di Alessandro Bruni in ricordo di Gianmaria Testa
La cronaca politica è pervasa dagli scontri di potere tra diverse nazioni, tra diversi dittatori o capi supremi: Trump tuona sul braccio di mare che divide gli Usa dalla Groenlandia, minaccia l’intervento armato per Panama., è possibilista sulla guerra con l’Iran. Netanyahu si lancia in una guerra preventiva prima verso Gaza e poi contro l'Iran. Putin ritiene che l’Ucraina sia russa, e vuole il dominio delle acque del fiume Nistria che separa la Moldavia dalla Transnistria. Khamenei minaccia la chiusura dello stretto di Hormuz e il blocco del Canale di Suez. La Cina pretende il mare e l’isola di Taiwan. Per non parlare ancora di altri conflitti (Giappone, Russia, India, Pakistan, ecc.) in gran parte determinati da acque o terre che sono considerate esclusive come proprietà da recintare, invece che considerarle essenza del liquido madre della terra che unisce i popoli.
Tutto questo mi ha ricordato una canzone allegorica del 2011 di Gianmaria Testa di cui qui propongo il testo, quasi bambinesco, ma di profonda umanità, ironia e attualità. Chi vuole ascoltarla, invece, apra questo link da Youtube.
20mila Leghe (in fondo al mare)
- il primo fu Capo di Buona Speranza
- chiuso per legge e decreto speciale
- che la smettessero le onde pacifiche
- d’imbastardire quell'altro mare
- poi fu la volta di Panama e Suez
- e quindi del Bosforo e di Gibilterra
- ogni maroso pretese il rispetto
- della sovrana indipendenza
- niente più scambi di acque e di pesci
- niente più giri del mondo in veliero
- tutti i canali rimasero chiusi
- a qualunque passaggio di flutto straniero
- così per un poco tornarono chete
- le acque dei mari di tutto il pianeta
- ma non durò molto che un’onda riprese
- a dir ch’era tempo di farla finita
- successe che un giorno nel mare nostrano
- lo Jonio pretese di stare da solo
- e così vollero pure il Tirreno
- il Mar di Sardegna e l’Adriatico al volo
- insomma - nessuno si mischia nessuno -
- tuonavan le acque dei bassi fondali,
- ognuna rimanga ancorata ai suoi porti
- e bagni soltanto le sabbie natali
- sembrava la fine ma era solo l’inizio
- e anche così fu ben brutto vedere
- in quel che era stata la grande distesa
- lo strazio dei fossi a dividere il mare
- era solo l’inizio, come già si diceva
- perché adesso la febbre secessionista
- andava ammalando ogni singola riva
- e niente a nessuno riusciva a dir basta
- così da Trieste alla punta pugliese
- e dalla Sicilia alla Costa del Sole
- ogni più piccola cala pretese
- l'indipendenza e non solo a parole
- ma la questione divenne barbina
- quando si presero goccia con goccia
- e ognuna guardando la propria vicina
- diceva - vai via o ti rompo la faccia -
- il mare fu presto una grande rugiada
- inutile ai pesci e a qualunque creatura
- morirono il tonno, l’acciuga, lo spada
- restarono in secca le barche d’altura
- e poi un giorno, o una notte, non so
- accadde qualcosa di ancora più strano
- conoscete la formula dell’acqua H2O
- si quella dell’acqua, che tutti sappiamo
- ebbene l'idrogeno trovò da ridire
- sostenne di avere la maggioranza
- e quindi il diritto sovrano di ambire
- all’ormai sacrosanta indipendenza
- ci fu come un vento, un soffio infinito
- e l’acqua dei mari s’invaporò in cielo
- rimase un deserto di sale e granito
- ma buio e profondo più nero del nero