Indice generale
- Introduzione
- Aspetti medico-clinici
- Aspetti assistenziali domiciliari
- La gestione del malato a casa
- Storie di demenze raccontate nei film
- La demenza nel blog di Madrugada
- Fonti consultate e letture consigliate
Indice specifico del capitolo
- Comportamenti del malato
- Agitazione psicomotoria
- Aggressività verbale e fisica
- Abbigliamento
- Sindrome del tramonto
- Sonno
- Sessualità
- Igiene personale
- Incontinenza
- Disorientamento
- Alimentazione alterata
- L'attivita' motoria e l'ambiente familiare
- La gestione pratica del malato
- Riabilitazione mediante terapie psicosociali
Comportamenti del malato
L’assistenza al malato di demenza è un compito difficile, non esistono risposte semplici alle difficoltà da affrontare, né regole fisse da seguire che funzionino in ogni situazione.
Ogni malato è diverso, così come diversi sono i caregiver familiari e i contesti familiari, socio-culturali ed economici in cui si inserisce la patologia. Il caregiver familiare dovrà umanamente intuire soluzioni che andranno continuamente sperimentate, verificate, riviste, riaggiustate con il progredire della malattia.
La flessibilità e la capacità di adattamento sono le chiavi principali per la sopravvivenza nel prendersi cura. L’atteggiamento peggiore è l’ostinarsi in un comportamento senza rendersi conto che la situazione è cambiata. Un altro elemento utile consiste nel non sostituirsi al malato, ma di sostenerlo nella possibilità di poter conservare il più a lungo possibile le sue capacità, concedendogli il tempo e la calma necessari. Tutto questo perché le facoltà non esercitate sono facoltà perse e quindi una minor autosufficienza del paziente si traduce in un maggior impegno assistenziale per il caregiver e la famiglia al completo.
Importante è sapere che c’è sempre lo spazio perché il malato viva con dignità, nonostante il progredire della malattia. Anche nel malato più grave esiste la possibilità di migliorare le condizioni di vita con pazienza, ottimismo, affetto, versatilità. La conoscenza della malattia, delle risorse a disposizione e i consigli su come gestire i problemi assistenziali può attenuare il senso di frustrazione provato in alcune fasi del prendersi cura del malato.
Vediamo alcune delle condizioni che si possono verificare nel malato:
- Agitazione psicomotoria. Il malato può mostrare ansia, tensione, inquietudine, non riesce a stare fermo e chiede con insistenza se deve arrivare qualcuno. Questi comportamenti possono dipendere da una difficoltà di interazione con il proprio ambiente e/o da qualche disagio anche fisico (esempio possono provare dolore in qualche parte del corpo). L’agitazione può dipendere anche da qualche richiesta del caregiver familiare troppo difficile da eseguire.
- Aggressività verbale e fisica. Molte volte i pazienti mostrano reazioni cosiddette catastrofiche anche davanti ad eventi di poco conto, possono quindi manifestare momenti di aggressività verbale e/o fisica diretti verso gli altri o anche verso se stessi. La tendenza a reagire in modo sproporzionato è dovuta spesso alla malattia che accentua gli aspetti negativi del carattere e può anche farne emergere di nuovi. Altre volte rappresenta una risposta di difesa del malato ad una situazione che gli provoca confusione o che percepisce come minacciosa, il malato non è sempre in grado di comprendere, leggere e interpretare pienamente ciò che accade intorno a lui. Una frase apparentemente innocua, un gesto inoffensivo o a maggior ragione un ordine brusco o un forte rumore, possono ingenerare nel malato una crisi di rabbia, pianto, paura, disperazione, aggressività che viene appunto definita reazione catastrofica. Il malato può, in certi momenti, interpretare male certe azioni, parole, sguardi o rumori, reagendo in modo inadeguato. Le allucinazioni possono essere alla base anche di qualche reazione catastrofica. Diventa importante cercare la causa della reazione catastrofica perché è la risposta adeguata del malato ad un evento disturbante. Si deve infine ricordare che anche un malessere fisico può essere motivo di irritazione e aggressività non riuscendo ad esprimerlo in modo appropriato. Valutare la possibilità di rivolgersi al proprio medico. L’utilizzo improprio di farmaci e gli stadi più avanzati della malattia, per il danno di specifiche aree del cervello, possono essere direttamente la causa del comportamento aggressivo. In sintesi, nell’aggressività del malato non vi è intenzionalità, la sua rabbia molto spesso non è consapevolmente rivolta al caregiver familiare, ma è l’unica espressione di un disagio. Potrebbe essere utile ridurre le situazioni che possono essere vissute come minacciose o che possono creare frustrazione, reagire con la calma, spostare la sua attenzione su qualcosa di piacevole e che lo interessa, non insistere e rinviare ciò che lo ha infastidito, cambiare la persona che ha proposto un’attività senza successo, valutare la causa della rabbia.
