È stata presentata di recente l’ottava edizione della Mappa dell’Intolleranza, che fotografa l’odio veicolato tramite i social. Si tratta del progetto, ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Diritto pubblico italiano e sovranazionale), l’Università di Bari Aldo Moro, la Sapienza – Università di Roma a cui quest’anno hanno preso parte nuovi partner e nuovi team di ricerca, primo tra tutti il Dipartimento di Informatica Giovanni Degli Antoni dell’Università degli Studi di Milano e il centro di ricerca Human Hall dell’Università degli Studi di Milano.
Al suo ottavo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa, secondo 6 categorie: misoginia, antisemitismo, islamofobia, xenofobia, abilismo e omotransfobia, cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.
Nel 2024, la rilevazione per la Mappa dell’Intolleranza ha riguardato il periodo gennaio-novembre. Un periodo di forti turbolenze, segnate dalla guerra in Ucraina e a Gaza, dalle elezioni americane, dal prepotente insorgere di fenomeni populisti nel mondo: un periodo dunque di incertezze e fragilità, che si sono riverberate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. Oggi l’odio online è attore fondamentale nella rappresentazione della polarizzazione e i social si configurano come la cinghia di trasmissione tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo ed espressione proprio nelle praterie dei social.
La prima radiografia, messa a punto dal team dell’Università di Bari, evidenzia il fenomeno nella sua generalità. Avanza l’odio contro le donne: sul totale delle persone colpite da hate speech (per hate speech o discorsi d’odio si intendono espressioni d’intolleranza rivolte contro delle minoranze. Un fenomeno sempre più presente nelle nostre società e che in buona parte è legato alla comunicazione online) le donne sono la metà. Irrompe, purtroppo atteso, l’odio antisemita, che passa dal 6,59% di due anni fa al 27% attuale. E avanzano anche xenofobia e islamofobia, a ricordarci che la società in cui viviamo è attraversata da forti pulsioni di rigetto del cosiddetto “straniero”, portatore di storia, cultura, usanze diverse dalle nostre e considerate perciò minacciose. Una delle connotazioni dell’odio online rilevate dalla Mappa n. 8 è in effetti una forte concentrazione sul rigetto dello straniero percepito come diverso a tutti gli effetti.
Il secondo livello di rilevazione, messo a punto dal team di UniMI, riguarda lo studio sui dati geolocalizzati, grazie al contributo dei LLM, che hanno consentito una campionatura efficace dei dati stessi. Per quanto riguarda la distribuzione dell’odio nelle diverse regioni e città italiane, non ci sono differenze di rilievo rispetto agli anni passati: le più coinvolte risultano le grandi città (elemento dovuto, come già evidenziato nel corso degli anni, anche alla maggiore diffusione della piattaforma X nei grandi centri). Qui in ogni caso Milano appare come la città più misogina e xenofoba, mentre Roma svetta in quanto ad antisemitismo e omotransfobia.
Un’analisi interessante riguarda il genere degli “odiatori”, dove si evidenzia come nella categoria misoginia, ben il 20, 81% dello hate speech sia prodotto dalle donne stesse (contro il 30,15% degli uomini), fenomeno che parrebbe prefigurare una sorta di “auto-oggettivazione”, di scelta cioè di un bersaglio esterno (un’altra donna), a fronte della difficoltà a percepirsi in quanto vittima o a viversi come poco autonoma.
Infine, il terzo livello di analisi, sempre messo a punto dal team di UniMi attraverso i LLM, riguarda l’incidenza dello stereotipo negativo sulla formazione e diffusione dello hate speech. Si tratta di una prospettiva di ricerca inedita per la Mappa dell’Intolleranza, che porta a riflessioni importanti circa la presenza di assetti culturali profondi, che condizionano inevitabilmente formazione e diffusione di hate speech.
La Mappa dell’Intolleranza di quest’anno evidenzia: che l’odio è misogino e le donne restano la categoria più odiata, anche, parrebbe, dalle stesse donne; che cresce l’antisemitismo, con la categoria oggi più odiata che non è l’ebreo in quanto tale, ma in quanto sionista, percepito cioè come aggressore, invasore, genocida; che avanzano xenofobia e islamofobia, a ricordarci che la società in cui viviamo è attraversata da forti mozioni di rifiuto dello “straniero”, portatore di storia, cultura, usanze diverse dalle nostre e considerate perciò minacciose; che il 79,86% dei contenuti sui temi legati all’abilismo è contenuto di odio e venato di stereotipi correlati con lo hate speech.
Un dato inquietante, che conferma le analisi della scorsa rilevazione, quando si fece evidente che eravamo, e siamo tuttora, in presenza di una vera distorsione lessicale: l’uso del linguaggio offensivo contro le persone con disabilità si è andato via via allargando, ampliando sia il suo utilizzo originario sia il suo significato, più ampio e meno specifico. L’8^ Mappa dell’Intolleranza evidenzia, in definitiva, come l’odio corra veloce sui social, si evolva, cambi bersaglio, ma non si fermi, evidenziando un quadro preoccupante della diffusione dell’odio online in Italia: il linguaggio d’odio non solo aumenta, ma si radicalizza e si adatta ai nuovi contesti.
Resta evidente che la Mappa dell’Intolleranza 8 è solo un punto di partenza nel tentativo di circoscrivere, decrittare e interpretare un fenomeno che si fa sempre più pervasivo, pericoloso, inquietante, capace di incidere nel tessuto sociale e di promuovere atteggiamenti criminogeni in fasce di popolazione particolarmente esposte.
La fondazione Gariwo, acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide, ha pubblicato un dossier dal titolo “Come curare le ferite dell’odio”, con l’obiettivo di tracciare un’analisi profonda della situazione dell’odio nel mondo, evidenziando le sue radici storiche e culturali, e al contempo avviare un processo di guarigione collettiva. Solo attraverso una comprensione piena del fenomeno possiamo sperare di curarne le ferite, infatti, i tre passaggi fondamentali attorno cui ruota l’intero dossier sono: “Conoscere l’origine dell’odio, capirne i meccanismi e curarne le ferite”: Come curare le ferite dell’odio [dossier]