di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
L’azione di governo della premier Meloni, in particolare a giudizio della propaganda di partito ma non solo, si sarebbe sviluppata in termini relativamente normali nella politica interna, e di protagonismo politico nella politica estera. Del resto, la stessa premier, parlando all’assemblea di Confindustria, ha spiegato così l’azione del suo esecutivo: “Tesa soprattutto a restituire a questa nazione la centralità che le è propria sullo scacchiere internazionale”.
Poiché la politica estera si esprime con coerente identità e credibilità verso gli altri Stati, mostrando il meglio di sé, è bene approfondire tale politica del governo Meloni per acquisire una valutazione più realistica e rigorosa sul suo ruolo. Fin dall’inizio, questo governo nazionalista ha impostato la politica estera su alcune direttrici che in buona parte, cercavano di non allontanarsi troppo dalla tradizione italiana.
La scelta atlantica, di alleanza con gli Stati Uniti di Biden, e una presenza attiva nel Mediterraneo, soprattutto per il problema dei migranti, e in Africa, tramite il Piano Mattei. Mentre, in coerenza con l’alleanza con gli Usa, nonostante il rilevante rapporto storico di Marco Polo, compiva, a mio avviso, l’errore di abbandonare la partecipazione al progetto cinese della Via della Seta. In queste scelte rimaneva, non a caso, del tutto in ombra la politica europea, nonostante il notevole sostegno economico che l’Italia aveva ricevuto tramite il Pnrr.
La presidenza di Meloni del gruppo euroscettico Ecr (Conservatori e riformatori) posizionava il governo italiano in un ambito di apparente neutralità che, nei fatti, significava opposizione. La successiva evoluzione geopolitica con la diffusione delle guerre in Ucraina e a Gaza, il rallentamento della crescita economica con relativi conflitti sociali, e, da ultimo, l’elezione di Trump alla Casa Bianca, hanno rimesso in discussione le scelte italiane. Da un lato l’arrivo di Trump ha rafforzato, per maggiore omogeneità politica,, l’alleanza con gli Usa, fino a trasformarla in un elemento speciale che avrebbe consentito di far giocare a Meloni un ruolo particolare di mediazione tra Stati Uniti ed Europa, dall’altro il moltiplicarsi degli sbarchi di migranti nei porti italiani ha fatto della politica di respingimento degli irregolari una parte rilevante della politica mediterranea.
Più in generale, nel nuovo multilateralismo geopolitico si è cercato di moltiplicare le occasioni di incontro internazionale per evidenziare la consistenza di un ruolo di presenza, spesso al di là dei risultati raggiunti (incontri con Biden e Trump, incontri con partner europei e mediterranei, incontri connessi alla presidenza italiana del G7, presenza nelle aree periferiche come i Balcani e l’Uzbekistan). Tale presenza si è manifestata anche nella ricerca di un qualche ruolo di presenza, anche periferico, della premier, in avvenimenti rilevanti come le occasioni di mediazione delle guerre in corso, compreso il ruolo del Papa Leone XIV, utilizzando il ruolo di attrazione di Roma.
Nella sostanza l’importante è esserci, di persona o in fotografia, per dimostrare che si conta. Tuttavia, ha pesato negativamente l’assenza di qualsiasi ruolo di avvicinamento delle posizioni tra Trump e l’Ue, e gli incomprensibili silenzi sui dazi e sui disastri umanitari di Gaza. E’ emersa invece, con maggiore evidenza e criticità, la crescente contraddizione del rapporto tra l’Italia e l’Europa. Da Paese fondatore l’Italia è passata progressivamente a posizioni di dissenso e di dura critica su singole questioni e al voto contrario o di astensione su alcune decisioni rilevanti. Dal voto negativo all’elezione di Von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, a quelli sul Mes, sul nuovo Patto di stabilità, sulla difesa comune europea. Ha assunto particolare valore negativo il rifiuto a partecipare all’assemblea dei Volonterosi per un sostegno attivo a una mediazione nella guerra Russia-Ucraina.
Nello stesso tempo il governo italiano ha mantenuto un rapporto di vicinanza con i dissidenti Ue come il premier ungherese Orban, astenendosi anche sul documento relativo di critica, votato da 20 Paesi europei. Come ha pesato, in termini di caduta di credibilità, l’accettazione silenziosa dell’adesione del vicepremier Salvini al gruppo dei Patrioti frontalmente contro l’Ue, e le sue posizioni anti Nato e filorusse. Ora l’esperienza storica e politica dimostra che la corretta politica transatlantica e quella europea sono legate a filo doppio per cui si può contare nella prima solo se si è protagonisti nella seconda.
Quindi la politica ambigua e contraddittoria di Meloni si scontra con la realtà. Contrariamente ai dettami della propaganda, il suo impatto nell’attuale contesto globale determina scarsa credibilità e marginalità politica che l’indubbio attivismo non riesce a nascondere. L’Italia si trova più isolata di ieri e suscita diffidenza nell’attivare le necessarie alleanze. Nei rapporti internazionali il Paese e condizionato da una trappola ideologica nazionalista e sovranista che lo vincola a un mondo che non c’è più. Ad aggravare la situazione non vorremmo che anche l’opposizione si trovi dentro una trappola analoga, sia pure di segno politico contrario.