Indice generale
- Introduzione
- Aspetti medico-clinici
- Aspetti assistenziali domiciliari
- La gestione del malato a casa
- Storie di demenze raccontate nei film
- La demenza nei post di Madrugada
- Fonti consultate e letture consigliate
Questo capitolo descrive in forma divulgativa gli aspetti medico-clinici delle demenze, senza addentrarsi nelle competenze mediche, per fornire un quadro culturale sanitario di base con complemento dei problemi sociali che esse generano. Le fonti usate, oltre a Wikipedia, sono state pubblicazioni in web di centri di formaziione per caregiver regionali e libri di cultura di base per operatori socio-sanitari di cui si riporta nella sezione Fonti consultate e letture consigliate.
Indice specifico di Aspetti medico-clinici
- Classificazione delle demenze
- Sintomi di esordio
- Quali le cause
- Come si sviluppa
- La diagnosi
- La terapia farmacologica
- Farmaci per l’Alzheimer: a che punto siamo?
- Uso dei farmaci nell'anziano
- La terapia non farmacologica
Classificazione delle demenze
Tra le tante classificazioni possibili per elencare le demenze riportiamo quella basata sulla ricorrenza dei casi tra tutte le forme di demenza riconosciute. Un criterio che ci appare utile come approccio iniziale per sottolineare la diffusione, la varietà e l'imprevedibilità di queste patologie.
1. La demenza presenile che compare tra i 50 e i 60 anni nelle seguenti forme:
- 1.1. La malattia di Alzheimer è una demenza neurodegenerativa che ricorre nel 60 % di tutte le forme di demenza. Si presenta in tre stadi. Nel primo compaiono deficit intellettivi della demenza, ma l'affettività resta inalterata; nel secondo stadio si sviluppano le sindromi tipiche della malattia, come afasia, alessia, agrafia, agnosia, logoclonia, bisogno di movimento e di ripetizioni di azioni a vuoto; nel terzo stadio le condizioni si aggravano e si osserva un impoverimento intellettivo totale e ad una perdita completa delle funzioni simboliche. La morte sopraggiunge in un periodo che va tra i quattro e i sei anni, ma nei paesi tecnologicamente più avanzati si presentano casi sino a 15 anni dopo l'esordio diagnostico.
- 1.2. La demenza vascolare o multinfartuale è una forma di malattia che ricorre nel 15% di tutte le forme di demenza. Non è una forma neurodegenerativa poiché insorge a causa di molteplici infarti causati dall'ostruzione di vasi cererebrali di piccolo o medio calibro. Il quadro clinico è quello di una demenza che peggiora a gradini, non in modo progressivo. L'esordio può essere brusco. A differenza di quella neurodegenerativa, per la quale non esiste possibilità di prevenzione, per quella vascolare i fattori di rischio sono quelli comuni con le malattie cardiovascolari per Tia e Ictus.
- 1.3. La malattia di Pick dove i segni premonitori sono l'apatia, l'indifferenza, la liberazione degli istinti, l'impulsività, la regressione a livello orale che si manifesta con ghiottoneria e tendenza a portare alla bocca oggetti commestibili e non. Col progredire della malattia si giunge al mutismo ed alla completa passività, incontinenza sfinterica, cachessia ed infine alla morte.
- 1.4 La malattia di Creutzfeldt - Jakob, una forma di demenza determinata da un virus che pare abbia un legame con gli ovini, la cui azione ha un percorso patogenico lento.
2. La demenza senile che si manifesta attorno ai 70 anni rilevando a livello clinico un'atrofia corticale diffusa e un livello fenomenico di disturbi mnestici, episodi confusionali, comportamenti pericolosi, idee depressive o persecutorie, turbe dell'affettività, disorientamento spazio-temporale, momenti d'apatia alternati con stati d'ansia; la terapia è solamente sintomatica. In questo quadro rientra anche la presbiofrenia di Wernicke.
