di Carlo Zocchetti. Pubblicato in il Sussidiario del 12 Giugno 2025
Superato l’atteso e scontato (da me, almeno) flop sui 5 referendum, spero si possa tornare a parlare di argomenti a cui la rissosa (as usual) campagna referendaria ha messo la sordina. È il caso, ad esempio, di un provvedimento adottato dal Governo il 19 maggio u.s., passato necessariamente sotto traccia perché lontano dagli argomenti oggetto di referendum e che rimanda al tema dell’autonomia delle regioni (più o meno differenziata).
La questione riguarda la definizione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), uno degli argomenti più importanti nel percorso di determinazione delle regole volte a stabilire le caratteristiche che dovrà avere il processo autonomista e, tecnicismi a parte che lasciamo agli esperti di diritto, il provvedimento adottato dal Governo cerca di venire incontro a (o meglio, di superare) una critica al percorso definitorio dei Lep formulata a suo tempo dalla Corte di Cassazione.
Senza entrare in dettagli per i quali non si ha competenza, e quindi sorvolando su un giudizio di merito sul provvedimento (disegno di legge sulla delega al Governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – Lep -, a eccezione della materia tutela della salute), l’occasione è buona per tornare a ragionare sui Lep partendo dagli insegnamenti che vengono dai loro parenti più prossimi, e cioè i Lea (Livelli essenziali di assistenza) del comparto sanitario, comparto per il quale, peraltro, non è (giustamente) prevista una definizione di Lep (continuano quindi a valere i Lea).
Il primo insegnamento che viene dalla sanità ha a che fare con i tempi di approvazione. La storia dei Lea ci dice che sono occorsi parecchi anni (decenni) prima di arrivare alla loro definizione con il Dpcm 29 novembre 2001 (e il suo aggiornamento nel 2017).
Sarà che era la prima volta che veniva affrontato l’argomento, sarà che il comparto sanitario è particolarmente complesso (ma gli altri non mi sembrano da meno) e tocca corde verso le quali i cittadini sono particolarmente sensibili e attenti, sarà che ogni atto amministrativo nel nostro Paese in quanto a tempi di realizzazione sembra governato dalla legge di Murphy, o sarà qualsiasi altro impedimento che le ha ostacolato il cammino, anche alla luce di medesime difficoltà che si sono presentate quando si è cercato di passare dai Lea sanitari agli analoghi sociali (Liveas) occorre innanzitutto ipotizzare che la definizione tecnica dei Lep richiederà parecchio tempo e non potrà essere immediata, anche perché le materie oggetto di definizione saranno diverse e da affrontare singolarmente in maniera specifica: quindi, ci vorranno tempi lunghi per completare il percorso e chi prefigura tempi brevi si espone a promesse che probabilmente non riuscirà a mantenere.
Il secondo insegnamento ha a che fare con la metodologia da usare per definire i Lep e il rapporto tra la loro definizione e il relativo finanziamento. Logica vuole che il percorso debba essere del tipo “bottom-up”: si parte cioè dalla definizione delle singole prestazioni da garantire, si attribuisce a ogni prestazione un costo (o prezzo) standard, si stabilisce il numero di prestazioni da garantire, e dal prodotto tra il costo e il numero, esteso (come somma) a tutte le prestazioni, ne deriva l’impatto economico, cioè il valore del finanziamento necessario.
Questo approccio, purtroppo, può portare a un valore economico che lo Stato (Governo, Parlamento, politica, ecc.) potrebbe ritenere non sopportabile alla luce delle risorse disponibili: e infatti la sanità per i Lea ha scelto la strada opposta (“top-down”), cioè prima ha stabilito le risorse da mettere e disposizione (il Fondo sanitario nazionale) e poi ha dovuto definire una metodologia (attraverso l’uso di discutibili indicatori) per capire se i Lea sono (ovvero non sono) erogati dalle singole regioni, con le conseguenze negative che sono davanti agli occhi di tutti e che sono state più volte descritte anche da queste colonne.
Come si intenderà procedere con i Lep? Al momento è difficile dirlo, ma entrambi i percorsi propongono ostacoli, sia valoriali che tecnici, non indifferenti.
Il terzo insegnamento suggerisce che non bastano la definizione dei Lep e l’identificazione della quantità del loro finanziamento: sono necessarie anche una metodologia di valutazione e un insieme definito di conseguenze (sia positive che negative), al fine di incentivare e promuovere i comportamenti ritenuti adeguati e disincentivare e contrastare quelli inadeguati.
Sul punto l’insegnamento della sanità, oltre a dimostrare la necessità di questi due strumenti, indica che il percorso valutativo deve essere previsto fin dall’inizio (e non come è successo per i Lea che per diversi anni non hanno avuto una valutazione) e che le conseguenze devono essere reali, concrete, e devono aiutare gli inadempienti a diventare adempienti (non così è successo per la sanità dove le regioni che sono valutate negativamente quanto alla loro capacità di erogare i Lea sono da anni sempre le stesse e non si osservano miglioramenti).
Fermiamoci qua perché quanto detto basta e avanza per evidenziare come, alla luce delle esperienze maturate dalla sanità, il cammino dell’autonomia (più o meno differenziata) si presenta lungo e ricco di questioni da affrontare: i favorevoli e i contrari dovranno abbandonare le inutili schermaglie ideologiche che hanno fin qui dominato astrattamente e aprioristicamente il dibattito in corso e devono attivare invece gruppi di lavoro e iniziative concrete se non si vogliono ripetere i tanti errori che la sanità ha già compiuto e di cui sta pagando le conseguenze.
Ma a me pare che nel nostro Paese piuttosto che imparare dagli errori si preferisca spesso negare che gli errori siano stati compiuti.