Sandro spinsanti2Il cancro abbinato a una risata. Che cos’è: uno scherzo di cattivo gusto? Una provocazione? No: una proposta terapeutica. È quanto propongono iniziative nate sotto il segno dello “yoga della risata”. Si tratta di una pratica finalizzata a indurre risate, senza umorismo o barzellette, ma con esercizi di respirazione, movimenti e vocalizzazioni. La finalità è quella di liberare nell’organismo mediante la risata gli ormoni abbinati alla gioia, producendo così benessere. Alcuni terapeuti hanno introdotto lo yoga della risata anche nel proprio ambito clinico, proponendolo ad esempio a malati oncologici. Con rimarchevoli benefici testimoniati da coloro che lo praticano.

Superato l’iniziale spaesamento, ci sentiamo indotti a una riflessione di più ampio respiro, che prenda in considerazione diverse modalità di reagire alle violente offese che la malattia infligge al corpo – e alla vita intera. Le più spontanee sono la tristezza, il pianto, la disperazione quando non si intravvedono risposte terapeutiche efficaci. E naturalmente il lamento. Tutto comprensibile, ma non esaustivo. Nei confronti della malattia sono possibili anche altre posture; comprese quelle che gravitano intorno alla risata. Con diverse sfaccettature. A cominciare dal sorriso. Malgrado le devastazioni della patologia – aggravate talvolta da quelle che accompagnano, come effetti secondari indesiderati, i trattamenti terapeutici – i malati possono continuare a sorridere: rivolgendo il sorriso a sé stessi.

Si tratta fondamentalmente di non lasciarsi trascinare fuori dall’autostima; di continuare a valutare positivamente il proprio corpo, nonostante gli insulti che può aver subito dalla malattia. Per i malati oncologici l’onlus “La forza e il sorriso” propone con vigore trattamenti estetici, nella convinzione che la cura passa anche attraverso la ricerca della bellezza. Il sorriso è il simbolo di un accompagnamento emotivo che aiuta il malato a ritrovare la propria immagine, la propria voce, la propria forza. In questo ambito assistiamo anche a iniziative come sfilate di moda per malati oncologici – di fatto, soprattutto donne malate – e che non si tirano indietro di fronte alla creatività. Parrucche, abiti fantasiosi, trattamenti estetici danno appoggio al sorriso di chi vuol continuare a considerare il proprio corpo come l’amico fondamentale di sé stesso, resistendo alla malattia che tende a portarlo sul terreno dell’inimicizia. Il sorriso è finalizzato a inculcare forza, secondo il titolo programmatico dell’associazione che lo promuove in ambito oncologico. Si tratta di una risorsa terapeutica che si sposa perfettamente con quelle che offre l’ambito medico.

Dopo il sorriso, consideriamo il ridere. Parliamo di una strategia che nasce dall’umorismo. Questo è un tratto umano di alto valore. Nel libro che Javier Cercas ha dedicato all’opera e al pensiero di papa Francesco, accompagnandolo nel viaggio in Mongolia – un affascinante racconto sintetizzato nella frase: “un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo” – ha dato grande rilievo alla considerazione che il pontefice aveva di questo tratto antropologico, fino ad attribuirgli la frase: “Il senso dell’umorismo è l’espressione umana che più assomiglia alla grazia divina” (1). A questa risorsa attingono talvolta i malati quando danno conto del percorso da loro seguito nella patologia e nei trattamenti curativi. Il riferimento è a quei racconti autobiografici noti come “Misery report”, ovvero in italiano narrazioni del dolore. Qualche esempio: Ho il cancro e non ho l’abito adatto, di Cristina Piga (2); A parte il cancro tutto bene, di Corrado Sanucci (3); Chi non muore si rivede, di Alberto Maggi, con il sottotitolo: “Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita” (4).

Il ricorso all’umorismo può essere più che una strategia per superare il dolore sdrammatizzandolo: è riconducibile piuttosto alla leggerezza quale alternativa alla pesantezza, secondo il testamento che ci ha lasciato Italo Calvino nelle sue Lezioni americane (5), proponendo “la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”. Guardare sé stesso con uno sguardo ironico comporta prendere le distanze dalla propria malattia. Spostando la nostra attenzione a una narrazione letteraria che si discosta dalla docufiction, nel romanzo di Gustavo Rodriguez: Cento porcellini d’India (6), ambientato in una casa di riposo per anziani, troviamo un gruppo di ospiti che, per resistere all’inesorabile perdita della propria autonomia, fanno ricorso all’umorismo. Si esortano reciprocamente a evitare di “essere afferrati dal Tedesco e dall’Italiano”, intendendo con questi nomi l’Alzheimer e il Franco Degrado…E quando un ragazzo, consapevole che la propria madre sta morendo per un cancro, le domanda: “Cosa farò quando sentirò la tua mancanza?”, si sente rispondere: “Cercami nelle nostre risate”. È un appello a confrontarci con il ridere come una riserva di vita, quando questa raggiunge la sua maggiore densità, non esclusa l’inevitabile conclusione. La risata sotto il segno dell’ironia crea inoltre una specie di complicità sotterranea con la patologia: è come una strizzatina d’occhio alla malattia stessa e alla sua devastazione, per trasmetterle che non si è disposti a lasciarle la vittoria finale. È un segnale di superiorità, come se le dicesse: “Non illuderti di sconfiggermi; l’ultima parola l’avrà la storia che sono riuscito a costruire!”.