- Abbigliamento. La capacità di vestirsi e svestirsi autonomamente è spesso difficoltosa per un paziente anche nelle fasi precoci della malattia. L’aprassia e l’amnesia nelle sue varie forme sono i disturbi cognitivi che compromettono maggiormente tale funzione. Diventa difficile eseguire le sequenze esatte dei gesti necessari per vestirsi e spogliarsi, è problematico adattare il proprio abbigliamento alla stagione. Su questa capacità possono, in un secondo momento, incidere i deficit di forza, i tremori e la rigidità muscolare. È importante che il caregiver familiare agevoli e semplifichi la capacità di vestirsi e svestirsi del malato, così che il paziente possa conservare il più a lungo possibile tale abilità.
- Sindrome del tramonto. In alcuni malati si può riscontrare la cosiddetta “sindrome del tramonto”, cioè il peggioramento della sintomatologia al tramontare del sole o comunque in tutte le situazioni in cui si passa da una buona illuminazione ambientale ad una scarsa. Il malato può mostrarsi confuso, ansioso e più irrequieto e questo potrebbe dipendere dalla perdita dei punti di riferimento che vengono mal percepiti al buio. È importante dunque mantenere una buona illuminazione durante le ore di veglia.
- Sonno. È frequente che il ritmo sonno-veglia si modifichi con la malattia. Il sonno del demente diventa più leggero, meno riposante e frammentato. Il malato tende a rimanere sveglio di notte e a dormire di giorno e per questo durante le ore notturne si alza, si lava, si veste e può voler uscire, oppure parla ad alta voce, chiama le persone o fruga nei cassetti. Potrebbe essere utile aiutarlo a rilassarsi prima di andare a riposare, scoraggiare il sonno durante il giorno e indurre qualche attività fisica nella seconda parte della giornata.
- Sessualità. La malattia di Alzheimer generalmente non influisce sulle relazioni sessuali, sebbene i comportamenti della persona possano essere, in questo campo, modificati a causa della patologia in corso. Abbracci affettuosi possono risultare soddisfacenti e permettono anche di comprendere se il malato è desideroso e in grado di accedere a una maggiore intimità. E’ consigliabile essere comprensivi e tolleranti nell’affrontare questa situazione delicata e problematica. Il malato può mettere in atto reazioni contrastanti: in certi casi può non rispondere come prima, o può aver perso apparentemente interesse in quest’area; mentre, in altri casi l’intimità sessuale continua a rappresentare un ambito appagante della propria relazione di coppia. Può tuttavia accadere, anche, che il malato di Alzheimer faccia richieste eccessive di tipo sessuale o comportarsi in modo inadeguato. Può succedere, da parte del caregiver familiare/congiunto, di vivere sentimenti di colpa per il fatto di avvertire il bisogno di dormire in letti separati. In alcuni casi, il soggetto demente potrebbe adottare dei comportamenti sessuali inappropriati in presenza di estranei (ad esempio spogliarsi); questo è causato dal danno cerebrale, e di conseguenza il caregiver familiare non deve reagire in una maniera esagerata, ma tentare di distrarlo con gentilezza.