3. Altre forme di demenza di minore frequenza sono:
- 3.1. La demenza alcolica come aggravamento della sindrome di Korsakov caratterizzata da un deterioramento della memoria e delle facoltà intellettive, da un'instabilità emotiva, da un degrado del comportamento e della cure di sé.
- 3.2. La demenza arteriosclerotica che si manifesta dopo i 60 anni con lesioni multiple dei tessuti cerebrali di origine vascolare denominata anche sindrome psicorganica (POS) favorita da intossicazioni croniche, da squilibri metabolici e da grandi tensioni nella vita passata del soggetto. La malattia insorge con sintomatologia di tipo depressivo accompagnata talvolta con spunti deliranti; si riscontrano insonnia, irritabilità, deficit della memoria degli avvenimenti recenti, pensiero puerile, disorientamento spazio-temporale, disforia.
- 3.3. La demenza epilettica dovuta alla degenerazione delle cellule nervose in seguito alle alterazioni circolatorie durante gli episodi convulsivi con una frequenza del 5% tra i pazienti epilettici.
Sintomi di esordio
Il sintomo iniziale più frequente è la perdita della memoria recente. Il paziente dimentica i nomi, i numeri di telefono, gli eventi della giornata, gli appuntamenti. Possono comparire anche perdita di interesse, modifiche della personalità, disturbi del sonno. Meno frequenti all'inizio sono i disturbi del linguaggio e la difficoltà ad eseguire i gesti necessari alla vita quotidiana oppure il deficit della funzione sfinterica, vescicale e anale. Con il progredire della malattia tutti questi sintomi poi possono comparire ed aggravarsi.
Nei primi stadi della malattia quando il paziente ha ancora una certa consapevolezza del deterioramento delle sue facoltà, sono frequenti reazioni d'ansia o di depressione marcata, quindi all'inizio è spesso difficile fare una diagnosi differenziale fra depressione e demenza.
Il quadro clinico, in caso di Alzheimer, è progressivo, con peggioramento generalizzato di tutti i sintomi, fino ad un decadimento mentale e fisico impressionante. È importante però rilevare che una corretta assistenza socio-sanitaria e riabilitativa è in grado di rallentare il decorso della malattia. Specie con il coinvolgimento convinto e informato della famiglia e con una rivalutazione periodica clinica e funzionale per monitorare la progressione della malattia, lo stato di salute globale, le eventuali patologie associate, la possibilità di interventi riabilitativi.
Quali cause
La malattia di Alzheimer è la causa più frequente di demenza (circa il 60% di tutte le forme di demenza). È caratterizzata dalla morte progressiva e irreversibile delle cellule cerebrali (neuroni). La causa della malattia non è ancora conosciuta. Esistono forme rare (meno del 10%) di ricorrenza familiare. È molto rara prima dei 60 anni, anche se vi sono alcuni casi ad insorgenza precoce. In questi ultimi casi di solito il decorso è molto veloce. La frequenza di questa malattia aumenta con l'età. Il decorso è molto variabile, oscillando la sopravvivenza tra i 5 e i 15 anni dal momento della diagnosi.
Secondo le principali teorie, la malattia di Alzheimer è causata dalla presenza nel cervello di sostanze anomale, come la beta-amiloide, che a cascata innesca dei meccanismi molto complessi e la deposizione della proteina Tau, che si insinua nei neuroni in una forma modificata, chiamata tau fosforilata. La deposizione di queste sostanze agisce in maniera tossica sui neuroni, facendo loro perdere i contatti gli uni con gli altri e causandone la morte.
Non esiste nessun esame strumentale specifico per l'Alzheimer, anche se alla TAC si rileva una diffusa atrofia cerebrale. L'esclusione di altre forme di demenza trattabili lasciano di solito pochi dubbi circa la diagnosi.