Per esplorare tutto il ventaglio delle possibilità che ci offre il ridere, dopo il passaggio dal sorriso al riso, concentriamoci sulla risata, entrando nel territorio dove l’abbiamo incontrata tramite lo yoga. In questo scenario la risata è presentata come un’impresa sia fisiologica che mentale: si tratta di massaggiare i nostri organi interni, liberando al tempo stesso la mente. La risata produce endorfine, modifica lo stato energetico, favorisce una maggiore concentrazione. Essendo poi questi esercizi praticati in gruppo – esistono in tutto il mondo migliaia di club della risata – si incrementa la solidarietà. In breve, si tratta di una pratica salutistica ad ampio raggio. 

Per quanto lo yoga della risata si presenti in modo riduttivo come una semplice tecnica, quasi una ginnastica, siamo consapevoli di muoverci in un ambito in cui sullo sfondo si profila la spiritualità. Ovviamente intesa in senso ampio, e non necessariamente identificata con quella che prende forma nella religione. La risata si presenta in un contesto di trascendimento. Invita ad andate oltre l’Ego, anzitutto: verso il Sé, secondo il percorso scandito dalla psicologia umanistica e transpersonale. Fino ad arrivare a una visione molto più ampia di quella che si propone in prospettiva autobiografica (quella che ironicamente delineava Cesare Zavattini con il suo libro: Parliamo tanto di me…). Perché ognuno si trova a scalare la parete di una piramide: mentre sale, si rende conto solo di ciò che la parete gli permette di vedere. E spesso prevale l’incombere di miseria e devastazione. Ma se scala la parete fino al vertice, il suo sguardo di allarga e può scorgere una realtà diversa. Quando ciò avviene, si realizzano quelle esperienze alle quali è stata data la qualifica di “oceaniche”, che portano al benessere totale e delineano quella che a buon diritto è stata chiamata “mistica quotidiana” (7).

In questo scenario la malattia può cambiare profilo: diventa un’opportunità di crescita e di autorealizzazione personale. Anche la ricerca della guarigione si modifica, assumendo il profilo di quella che Friedrich Nietzsche ha chiamato la Grande Salute. Se la spiritualità consiste, simbolicamente, in un alzarsi sulla punta dei piedi, la risata che risuona attraverso la yoga è tutt’altro che dissonante. Non si tratta solo di sdrammatizzare, ma di acquisire punti di vista diversi e più alti, che danno un’altra fisionomia alla propria vita.

Per menzionare solo un esempio, pensiamo alla riscrittura della propria parabola esistenziale intrapresa da Tiziano Terzani quando decide di esplorare questa diversa via della guarigione, che lo porta a trascendere non solo la propria biografia, ma la vita stessa. Il percorso che traccia in Un altro giro di giostra – proposto come “Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo” (8) – è impastato di ironia e invita a trascendere con una risata le meschinerie nelle quali volontariamente ci imprigioniamo. A questa autorevole testimonianza possiamo senz’altro abbinare la provocatoria e paradossale conclusione di Mattia Torre nel bilancio della gestione della sua malattia tracciato nel romanzo autobiografico La linea verticale: “La malattia è arrivata in maniera esplosiva e deflagrante, ha cambiato tutto, e anche se è difficile dirlo, ha cambiato tutto in meglio. Mi ha aperto gli occhi, la testa e il cuore. Questo tumore mi ha salvato la vita. Senza questo tumore, sarei senz’altro morto” (9).

Nelle tre prospettive che abbiamo preso in considerazione – il sorriso, il riso e la risata – la postura della persona malata è diversificata. Nella prima, sorridendosi, la persona è invitata a continuare a mettersi al centro, nonostante il tentativo della malattia di spodestarla. Quando invece ride, con un atteggiamento ironico, del male che l’ha colpita, fa uno scarto di lato: vede la propria vita diversamente da come la patologia, personalmente e socialmente, tende a profilarla. Con la risata yoga, intrisa di spiritualità, si colloca al di sopra della malattia stessa. Una posizione non esclude le altre; tutt’e tre possono rientrare nel variegato arsenale terapeutico che la creatività ci mette a disposizione. La medicina le ignora, ma fanno parte della cura nel suo significato più inclusivo.  

RTIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Javier Cercas: Il folle di Dio alla fine del mondo, tr. it. Guanda, Milano 2025, p. 172.
  • Cristina Piga: Ho il cancro e non ho l’abito adatto, Milano 2011.
  • Corrado Sanucci: A parte il cancro tutto bene, Mondadori, Milano 2008.
  • Alberto Maggi: Chi non muore si rivede, Garzanti, Milano 2014.
  • Italo Calvino: Lezioni americane, Garzanti, Milano 1988.
  • Gustavo Rodriguez: Cento porcellini d’India, tr. it. Bompiani, Milano 2025.
  • Cfr. Romano Madera: Lo splendore trascurato del mondo. Una mistica quotidiana, Bollati Boringhieri, Torino 2022.
  • Tiziano Terzani: Un altro giro di giostra, Feltrinelli, Milano 2008.
  • Mattia Torre: La linea verticale, Baldini Castoldi, Milano 2017.