dove ero stato indirizzato da Lucio Parenzan, grande cardiochirurgo infantile di Bergamo. Una diagnosi dura, ma anche un’indicazione, perché oltre a dirmi quello che Raffaele non avrebbe potuto fare, mi hanno anche detto quello che invece avrebbe potuto fare. Una strana forza venuta fuori da chissà dove mi ha detto questa è vita, ti piaccia o no. E questa è stata anche la sensazione di Pina. È cominciato allora un percorso di speranza, che ci vedeva, me e mia moglie Pina e tutti, pronti a combattere una battaglia familiare e sociale, seguiti da molte persone che pensavamo non esistessero, e invece c’erano eccome, che incontravi per caso e che diventavano la tua nuova famiglia. Ho provato il bisogno che si parlasse di questa cosa, che se ne parlasse tanto. Miracolosamente non avevo bisogno di aiuto, ma di partecipazione sì.
Nel libro dici che sei stato molto fortunato…
Sì, intanto la fortuna della scuola, perché in quell’anno, il ’74, si cominciava a godere dei benefici di una legge inclusiva dei bambini con le disabilità: il diritto a essere integrati. Ho avuto la fortuna di trovare anche una scuola in cui la legge era applicata da persone in gamba, Villa Paganini, a Roma. Poi gli scout. Molti prendono in giro gli scout, ma sono stati e sono una grande scuola di civiltà. Proprio una settimana fa i vecchi scout hanno fatto a Raf una bellissima festa. Si sente lo spirito puro, la socialità. Lui è visto come uno di loro senza alcuna differenza. E ancora, l’associazione Fede e Luce, organizzazione internazionale che si occupa di problematiche cognitive e anche di disastri cognitivi più gravi di quelli di Raffaele. Girovagando per Roma sud, Raf è entrato in una chiesa, c’erano ragazzi che conosceva e gliene hanno parlato… insomma, l’associazione se l’è trovata da solo. E infine il lavoro. Non mi aspettavo che trovasse il lavoro così facilmente. Dopo quattro mesi dal diploma alla Scuola Giardinieri e senza alcuna iniziativa da parte nostra, l’hanno chiamato e dall’89 è impiegato al Servizio Giardini, un lavoro che lui fa con grande serietà, che considera sacro.
Uno degli aspetti più particolari del libro è quanto ti soffermi sul carattere di Raffaele…
Ha un carattere fortissimo. In cucina per esempio è il dominus. Posiziona lui le stoviglie, mi segue quando cucino pensando che gli stia togliendo l’egemonia. Ha un grande rispetto per le competenze. Il suo grande interlocutore è la persona singalese che ci aiuta a casa, Sumit. Ne va pazzo, forse anche perché è uno che “sa fare” molte cose. È fondamentale nella sua vita da trentacinque anni.
Il lato più notevole di Raffaele è come si rapporta agli altri. Quanto siano unici i legami che stringe, e quanto numerosi…
Se Raffaele ti sceglie, sei fatto. Conosce tutti, poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, gli extracomunitari. Li invita a cena.
Nel libro ci sono tantissimi momenti belli e divertenti, ma anche episodi spiacevoli…
Ha subito alcune aggressioni, anche molto brutte. Allora, s’è sparsa la voce… e i venditori di cianfrusaglie gli hanno regalato ciascuno qualcosa, è stato commoventissimo.
Tu conosci molte situazioni, genitori che hanno figli con difficoltà anche più grandi di quelle Raffaele. Ti sembra che avere un figlio problematico rafforzi i legami o il contrario?
So che ci sono situazioni in cui distrugge i legami, ma io, onestamente, non ne conosco. Conosco molte tragedie, ma le mamme hanno questo: resistono fino all’ultima loro risorsa, e vanno oltre, tentano anche l’impossibile. I padri… alcuni danno subito forfait.
A che punto è la società e a che punto sono le istituzioni, riguardo alla questione “persone con disabilità”?
Lo Stato, dici? Ho trovato una scuola eccezionale, dopo sei anni di silenzio Raffaele ha ricominciato a parlare scuola. Erano gli anni 70, si discuteva di libertà, c’erano personaggi come Pannella e Basaglia, che coraggiosamente erano impegnati contro l’assolutismo del pensiero, il bigottismo. Tutto questo è andato avanti per molto tempo, e rispondeva al sentimento comune di allora, che era di solidarietà e sguardo al futuro. Dopodiché, però, se la situazione dal punto di vista giuridico-sociale è migliorata, oggi trovo ci sia sorta di decadimento sentimentale. C’è la solidarietà, ma non è più espressa passionalmente come prima, e mancano le figure di riferimento. Un individualismo terrificante si è sempre più ingigantito, e si è diffuso. Prima c’erano movimenti civili, politici che affrontavano questi argomenti, era quella l’aria che si respirava. Oggi le famiglie se la debbono cavare da sé.
Una tua proposta per rendere questa società più accogliente…?
Ciascuno di noi ha in mano una possibilità di sostegno, di aiuto, di rinascita. Per sé e per gli altri. Sappiamo benissimo tutti che cosa si dovrebbe fare, ma siamo noi stessi ad autolimitarci, autocensurarci. Fondamentalmente si tratta di solitudine o non solitudine, tutto il resto ha poco significato. Se accantonassimo la frenesia della supremazia, se guardassimo gli altri, quante cose si risolverebbero. Si tratta di “inventarci Dio”, come diceva il mio amico semiologo Melis. Nel senso di rimettere il pensiero costruttivo al centro. Perché è necessario e urgente un pensiero solidale, che nobiliti la vita, che guidi l’agire. Capisco che il mio sia un trionfo di retorica. Ma che altro, se no? L’alternativa è abbassare il capo di fronte alle ingiustizie e guardare il proprio ombelico… ma non ha mai funzionato, e mai funzionerà.