A cura di Giada Savini. Intervista a Francesca Pierotti, psicologa, Pubblicato in Forward del 17 aprile 2025.
Prima di tutto, è bene precisare che i valori del passato non erano condivisi ma imposti, non ragionati e tramandati senza essere messi in discussione. La scuola e la famiglia erano allineati in questa visione e il loro compito era farla rispettare invece che promuovere la discussione e supportare l’individuazione della persona. Detto ciò, la maggiore attenzione attuale dovrebbe concentrarsi non tanto sull’individualità intesa come manifestazione indiscussa della propria personalità a scapito della collettività e del gruppo, tendenza molto diffusa, quanto piuttosto sul guidare i giovani nel processo di individuazione, nella faticosa strada della ricerca del proprio sé, nel rispetto e non a scapito degli altri. Il passaggio dal modello educativo del passato a quello attuale si muove tra queste due estremità, non trovando un equilibrio tra di esse. Mi sento di dire che il difficile compito che dobbiamo ancora realizzare è quello di adottare delle dinamiche evolutive che guidino i ragazzi verso la propria formazione includendo le radici e i valori della loro storia, familiare e comunitaria, ma insegnando loro, contemporaneamente, il rispetto e l’inclusione della diversità, intesa come possibilità di crescita piuttosto che come altro da combattere ed eliminare.
Quali sono i pro e i contro?
Mentre il modello educativo del passato determinava una netta divisione tra adulti e ragazzi, quello attuale manca completamente di confine e, pertanto, di possibilità di differenziazione per i giovani che si trovano inevitabilmente in questa fase evolutiva. Questo determina confusione e incapacità di trovare un proprio e definito spazio vitale di esistenza e manifestazione.
Il concetto di contrasto emerge in diversi punti, nel cambiamento dei ruoli genitoriali, nella ricerca dei bisogni affettivi, nella forte spinta alla condivisione delle emozioni. Quali sono le sfide che i giovani – e di conseguenza le famiglie – affrontano in una società in continua evoluzione?
Il malessere dei giovani si fa sempre più prepotente e visibile, manifestando continuamente i suoi effetti, anche attraverso l’aumento dei sintomi psichiatrici, tra i quali assumono un ruolo imponente da un punto di vista quantitativo, oltre che della complessità, i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Attualmente, la società si rivela impreparata nella gestione di tale malessere e della sintomatologia che ne deriva e, non solo non riesce a prendersene carico, non lavora adeguatamente sulla prevenzione dell’inevitabile disagio che, se non accolto, rischia di trasformarsi in disturbo.
Inoltre, va considerata una questione cruciale: le coordinate del vivere sociale. Ci troviamo oggi di fronte ad una società che si caratterizza per la grande velocità, dove non si è allenati alla riflessione e all’attesa, ma ad una risposta che deve avere come caratteristica l’immediatezza, ma anche l’efficienza. Questo lascia poco spazio alla riflessione e all’elaborazione, non solo cognitiva ma anche e soprattutto emotiva, delle informazioni, delle risposte e delle reazioni che ne derivano. Ciò determina, soprattutto per i giovani, una fretta che non ha motivo di essere: il non sapere che strada intraprendere o come agire diventa espressione di non adeguatezza e di debolezza, invece che punto di partenza per la ricerca delle risposte. Infatti, nel mondo attuale, l’attesa viene interpretata come fragilità a favore di una rapidità che non contempla il divenire, che richiede tempo per manifestarsi e compiersi. La tecnologia ha reso più veloce le comunicazioni tra gli uomini, ma quelle tra i neuroni sono rimaste immutate. A maggior ragione, si dovrebbero favorire a livello educativo tutte quelle attività che, nella frenesia della vita quotidiana, non si ha occasione di svolgere adeguatamente e che insegnano l’attesa e il divenire come valore e non come qualcosa da evitare, attività che richiedono un allenamento, una progressione, una evoluzione oltre che una riflessione.
I social media hanno un ruolo ambivalente nella vita dei giovani, offrono opportunità di connessione ed espressione, ma generano anche ansia da prestazione e senso di inadeguatezza. Come si può trovare un equilibrio?
I ragazzi, in quanto tali, non hanno ancora completato la loro maturazione biologica ed emotiva. Questo comporta un disallineamento tra ciò che cognitivamente percepiscono e quello che emotivamente riescono ad elaborare. Il compito dell’adulto è anche quello di aiutarli a regolare le emozioni e a restituire una visione del mondo più congrua possibile alla realtà. I social media, per le caratteristiche strutturali che li determinano e per i loro meccanismi di funzionamento, tendono a mostrare una visione parziale e solo in parte aderente della realtà, con l’inevitabile conseguenza di far credere a coloro che ne usufruiscono che, invece, quello che vedono sia la dimostrazione del vero. L’equilibrio potrebbe essere dato dalla mediazione dell’adulto e, ancora una volta, dall’educazione emotiva, che sembra scarseggiare sempre di più ma di cui c’è un bisogno senza precedenti.
Il corpo, nella dinamica dei social media, diventa il rappresentante per eccellenza dell’identità della persona, in quanto unico elemento visivo presente, ma viene mostrato e non vissuto, in quanto disincarnato, perché quel corpo non può vivere la relazione se non in forma mediata, quindi può solo partecipare in modo indiretto e filtrato a ciò che vive. È mediato e filtrato da uno strumento che nasconde la persona, seppur mostrandola. A volte, purtroppo, il virtuale tende a sovrastare e, nei casi peggiori, a sostituire il reale. Quello che si può fare è aiutare i ragazzi a trovare un equilibrio tra questi due mondi che, soprattutto per loro, devono coesistere perché sono importanti in egual misura.