di Vittorio Mete e Dario Tuorto. Pubblicato in Il Mulino del 3 giugno 2025.
L’astensionismo elettorale è una spina nel fianco della democrazia. Le urne vuote sfregiano la rappresentazione patinata di governanti legittimati ad agire grazie al consenso ricevuto dal loro docile popolo. Il non voto sfida la democrazia nella misura in cui costituisce una critica, nemmeno tanto velata, ai suoi attori e alle sue procedure. Astenendosi, gli elettori intendono ripagare i governanti con la loro stessa moneta, le cui due facce sono l’indifferenza e l’ostilità. La diffusione di questi atteggiamenti dà vita a una sorta di vendetta popolare – descritta in maniera magistrale da José Saramago nel suo Saggio sulla lucidità – che mette tutti i politici nello stesso mazzo. Anche da qui origina la crescita dell’astensionismo che si registra, da almeno tre decenni, in quasi tutte le democrazie occidentali.
È nel bel mezzo della discussione elettorale che si fa solitamente largo – e gode di uno sprazzo di immeritata notorietà – il «partito degli astenuti». La formula è logora, tanto è stata usata. Conserva ancora intatto, però, tutto il suo potenziale evocativo. Anzi, dire che quello degli astenuti è «il primo partito» ha perfino il prodigioso potere di mettere (quasi) tutti d’accordo.
Senonché, il partito degli astenuti non esiste. L’espressione sottende, infatti, che i non votanti abbiano una compattezza interna, interessi comuni e la capacità di formulare proposte coerenti, analoghe a quelle dei partiti che concorrono – con simboli, liste e candidati – alle elezioni. Gli astensionisti sono invero un popolo più nomade che stanziale, la cui composizione interna è alquanto mutevole.
Bisogna infine tener conto anche delle caratteristiche sociodemografiche ed economiche dell’elettorato e della società nel suo insieme. Tra queste, le più rilevanti sono: l’ampiezza, la composizione, la concentrazione e la stabilità della popolazione, le disuguaglianze nella distribuzione del reddito.
Per comprendere quali siano le cause dell’astensionismo elettorale, i fattori appena menzionati vanno integrati con quelli relativi al livello individuale. Anche in questo caso, l’analisi scientifica ha considerato decine (se non centinaia) di variabili. Tra quelle che hanno ricevuto una maggiore attenzione dobbiamo in primo luogo menzionare il senso soggettivo della doverosità del voto, che deriva essenzialmente dal processo di socializzazione politica sperimentato dall’individuo e dal significato attribuito all’atto del voto in una specifica comunità politica. Ci sono poi altri aspetti sociali e politici (come il far parte di reti associative od organizzazioni politiche) e psicologici (quali il senso soggettivo di efficacia politica) parimenti molto presenti nelle analisi e nelle ricerche sull’argomento.
È il peculiare mix di questi fattori che spiega, per ogni elezione, quante e quali persone si recheranno alle urne. Se a votare è una minoranza di elettori, è evidente che anche il senso della doverosità del voto, vero argine all’astensione, prima o poi verrà meno. L’avvicendarsi delle generazioni, con l’avanzata di quelle cresciute senza il «costo morale» del non voto, farà pian piano il resto. La traiettoria discendente della partecipazione non appare però lineare. Le crisi economiche (e i relativi «rimedi») sono rasoiate che lasciano cicatrici profonde sul corpo elettorale, lunghe e difficili da rimarginare.
Sbaglia, però, chi pensa che sia solo la diminuzione quantitativa della partecipazione a costituire un problema per la democrazia. Bisogna invece preoccuparsi anche (o forse soprattutto) dei suoi aspetti, per così dire, qualitativi. Meno elettori alle urne implica che la già scarsa partecipazione diventi sempre più disuguale, con l’espulsione dal circuito della rappresentanza democratica delle fasce più deboli e marginali della popolazione.
Ciò, com’è facile intuire, ha una ricaduta tangibile e diretta sugli interessi di tali gruppi sociali, la cui voce, tanto più nella politica strillata di oggi, risulterà se possibile ancora più fioca. Di conseguenza, le politiche pubbliche, decise da un personale politico che questi elettori non hanno contribuito a selezionare e dal quale non ricevono alcuna adulazione, risponderanno sempre meno alle loro esigenze, aggravando ancor di più la loro condizione di subalternità.
Intervenire con efficacia su chi, per motivi diversi, ma sicuramente anche per sfiducia e ostilità nei confronti della politica, non vuole votare è infatti un compito molto più arduo e dagli esiti assai incerti che colpisce la democrazia nel suo atto più vero.
sintesi di Alessandro Bruni
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