di Redazione. Pubblicato in Good Morning del 2 maggio 2025.
Dall’inizio dell’anno le attività riguardanti prestazioni sessuali e prostituzione in Italia possiedono un loro specifico codice Ateco: un aggiornamento tecnico, con valenza di classificazione economica e non normativa, che però ha riportato l’attenzione su un fenomeno ben più ampio (Agi). A 66 anni dalla legge Merlin, nel nostro Paese la prostituzione è legale solo se esercitata autonomamente, ma priva di diritti e protezioni. Secondo le stime, le sex worker sono oltre 60 mila, per il 55% straniere. Il giro d’affari annuo sfiora i 4,7 miliardi di euro, in gran parte nelle mani della criminalità. Eppure, il dibattito resta fermo, diviso tra regolamentazione e proibizionismo (Domani).
Paese che vai…Al contrario in Belgio è entrata in vigore una legge molto avanzata che consente alle lavoratrici sessuali di firmare contratti di lavoro, accedere a diritti previdenziali e rifiutare prestazioni in ogni momento (Nyt). La normativa belga è frutto della collaborazione con le associazioni di categoria, ma ha comunque sollevato critiche: rischia, secondo alcuni, di escludere chi è privo di documenti regolari o spingere il lavoro nell’illegalità. In Europa la prostituzione è oggetto di approcci divergenti: mentre Germania e Paesi Bassi adottano modelli regolamentaristi, Francia e Svezia criminalizzano il cliente, mentre si arriva alla totale proibizione in Lituania o alla punizione delle sex worker in Croazia (L’Espresso).
Confini morali La sospensione, seguita dal licenziamento (Sky TG24), di una maestra di Treviso per attività su OnlyFans, ha invece aperto dibattiti sulla moralità del lavoro sessuale e sul rapporto tra etica privata e professione pubblica (Wired). La vicenda tocca lo status stesso delle sex worker nell’immaginario collettivo: il lavoro sessuale è percepito come incompatibile con ogni altro ruolo, e chi lo pratica resta definito da esso, indipendentemente dal contesto (Rivista Studio). Un pregiudizio che si riflette anche nel cinema, come dimostra Anora, film di Sean Baker vincitore agli Oscar, criticato dalla comunità delle sex worker per il suo sguardo moralizzante su una protagonista mostrata come una figura che subisce passivamente gli eventi (Vox).