di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La morte improvvisa di Papa Francesco, e la successiva riflessione collettiva sul significato del suo pontificato, hanno messo in evidenza, dentro il suo ruolo profetico e di leader spirituale mondiale, una inevitabile conseguenza politica del suo ruolo. Pur operando nel pieno e rigoroso rispetto della laicità nel rapporto tra religione e politica, la sua opera è risultata nello stesso tempo distinta ma non ininfluente nelle conseguenze politiche, tanto all’interno della Chiesa che nel rapporto con il mondo.
La sua stessa scomparsa, essendo stato un Papa amato, discusso e spesso incompreso, ha scoperchiato una serie di problemi e di dissensi interni alla Chiesa, in precedenza meno espliciti, di segno conservatore. La linea di Francesco, di una Chiesa aperta e inclusiva, viene considerata frutto di aver avvicinato troppo la pratica cristiana al volere del popolo a scapito della dottrina e della rigorosità dei principi. In altri termini di aver privilegiato la pastorale alla teologia, e questa sarà una parte non secondaria dell’eredità lasciata al suo successore. Ma l’azione di Francesco ha dovuto fare i conti con un nuovo disordine globale, determinato da prevalere nei rapporti sociali e politici, di una forma di individualismo radicale che, nei singoli Stati e nella comunità internazionale, sta progressivamente alterando gli equilibri sociali e dando vita a crescenti disuguaglianze, che agiscono da detonatori di conflitti, fino alla radicalità delle guerre, e che mettono in crisi le democrazie.
In questo contesto il magistero di Francesco, alla luce del Vangelo, ha offerto un contributo determinante per comprendere l’evoluzione della realtà dal punto di vista culturale, etico, spirituale, con evidenti proiezioni politiche. Da questo punto di vista le sue analisi, accompagnate da critiche e incessanti sollecitazioni, si sono, in particolare, incentrate su quattro ambiti di problemi. Innanzitutto, la Pace che è stata il cuore centrale dei suoi interventi. Partendo dal suo preoccupato giudizio sul mondo, arrivato ormai alla “terza guerra mondiale a pezzi” per effetto del proliferare di numerosi conflitti armati in varie parti del mondo a partire dai due più estesi in Ucraina e in Medioriente. Anche sulla base del loro prolungarsi senza apprezzabili tentativi di superamento, egli ha condotto una incessante battaglia pastorale ed educativa sul carattere di male ingiustificabile della guerra come mezzo di soluzione delle controversie, del tutto incompatibile con ogni elementare principio di civiltà umana.
Un secondo ambito del suo intervento ha riguardato la priorità assoluta del valore e della difesa della vita della persona umana, applicati al salvataggio in mare dei migranti e al loro inserimento nella nostra vita sociale, dei quali, tra l’altro, abbiamo particolare bisogno. Di fronte a questa realtà appare del tutto inadeguato e strumentale, il giudizio, anche del nostro governo, di una immigrazione esclusivamente governata tra trafficanti di uomini, a giustificazione di misure puramente repressive e lesive dei loro diritti e dei reali interessi del nostro Paese.
Il terzo ambito, nel quale il giudizio critico di Francesco si è fatto sentire, attiene all’attuale fase del capitalismo globale di rapina, fondato sulla speculazione finanziaria, a detrimento della crescita economica e della qualità e retribuzione del lavoro, e fonte principale delle enormi disuguaglianze sociali. Il progressivo abbandono delle forme di economia sociale di mercato sta allargando spaventosamente il divario tra ricchezza e povertà, le disuguaglianze tra i livelli e la speranza di vita nelle diverse aree del mondo, avviandolo verso inevitabili conflitti sempre più radicali non escluse le guerre.
Da ultimo, l’insieme dei problemi connessi all’ecologia del pianeta con i suoi sempre più evidenti effetti di squilibrio derivanti dall’inquinamento dell’ambiente, dal caos climatico con gli opposti effetti della desertificazione e delle alluvioni. In tale ambito Francesco, con l’enciclica “Laudato sì” ha portato la Chiesa all’avanguardia in questo campo. La serrata critica al processo di globalizzazione che discende da questa visione credo proietti anche un giudizio non lusinghiero della politica italiana, in particolare sulla crescita insufficiente e sugli effetti di degrado e di disuguaglianza della sua qualità. Un giudizio consapevole dell’opera di questo Papa in occasione della sua scomparsa avrebbe, dovuto, a mio avviso, accanto all’apprezzamento in parte scontato, fare i conti con tali suoi giudizi.
A parte il giudizio del Presidente Mattarella, che non ha mancato di sottolineare il “grande vuoto” connesso alla perdita di un preciso punto di riferimento, la politica italiana non è andata oltre il ricordo e la riconoscenza, limitandosi a riprodurre i tradizionali ruoli di maggioranza e opposizione. Se analizziamo le diverse interviste e quanto è emerso nel ricordo collettivo delle Camere in seduta comune il 22 aprile, constatiamo che nella maggioranza, premier Meloni in testa, si è cercato soprattutto di valorizzare il suo rapporto ravvicinato e speciale di amicizia come espressione di una vicinanza che denota consenso, mentre nell’opposizione, al giudizio complessivamente positivo, si è unita la critica al governo per l’incoerenza rispetto al pensiero del Papa.
In tutti è mancata la necessaria riflessione autocritica che avrebbe reso meno scontato e ovvio l’apprezzamento complessivo. Un’altra importante occasione perduta dalla nostra politica per riflettere sui propri limiti, sulla base di alcuni problemi cruciali esposti con oggettiva responsabilità, in vista di un necessario rinnovamento, di cui si fa sempre più fatica a riscontrare traccia.