Come si sviluppa
L’Alzheimer si genera molti anni prima (almeno 20 o 30) dell’insorgenza dei primi sintomi evidenti ed è uno dei motivi per i quali una diagnosi precoce potrebbe davvero fare la differenza nel rallentare il decorso della malattia. Si tratta di una patologia lenta prevalentemente legata all’invecchiamento, anche se sono frequenti casi in persone relativamente giovani, sui 55-60 anni. Esistono anche rare forme genetiche che possono insorgere verso i 40 anni. Tendenzialmente, comunque, l’incidenza della malattia aumenta in maniera esponenziale con l’età, soprattutto dai 70 anni in poi e circa un quarto delle persone sopra gli 80 anni vive un decadimento cognitivo, di queste il 60% è affetto da Alzheimer. Le donne sono le più colpite.
La diagnosi: un momento delicato
La diagnosi per una persona con malattia di Alzheimer è un momento cruciale. Prima arriva, prima è possibile impostare terapie per rallentare il decorso (inevitabile) della malattia.
Per una persona con Alzheimer, o con il sospetto di Alzheimer, ricevere la diagnosi è un diritto. Questo non significa dire a una persona ‘hai l’Alzheimer’, ma iniziare a costruire intorno al malato e alla sua famiglia una situazione di protezione che lo accompagni poi nelle diverse fasi della malattia. La diagnosi va adeguata alla capacità della famiglia di capirla, di accettarla. Ci vuole umanità, ci vuole attenzione alla persona, ci vuole predisposizione a capirne la storia. E' un atto che richiede più competenze, non solo cliniche.
Guida pratica di diagnosi. Per ingrandire cliccare sopra l'immagine
La terapia farmacologica
Abbiamo visto che le demenze sulla base della loro origine si distinguono in neurodegenerative e vascolari: le prime si basano su un difetto cellulare e molecolare, mentre le seconde si basano su un difetto vascolare. Le prime sono ad oggi quasi impenetrabili sul piano terapeutico, mentre le seconde, se diagnosticate in tempo, lasciano uno spiraglio di possibilità terapeutica che dipende dalla localizzazione cerebrale e da altri fattori individuali.
Appare evidente che ad oggi le demenze neurodegenerative, e l'Alzheimer in particolare, sono ancora un enigma scientifico, non essendo ancora chiari i meccanismi cellulari e molecolari con cui si originano e si diffondono. La difficoltà di studio, la lentezza con la quale si raggiungono risultati anche minimi, fa sì che l'intero apparato di ricerca ne risenta.
Quando un settore di ricerca è particolarmente difficile da percorrere, viene meno la disponibilità di finanziamento da parte di privati (ditte farmaceutiche) che non vedono la possibilità di un ritorno economico in tempi definiti dallalogica di impresa. Venendo meno questa forma di finanziamento, rimane sul campo solo il finanziamento pubblico, che come si sa è solitamente di minore larghezza di mezzi.
Nota. Per comprendere le difficoltà della ricerca si accenna al fatto che molti sintomi iniziali delle demenze sono ricorrenti anche in disturbi psichici, in particolare nella depressione (come già si è riferito nel Focus psiche e caregiver familiari). Esistono poi alcune forme di demenza secondaria dovute ad altre patologie (come malattie ormonali, infezioni, traumi, intossicazioni, stati carenziali, ecc.) che sono potenzialmente curabili. Bisogna, inoltre, tenere conto che molti farmaci (in particolare ipnotici, tranquillanti, neurolettici) possono favorire o aggravare sintomi simili a quelli della demenza. È indispensabile quindi per tutte le forme di demenza una precisa e tempestiva diagnosi.
Stante questa situazione si determina un avanzamento conoscitivo biologico e farmacologico assai lento: meno soldi, meno ricercatori, meno istituti di ricerca, fattori che portano a tempi lunghi nella soluzione delle demenze. Oggi, dobbiamo ammettere che la situazione è la seguente: la varietà di tipologie e i pochi strumenti farmacologici a disposizione consentono di attenuare alcuni sintomi, ma non a riportare a sanità la persona colpita. Ancora oggi, dunque, di demenza non si guarisce, ma ci si accontenta di quel poco che si riesce a salvare.
Farmaci per l’Alzheimer: a che punto siamo?
