di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La recente evoluzione del nostro sistema politico, in seguito soprattutto ad una gestione del Parlamento e del governo da parte del centrodestra verso modelli di democrazia illiberale, sta collocando sempre più ai margini i partiti di centro sinistra, grazie anche ai loro limiti e divisioni. Fatti recenti, come la partecipata manifestazione dei 5 Stelle contro il riarmo Ue del 5 aprile, mettono in evidenza che il centrosinistra vive una fase di contrasto strategico tra i due maggiori partiti che rende la loro opposizione incerta e ininfluente e che, nei fatti consente al centrodestra di coniugare tranquillamente divisione politica interna, specie tra i due vicepremier Salvini e Tajani, e rafforzamento dei consensi governativi nei sondaggi.
La surrichiamata manifestazione grillina, che ha raccolto, attorno a un messaggio di pacifismo antieuropeo, l’adesione di gran parte della estrema sinistra fino a Rifondazione comunista, di alcuni gruppi e di intellettuali genericamente pacifisti, ha acuito le divisioni nel centrosinistra, e ha posto le premesse per ulteriori divaricazioni strategiche tra i due partiti. Non a caso Conte ha, da un lato, individuato nei contenuti della manifestazione, un pilastro dell’alternativa di governo e, dall’altro, negli investimenti sulle armi una sottrazione di risorse per sanità e scuola.
Che questa polemica venga rivolta contro la scelta di dar vita alla Difesa europea, obiettivo primario indispensabile per fare passi concreti in direzione dell’Europa soggetto politico, individuandolo come sperpero bellicista rappresenta una vera e propria scelta antipolitica, di fronte alla quale il Pd è rimasto in silenzio incapace di fare almeno chiarezza. Con grande incertezza, scartata la partecipazione diretta della segretaria Schlein, il Pd ha inviato alla manifestazione una delegazione di dirigenti, guidata dal capogruppo al Senato Boccia e dal segretario organizzativo Taruffi, accolta tra applausi e fischi. Una scelta di ripiego per tenere in vita il campo largo ma che ha consentito di aumentare l’ambiguità delle posizioni reciproche. Tutto ciò è destinato ad approfondire il dissenso tra Pd e M5S su come condurre l’alternativa al governo Meloni, tanto più che Conte indirettamente non ha nascosto la volontà di riproporsi come Presidente del Consiglio.
Questa lacerazione ha avuto un'ulteriore manifestazione durante la votazione alla Camera sulle sei mozioni relative al riarmo Ue presentate dalla maggioranza e dai diversi partiti dell’opposizione. L’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza che, per tenere assieme Lega e F, rispettivamente contraria e favorevole, non contiene nemmeno la parola riarmo. Sulla mozione Pd il M5S ha votato contro, mentre sulla mozione M5S il Pd si è ancora astenuto. Nella sostanza mentre la maggioranza spaccata vota comunque compatta, l’opposizione pure spaccata tale rimane, sia pure con il Pd tramite un voto formale di astensione.
In definitiva appare evidente che, mentre la maggioranza mette tra parentesi la politica per mantenere la gestione del potere, l’opposizione approfondisce la sua spaccatura proprio sul problema dell’Europa che dovrebbe rappresentare forse il punto strategico più rilevante di differenza tra maggioranza e opposizione. Evidentemente il populismo falsamente pacifista dei 5 Stelle, per sopravvivere attraverso la ricerca del consenso, butta a mare l’unità del centrosinistra, ponendo, tra l’altro, la sua scelta come punto nodale dell’alternativa di governo.
Di fronte a tale rottura Il Pd cerca in tutti i modi di salvare il salvabile del campo largo con il voto di astensione. Ma in tal modo il centrosinistra, oltre che diviso, risulta privo di una linea strategica e quindi impreparato ad un confronto davvero competitivo con il governo. Il problema ritorna in toto in capo al Pd che, se vuole puntare veramente alla competizione per il governo del Paese, deve uscire dalla trappola stretta dell’attuale rapporto con i 5 Stelle per dar vita ad una reale alternativa idonea a governare l’Italia. Una tale alternativa deve essere riformista, fondarsi su un autentico e articolato programma di governo, che compete al Pd proporre alle forze politiche potenzialmente alleate, e da definire con loro.
Su questa base si dovrebbe scegliere il candidato leader e la squadra più idonea alla vittoria. Per realizzarlo è necessario che il Pd esca dall’attuale sinistrismo indeterminato per assumere una precisa identità riformista con l'intento di dialogare con i cittadini, soprattutto con coloro oggi lontani dalla politica e che si astengono dal voto. Con la consapevolezza che questo rimane il compito storico del Pd con il quale la stessa gestione Schlein può ritrovare un senso compiuto del suo ruolo. Proseguire nell’attuale percorso incentrato sulla sempre più difficile e sterile alleanza Pd-M5S si programma inevitabilmente una nuova sconfitta. Ciò è fin d’ora tutto chiaro perché la politica non si improvvisa e comunque non consente di ripetere gli errori precedenti.