di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La fase attuale della vita del mondo sta diffondendo tra i cittadini una serie di preoccupazioni di varia natura che rendono questo tempo particolarmente inquieto e denso di pericoli. Sul piano dei rapporti politici la permanenza della guerra in Ucraina, a Gaza e in altre parti del pianeta, senza apprezzabili e reali tentativi di mediazione verso una vera pace, mettono in evidenza la crisi delle istituzioni internazionali e un disordine globale che sta riducendo gli spazi della democrazia rappresentativa a vantaggio di forme illiberali e di autocrazie.
Sul piano economico si sta rafforzando un rapporto tra progresso tecnologico e scientifico e capitale finanziario, con produzione di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico e una trasformazione del lavoro verso forme diverse, più qualificate e più individuali, che mettono in discussione il lavoro tradizionale, più uguale, che storicamente ha dato vita alla classe operaia. La conseguenza più evidente appare un forte sviluppo su base globale con record di profitti da parte di una classe ristretta di nuovi ricchi, che punta ad esercitare il governo della società spesso prescindendo o in alternativa dalla politica e dalle regole della democrazia.
In Occidente è in atto la trasformazione del precedente modello di sviluppo, un rallentamento della crescita e la realizzazione di ulteriori disuguaglianze sociali, mentre in altre aree del mondo, come in Asia, gli effetti sono diversi. Infatti, a livello globale, nonostante la pluralità e la gravità dei problemi presenti, non sono sparite le basi materiali che fondano la speranza di un futuro migliore. Pur con l’aumento della popolazione globale è cresciuta anche l’aspettativa di vita, si sono ridotte le crisi alimentari e sanitarie, come, tra l’altro, sono in crescita gli indici di scolarizzazione e di cura dell’infanzia.
L’effetto combinato di tali processi è lo spostamento dell’asse centrale della politica, dai singoli stati al livello globale. Gli Stati, da soli, sono inevitabilmente destinati ad un ruolo subordinato, costretti, nelle loro alleanze, entro gli spazi e i limiti decisi dai protagonisti a livello globale. La linea di tendenza attuale, specie dopo la svolta corporativa degli Usa di Trump, si profila come uno spostamento progressivo del centro politico ed economico del mondo verso l’Asia, dove Cina, India e Russia tendono ad occupare spazi crescenti di influenza nei diversi continenti. Con l’aggravante che i loro regimi politici rimangono alternativi alla democrazia rappresentativa.
Per tutto questo l’Europa come soggetto politico unitario e autonomo rimane la chance maggiore che ha l’Occidente per tornare a svolgere un ruolo protagonista e per favorire un nuovo mondo più democratico, solidale e di pace. Un ruolo che può sollecitare anche gli Stati Uniti ad uscire dalla svolta regressiva attuale e riprendere la responsabilità che gli compete. Tuttavia, l’Europa è oggi all’altezza di svolgere questo ruolo? Essa risulta da qualche tempo bloccata nel procedere verso l’acquisizione di una precisa identità politica, propria, di una federazione di Stati, in grado di confrontarsi e decidere con gli altri soggetti globali.
Tuttavia, nella complessa situazione mondiale, compete all’Europa una precisa responsabilità di una presenza protagonista, che deriva dalla storia dalla cultura e dalla esperienza democratica che può efficacemente rappresentare. Essa rimane anche un grande mercato unico, in grado di confrontarsi nello spazio globale anche sul terreno dell’interesse economico reciproco Ma deve uscire dall’attuale torpore, che favorisce i suoi nemici sovranisti, e riprendere con coraggio il cammino unitario, Credo che, nel breve periodo, occorra che l’asse rappresentato dai Paesi fondatori riprenda l’iniziativa per la modifica dei Trattati costitutivi, partendo dal superamento del diritto di veto, che sta bloccando ogni decisione, dalla difesa comune e dall’allargamento degli spazi di decisione e finanziamento comuni.
Nel constatare che Il tempo disponibile rimane sempre più ristretto, occorre che alla base del necessario processo riformatore ci sia la fede e l’impegno consapevoli del ruolo insostituibile dell’Unione Europa nella costruzione di un nuovo ordine mondiale. In questo ambito emerge, in tutta la sua drammatica contraddittorietà, il ruolo dell’Italia che da Paese fondatore è diventato un interlocutore ambiguo e scarsamente credibile, sempre più alleato con i nemici dell’Europa. Da protagonista attivo dell’innovazione a freno sovranista più o meno isolato.
Scegliere di stare nel gruppo dei Volonterosi e ricostruire un rapporto trasparente e fiducioso con gli altri Paesi fondatori, può avere un senso se rappresenta l’avvio di un percorso teso a ritrovare un autentico europeismo che rappresenti il cuore e il centro del ruolo futuro dell’Italia nel mondo. Altrimenti, nonostante tutti gli sterili adeguamenti tattici, significherà collocare il Paese fuori da ogni protagonismo politico nel mondo di domani.