Non esiste un farmaco specifico per curare l’Alzheimer. Attualmente vengono impiegate due classi di farmaci che agiscono sui sintomi della malattia, non sulle sue cause. La prima categoria è quella degli inibitori dell'acetilcolinesterasi e include il donepezil, la rivastigmina e la galantamina. Questi agiscono mantenendo i livelli del neurotrasmettitore acetlcolina e possono compensare almeno in parte (ma non bloccare) gli effetti della perdita di neuroni.
L'altro medicinale è la memantina, un farmaco diretto contro i recettori NMDA. Questi recettori sono molecole attivate nel cervello dal glutammato, un composto che nei pazienti con Alzheimer è prodotto in eccesso. Così anche i recettori svolgono un lavoro extra e proprio la loro iperattivazione è tossica per le cellule nervose. Anche in questo caso il farmaco riesce a tamponare temporaneamente sintomi di declino cognitivo. Agiscono tutti sui sintomi modificando la neurotrasmissione, quindi si utilizzano quando la malattia è già in corso.
Negli ultimi anni si è parlato molto di due nuovi farmaci, aducanemab e lecanemab, al momento approvati negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration, che agirebbero in maniera diversa. Ovvero attaccando la beta-amiloide presente nel cervello. Tuttavia, pare che questi due farmaci agiscano prevalentemente nelle fasi molto precoci della malattia e quindi possano essere utilizzati su un campione molto ristretto di pazienti. Inoltre, sono stati riscontrati effetti collaterali importanti.
La ricerca di un farmaco risolutore si fa sempre più strategica per la crescita impressionante del numero di malati di Alzheimer, dato che si prevede che aumenterà del 20% già entro il 2030. Non va dimenticato anche il costo sociale nei sistemi sanitari nazionali che questo aumento comporterà. Ed è anche per questo che a causa della limitatezza di efficacia farmacologica è necessario considerare anche altre forme terapeutiche non farmacologiche che allevino la condizione del malato e che prevengano la malattia fin tanto è possibile.
Il costo economico di queste cure psicosociali è insignificante rispetto al costo dello studio di un nuovo farmaco e al costo sociale del mantenimento di una persona in una struttura dedicata. Questa situazione di non facile soluzione ha trovato una prospettiva nell'utilizzo di caregiver familiari volontari che possono operare come tutori per le persone malate.
Malattia di Alzheimer e demenza, i nuovi progressi
Relazione di Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica, Università di Brescia. Pubblicato in Neuro.it - Settimana mondiale del cervello. Società Italiana di Neurologia (Sin). 13-19 marzo 2023.
Numerosi i progressi nell’ambito delle terapie e della diagnosi della Malattia di Alzheimer e delle Demenze a conferma che si può davvero parlare di una nuova Era.
I dati recentemente pubblicati sull’impatto clinico di Lecanemab hanno infatti confermato che la strada degli anticorpi monoclonali diretti alle forme oligomeriche della amiloide sembra portare davvero ad una cura della malattia di Alzheimer, non necessariamente nei pazienti con forme lievi.
Presto vedremo se i dati attuali saranno sufficienti per convincere nei prossimi mesi EMA ad approvarne la commercializzazione in Europa. Nel frattempo, sono in corso diversi studi clinici su farmaci della stessa classe quali il Donanemab endovena e Aducanumab sottocute così come su farmaci biologici diretti nei confronti di altri bersagli quali la proteina tau fosforilata.
Altri studi mirano a migliorare il metabolismo glucidico e la resilienza neuronale mediante farmaci ipoglicemizzanti, mentre diverse sono le evidenze a favore dell’effetto sintomatico e protettivo dei trattamenti mediante stimolazione cognitiva. Così come per altre condizioni, vi sono convincenti risultati a favore dell’efficacia della stimolazione elettrica per il trattamento dei disturbi cognitivi associati alla Malattia di Alzheimer mentre siamo in attesa di avere altri dati a supporto dell’efficacia dell’assunzione di nutraceutici e della dieta chetogenica.
