di Andrea Tagliapietra. Pubblicato in Doppiozero del 6 maggio 2025.
“Lo Spirito, come il vento, soffia dove vuole, ne puoi udire la voce, ma non sai né da dove viene, né dove va” (Gv. 3,8). Non c’è sintesi migliore del significato dell’ultimo libro di Romano Màdera di quella offerta dalle parole del Vangelo di Giovanni, che in questo versetto riporta la risposta di Gesù a Nicodemo. Se il credo della carne colloca il fariseo nella disciplina della Legge in cui è nato e che lo spinge a consultare il Rabbi di Nazareth nottetempo, per non farsi scoprire dai suoi correligionari, lo Spirito può condurlo a una seconda nascita, anarchica e liberatoria, ma – e qui forziamo un po’ l’interpretazione del passo – allo stesso tempo inclusiva di ciò che Nicodemo è stato, della sua storia e dell’autenticità della sua fede.
Una spiritualità laica che vive nella convinzione che l’accesso alla verità del sapere si ottenga solo a condizione di una completa messa tra parentesi della singolarità delle nostre esistenze. Presa questa strada, la filosofia mette in sordina e poi rinuncia definitivamente a quel compito di educazione, di orientamento e di trasformazione delle vite dei singoli esseri umani che in origine la caratterizzava. Infatti, la domanda filosofica degli antichi Greci era “come posso vivere?”. Ed è la stessa incalzante domanda che oggi ci poniamo in quel determinato, unico e irripetibile “io penso” (ma anche “io spero”, “io amo”, “io soffro”, ecc.) che ciascuno di noi incarna.
Sul piano biografico Màdera suggerisce uno snodo storico-filosofico fondamentale. È quel “come si diventa ciò che si è” che Nietzsche ha posto a sottotitolo del suo ultimo libro, febbrilmente composto sull'Ecce Homo […] come l’ultimo ma consequenziale anello del processo di pensiero che va alla domanda sul “come posso vivere?” degli antichi filosofi greci che è, però, oggi mutata radicalmente. La biografia di cui parla Màdera non è la conseguenza diretta della teoria, ma il punto di partenza da cui muove un nuovo modo di fare teoria, inseparabile dall’apporto dell’evento e della singolarità dell’esperienza.
Quindi non si tratta solo di scrivere in prima persona, così come prevede il genere autobiografico, ma di impiegare la scrittura per accompagnare il processo di trasformazione della vita, ossia la cognizione pensosa del tempo che siamo. Insomma, la scrittura è un esercizio filosofico. Anzi, fra gli esercizi filosofici è il più intimo e rischioso. Situa la soggettività di chi scrive sul piano esposto dell’oggettività, là dove, oltre la patina del narcisismo, ciascuno scoprirà, con la dovuta pazienza, que je est un autre. “Io è un altro” non significa “io sono un altro”.
La torsione della biografia e del metodo biografico proposto da Màdera rovescia il soggettivismo del pensiero moderno. Màdera insiste sull’emergere, in particolare negli ultimi due secoli, di un diritto alla biografia, di un «processo sociale e politico» che non distingue più i “grandi” della terra, degni di biografia da quando c’è storia, ma appartiene ad ognuno, alla signora e al signor Chiunque. L’autobiografia diviene, allora, la cartina di tornasole del «movimento di emancipazione-liberazione dell’individualità sociale in tutte le sue forme», «non solo come pratica espressiva e autoformativa, ma come possibilità di trasformazione radicale», come modo di giocarsi la carta del senso.
Il libro di Màdera vuol essere anche un manuale di vita, mostrando come la torsione biografica della filosofia può realizzarsi nella prospettiva di una spiritualità laica, ossia indipendente dalle fedi positive, dai riti e dai simboli storici delle religioni, ma non a prescindere dall’impatto personale di una qualche “esperienza” del senso, anche quella che muove la consapevolezza di sé dell’ateo: «io userò l’aggettivo “laico”», precisa Màdera, «per indicare una spiritualità che attraversa le diverse religioni – quindi interreligiosa – e anche ogni via di senso, di orientamento complessivo della vita, di chi religioso non è affatto, dagli agnostici agli atei». Così il nesso fra biografia e spiritualità, intrecciato nel laboratorio della storia del pensiero passa per la narrazione delle “vite impegnate”, attraversa l’esperienza dell’autobiografia come microcosmo di Raimon Panikkar, fino all’esempio commovente di Rosa Luxemburg. Commenta Màdera, richiamando il primo capitolo del Genesi, «che cosa può voler dire che Dio vide nella creazione che “era buona”? L’atea militante Rosa Luxemburg ne offre, senza affatto volerlo, una comprensione esistenziale perché vede, nonostante ogni orrore che peraltro patì personalmente, che tutto può essere “bello e buono”».
Il libro di Màdera si presenta, così, come una teoria intarsiata di storie, fondate sul valore probatorio delle vite. Infatti le biografie di ciascuno sono, nel campo dell’etica, il corrispettivo dell’esperimento in quello delle scienze della natura. Tuttavia si tratta di un esperimento differenziale, che aggiunge variazioni, in cui non si cerca l’universale della regola, bensì il comune dell’eccezione.
Ma non c’è solo il valore esemplare e singolarizzante delle vite. Il libro si conclude con alcune indicazioni per un esercizio di pratica filosofica rinnovata, di una meditazione in grado di mettere in sintonia il livello delle appartenenze e dell’io con quello degli altri: con la comunità e con il cosmo. Màdera riqualifica in proposito un termine chiave della filosofia morale, ovvero responsabilità, collegandolo non alla negazione e al dovere, ma alla positività del gioco, inteso sia come play, cioè assunzione del ruolo dell’altro, che come game, vale a dire seguire le regole comuni dell’Altro Generalizzato delle comunità in cui si vive.
La responsabilità sfocia, quindi, in quella che Italo Valent chiamava un’etica della possibilità. Allontanandosi dal modello della mente modellata sull’atomismo sociale capitalistico, Màdera ci invita a considerare la coscienza e la sua stessa nascita «correlandola all’invenzione della “seconda natura”, il mondo costruito dal lavoro umano, culturale e storico. Un mondo nato dall’“immaginare altrimenti” ciò che è, e che, quindi, può diventare altro». Visto lo stato di profonda crisi in cui versa il pianeta, all’immaginazione spetta un assai lungo e duro lavoro.
sintesi di Alessandro Bruni
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