di redazione di Linkiesta. Pubblicato il 14 maggio 2025.
José “Pepe” Mujica è morto il 13 maggio a ottantanove anni. Se ne va così l’ex presidente dell’Uruguay che viveva in una fattoria, che regalava il novanta per cento dello stipendio, che viaggiava su un Maggiolino del ’87, che parlava come un contadino e pensava come un filosofo. La sua morte, annunciata dall’attuale presidente uruguaiano Yamandú Orsi, chiude una stagione: «Hasta acá llegué» («Fino a qui sono arrivato»), aveva detto lo scorso gennaio.
José Mujica è stato molto più di un presidente: è stato un’icona della sinistra latinoamericana, agitato come totem anche da una parte della politica italiana, un ex guerrigliero dei Tupamaros, un prigioniero politico sopravvissuto a dodici anni di isolamento sotto la dittatura uruguaiana, un leader austero in tempi di narcisismo globale. La sua ultima battaglia, combattuta contro un tumore prima all’esofago e poi al fegato, lo ha visto spegnersi lentamente ma con la lucidità feroce di sempre. Il cancro lo aveva stremato, ridotto alla debolezza fisica.
Mujica è nato nel 1935 a Paso de la Arena, periferia rurale di Montevideo. Figlio di un piccolo agricoltore caduto in rovina, entra nei Tupamaros nel 1964, partecipa ad azioni clandestine, viene ferito da sei colpi di pistola, arrestato quattro volte, evade due, e nel 1972 diventa uno dei nove rehenes del regime militare: ostaggi destinati alla morte se il movimento ribelle avesse ripreso le armi. Passa sette anni rinchiuso in celle di isolamento, spesso in buche sotterranee senza luce, né libri. Ne esce provato, privo di un rene, ma nel 1985, con il ritorno della democrazia, ottiene la libertà grazie alla amnistia.
Nel 1994 è eletto deputato, nel 1999 senatore. Diventa ministro dell’Agricoltura nel 2005, presidente della Repubblica nel 2010. Il suo governo (2010–2015) si distingue per una serie di riforme sociali coraggiose: legalizzazione dell’aborto, del matrimonio egualitario e della marijuana, una delle prime al mondo. Ma ciò che lo rende celebre a livello globale non è solo l’agenda progressista: è la sua vita personale, coerente fino all’ossessione con i valori che predica. Continua a vivere nella sua fattoria di Rincón del Cerro, con sua moglie Lucía Topolansky — anche lei ex guerrigliera e senatrice — e la sua cagnolina Manuela.
La sua figura resta ambigua anche per i suoi critici: non ha voluto perseguire i responsabili delle torture durante la dittatura, attirandosi l’accusa di eccessiva indulgenza. Nel 2018 lasciò la politica attiva, congedandosi dal Senato in una lettera breve alla presidente dell’aula, sua moglie. Negli ultimi anni si è ritirato nella sua tenuta, concedendo rarissime interviste, rifiutando ogni celebrazione, ogni statua anticipata, ogni santificazione.
Pepe Mujica ha cambiato immaginari e grammatica politica
di Andrea Cegna, Pubblicato in Unimondo il 14 maggio 2025.
Pepe Mujica ha rotto i confini, è diventato un personaggio politico globale pur essendo diventato presidente di un piccolo paese, l’Uruguay. La sua è una storia di politica e passione, una storia a cavallo tra mito e povertà, tra istituzioni e movimenti sociali. È stato un guerrigliero, ha cercato di fare la rivoluzione. È stato torturato e incarcerato per 12 anni, poi uscito nel 1985 ha ripreso a fare politica… ha lasciato la lotta armata per la via istituzionale e nel 2010 è diventato presidente. I suoi passaggi politici così li ha riassunti “ho visto alcune Primavere che hanno finito per essere inverni terribili. Noi esseri umani siamo dei gregari. Non possiamo vivere da soli. Perchè la nostra vita sia possibile, dipendiamo dalla società. Una cosa è rovesciare un governo o bloccare le strade. Ma creare e costruire una società migliore è una questione completamente diversa, c’è bisogno di organizzazione, disciplina e lavoro a lungo termine. Non confondiamo le due cose. Voglio metterlo in chiaro: mi sento vicino a questa energia giovanile, ma penso che non possa andare da nessuna parte se non diventa più matura”.
Nessuna persona è perfetta, Pepe non ha mai giocato ad esserlo e pur dentro al rifiuto della ricchezza è stato uomo di potere, sia dentro il Frente Amplio che dentro all’Uruguay. Ma è stato uomo di potere capace anche di rompere l’opulenza, è rimasto a vivere nella sua fattoria alle porte di montevideo e non ha mai girato con i macchinoni, non ha comprato vestiti di lusso. Era contro il consumismo e non solo ha detto frasi del tipo “Se avessi tante cose, dovrei occuparmene. La vera libertà è avere poche cose, il minimo”, ma ha anche cercato di viverle davvero queste parole.
Casa sua era aperta, ha ricevuto il re di Spagna, e giornaliste e giornalisti indipendenti. Ha fatto da mangiare a militanti di tutto il mondo, una mia amica messicana si è scambiata lettere per anni con lui, lei non aveva nessun incarico politico, lui era un uomo di punta nel suo paese. Ho avuto il piacere di incontrarlo a Milano, e poi attorno alle elezioni del 2024, dopo averlo rivisto in pista, ho cercato di sentirlo per un’intervista. Ha nicchiato, diceva aspettiamo e poi mi ha scritto “ti giro questa in anteprima, sto morendo, non parlo più”. Il suo staff mi ha chiamato per scusarsi. Piccoli gesti, certo, ma di cui si trova poca traccia nella storia.
C’è chi ha detto e teorizzato che è stata anche il suo modo di costruirsi come personaggio, può essere, ma se chi fa politica decide di fare il personaggio così non è poi così male. Come ogni uomo di potere è stato anche fatto oggetto di critiche, ha vissuto le contraddizioni, ha strappato, litigato, e chissà anche che altro e su questo disse “Il potere non cambia le persone, rivela solo chi sono veramente”. Nello stesso tempo ha vissuto la politica in maniera diversa, ha saputo stare sempre dalla parte del popolo di Cuba e di Fidel così come attaccare Ortega, Maduro, Morales e Cristina Kirchner per tante cose, in primis ha detto loro che non hanno avuto il coraggio di costruire una successione.
Il suo Uruguay non è diventato socialista, e forse non ha mai voluto lo diventasse, ha certo però cambiato immaginari e grammatica politica, come nel suo discorso d’addio al Senato, quando decise di giocare dietro le linee della politica. La vittoria di Orsi al ballottaggio 2024 alle presidenziali ha anche il suo zampino. Da lontano, ma non troppo, ha mosso tutto ciò che poteva per riportare il Fronte Amplio al potere. La sua ultima vittoria, il suo regalo al suo popolo. Pepe Mujica è morto ma restano i suoi discorsi e tra tutto la capacità, unica nel continente fatto di caudillos, di aver saputo costruire una successione, aver formato un ceto politico giovane capace di portare avanti, poco importa che piaccia o no, il Frente Amplio. E solo per questo è esempio di come si possono fare le cose diverse. “Trionfare nelle vita non è vincere, ma rialzarsi e ricominciare ogni volta che si cade” disse, una frase bellissima, potente, iconica detta da chi ha deciso che la sua vita sarebbe stata lotta politica ed è stato pronto ad affrontare le sue scelte, senza voler uscire come puro, ma riuscendo a rimanere vero.
sintesi di Alessandro Bruni