Tutto questo per definire che la nuova Era delle terapie innovative e personalizzate, mediante strategie combinate tra le quali occorre includere un appropriato controllo degli stili di vita, è per la Malattia di Alzheimer già una realtà.
In questo contesto, non meno importanti sono le novità nell’ambito delle metodologie diagnostiche soprattutto grazie allo sviluppo di marcatori plasmatici che permettono non solo diagnosi più precoci e precise, ma soprattutto di classificare le diverse condizioni morbose e di individuare potenziali target terapeutici per trattamenti mirati. Sarà grazie a questi marcatori che presto potremo valutare se un qualsiasi trattamento farmacologico sarà efficace ma anche prevenire eventuali eventi avversi.
Le nuove tecnologie unite alla applicazione dell’Intelligenza Artificiale hanno aperto scenari interessanti per lo sviluppo di nuove misure di outcome o “sensori digitali” per valutare l’effetto di trattamenti preventivi nell’ambito non solo della Malattia di Alzheimer.
A conclusione di questa breve rassegna, non si può trascurare il crescente interesse nei confronti di malattie meno diffuse come la Malattia FrontoTemporale e la Malattia a Corpi Diffusi di Lewy, che sono divenute più note grazie alle vicende dolorose di Bruce Willis e Robin Williams. Queste malattie correlate a disturbi del metabolismo di proteine tra le quali TDP43, Tau, Progranulina e Sinucleina sono attualmente oggetto di studi approfonditi con farmaci in grado di correggere le anomalie genetiche patogenetiche e prevenire lo sviluppo delle alterazioni neurodegenerative.
Uso dei farmaci nell'anziano con demenza
Elaborazione di sintesi tratta dal Manuale MSD
Si deve premettere che l'Alzheimer, e le demenze di genere, sono malattie multifattoriali molto articolate, nelle quali i processi metabolici sono tanti e diversificati. In queste situazioni l'uso di farmaci specifici, orientati a correggere i sintomi ma non la cause, determina una serie in cascata di effetti collaterali che si aggiungono a quelli prodotti dalla stadiazione della malattia. Il malato di demenza è, dunque, un grande consumatore di farmaci potenti che agiscono su bersagli non univoci, come quelli di un antibiotico che hanno azione su una precisa classe di microganismi, ma su un bersaglio molecolare si preciso ma che regola meccanismi molecolari differenti a livello cellulare.
Questo significa che per logica metabolica determinerà una potente azione a cascata in distretti diversi con una cascata di effetti collaterali non facilmente prevedibili prima. Si dà così origine ad un trattamento farmacologico con uno spettro non sempre perfettamente prevedibile per il quale bisognerà monitora rel situazione con la logica del casoper caso. e trovare per ogni singolo paziente l'equilibrio corretto dovendo agire con tentativi molto difficile: si deve agire caso per caso con tentativi ed errori considerando la stadiazione della malattia, l'età del paziente e la specificità metaboliche personali.
Inoltre si consideri che la demenza colpisce soggetti anziani che già assumono altri farmaci per altre comorbitità: quasi il 90% assume regolarmente almeno un farmaco con prescrizione medica, quasi l'80% prende regolarmente almeno due farmaci con prescrizione e il 36% prende almeno cinque farmaci con prescrizione. Inoltre, quando si cosidera il consumo di integratori da banco e integratori alimentari, questi tassi di prevalenza aumentano notevolmente.
Sul piano socio-sanitario, poi, l'uso di farmaci è di gran lunga maggiore tra gli anziani fragili, tra i pazienti ospedalizzati e tra le persone ospiti di strutture di lungodegenza. Un tipico paziente anziano in una casa di cura assume regolarmente da 7 a 8 differenti farmaci: non solo per specifiche indicazioni legate alla patologia, ma anche in considerazione della effettiva vita sociale del malato e della necessità di mantenerlo sedato per questioni di gestione operativa. Una realtà che non va demonizzata, ma nemmeno superficialmente trascurata, dato che comunque non è etica verso il malato ed è troppo spesso utilizzata come intervento funzionale per la gestione della struttura piuttosto che per una esigenza sanitaria del malato.
Dato che il rischio di eventi avversi è elevato, l'eccessiva prescrizione farmacologica (polifarmacoterapia) è considerata un problema importante per gli anziani con demenza. Tuttavia, anche la sottoprescrizione di farmaci appropriati e terapeuticamente vantaggiosi deve essere evitata. Le benzodiazepine rappresentano i farmaci maggiormente oggetto di trattamento e abuso nell'anziano. Questi farmaci rappresentano il presidio di elezione per contrastare i segni depressivi del paziente giunto alla terza età.
Si deve ricordare che le considerazioni etiche rispetto alle indicazioni per una psicoterapia nel paziente anziano sono discordanti: la riduzione della prospettiva di sopravvivenza e la dipendenza rendono più difficile avviare e mantenere un trattamento psicoterapeutico, ma il vero ostacolo non è l'età, bensì la limitazione delle capacità cognitive e dell'autonomia personale causata dalla comorbilità con patologie somatiche.
La terapia non farmacologica e la socialità
La ricerca che ha portato maggiori risultati concreti nella gestione del malato di demenze è quella relativa alla prevenzione e alle terapie non farmacologiche che, ormai è assodato scientificamente, rappresentano un aspetto fondamentale nella vita del malato.
A questo dato oggettivo si aggiunge il bisogno, spesso dimenticato, del malato di esercitare la propria socialità. Ciò può accadere sia in apposite strutture o in gruppi dedicati, sia nella stessa famiglia in cui i malati vivono. In altre parole, è importante creare servizi psicosociali per far sì che l’Alzheimer non sia più una malattia dimenticata, ma diventi una disabilità da affrontare collettivamente: detta questa bella frase di verità e di effetto, vediamo ora quali sono i limiti.
Infatti, questa considerazione è di alto valore oggettivo, ma cozza contro numerose situazioni altrettanto oggettive:
- un grande tempo di cura da parte del caregiver familiare;
- un grande stress e conseguente effetto burden da parte del caregiver;
- un costo economico molto elevato da parte del sistema erogatore del servizio, se professionale, dato che il paziente privato della memoria del tempo richiede aiuto costante ad ogni ora del giorno e della notte;
- la necessità di dover provvedere alla socialità in forma collettiva in strutture dedicate.
Le difficoltà sociali di fornire misure adeguate di socialità al malato di demenza non devono far dimenticare che l’isolamento e la solitudine sono tra le conseguenze più comuni nella vita delle persone su cui si abbatte una diagnosi di Alzheimer. E questo ha degli effetti anche sul decorso della malattia.
Comunicare, socializzare, fare attività di vario genere e ricevere così stimoli cognitivi è infatti fondamentale per mantenere il malato attaccato al presente il più possibile. Ed è qui che entrano in gioco le terapie non farmacologiche e tutte quelle dinamiche sociali che possono re-inserire il malato in un contesto di comunità e far sentire i familiari meno soli. Senza contare i benefici che le terapie psicosociali hanno sia a livello fisico sia a livello mentale di tutte le persone, siano esse malate o sane.
Infine esiste una considerazione che non va dimenticata, anche se spesso lo è, il gradimento del malato. Alcuni gradiscono una socialità collettiva, il sentirsi assieme, l'essere curati da più persone. Altri vorrebbero invece una socialità dedicata di una persona specifica, meglio se familiare, su cui riversare il bisogno residuo di affettività.
Una scelta operativa che dovrebbe essere valutata singolarmente, ma che spesso è determinata dal contorno familiare e dalla possibilità di essere ospitati in una struttura dedicata e gradita. Di nuovo si cozza con un problema non facile da risolvere né individualmente né socialmente. La demenza, per numerosità di casi e per necessità individuale, è un buco nero di costi umani ed economici che certamente in futuro coinvolgerà sempre più il sistema sanitario nazionale di ogni Stato e che si rifletterà nella vita di ogni famiglia.