- Igiene personale. Il lavarsi è un’attività quotidiana che spesso pone molte difficoltà al malato di Alzheimer. Tale attività necessita di sequenze di gesti piuttosto complesse quali il miscelare l’acqua, l’insaponarsi ecc. Il risultato è che a volte i malati si trascurano nell’igiene personale ed è bene dunque, che il caregiver familiare mantenga una certa ripetitività nella modalità (bagno o doccia), nella frequenza e nella ritualità (il mattino o la sera). Inoltre, vanno considerati sentimenti quali la vergogna e l’umiliazione del malato che spesso aggravano le sue difficoltà nell’igiene personale.
- Incontinenza. L’incontinenza si manifesta soprattutto nella fase intermedia della malattia ed è importante segnalarlo al medico per evitare infezioni. Il paziente può non essere in grado di inibire lo stimolo a urinare, non riuscire a slacciare i pantaloni o non ricordare dov’è il bagno. Un suggerimento potrebbe essere quello di utilizzare indumenti facili da togliere, con chiusure a strappo anziché bottoni, indicare il bagno con un disegno, con una buona illuminazione o altre strategie simili. Nel caso si sia instaurata un’incontinenza stabile potrebbe essere opportuno programmare una minzione periodica, accompagnando in bagno il malato a ore fisse. L’incontinenza fecale è meno frequente di quella urinaria. Spesso, più che di incontinenza, si tratta di disturbi aprassici che rendono difficile al malato la sequenza di operazioni e gesti utili per lavarsi, pulirsi, spogliarsi, ecc.
- Disorientamento. Molti pazienti giungono all’attenzione del clinico perché si sono persi, nel senso che non trovano un percorso familiare, o non sanno individuare i locali della propria abitazione. La perdita di memoria, le difficoltà di orientamento nello spazio, l’angoscia, la paura e l’ansia sono spesso alla base di tale problematica. Le soluzioni da adottare possono essere, se possibile, quella di accompagnare il malato e di non farlo più uscire da solo, lasciargli sempre in tasca dei documenti di identificazione, in cui sia scritto che la persona è malata e a chi rivolgersi in caso di necessità.
- Comportamenti alimentari alterati. Il malato può chiedere del cibo anche subito dopo aver mangiato, oppure nelle fasi avanzate di malattia potrebbero portare alla bocca cose non commestibili, o non mangiare. Questi comportamenti potrebbero essere collegati alla noia, alla mancanza di gratificazione o alla depressione. Potrebbe essere utile tenere impegnato il malato nelle attività di preparazione dei pasti, frazionare i pasti all’interno della giornata, dando più spesso del cibo, ma in quantità ridotte e rendere inaccessibile ciò che non è commestibile. Se rifiuta il cibo chiedere una consulenza al proprio medico.
Suggerimenti pratici
La comparsa di disturbi comportamentali rende molto più difficoltosa la gestione del malato e aumenta moltissimo il peso del carico assistenziale, sia fisico sia psicologico, sul caregiver familiare. Ogni malato manifesta questi sintomi in modo più o meno grave. E’ tuttavia importante sottolineare che il comportamento del malato è l’unico a suo giudizio che gli consenta di rispondere alle esigenze che lui percepisce in quel momento provenirgli dal mondo circostante.
In linea generale si possono osservare alcuni semplici accorgimenti che possono facilitare l’approccio al paziente e di conseguenza rendere più semplice anche per lui l’interazione con l’ambiente:
- Accertarsi sempre dell’integrità di vista ed udito, la cui riduzione peggiora ulteriormente la comunicazione. Se possibile ricorrere ad apparecchi acustici e occhiali da vista.
- Parlare con parole semplici e chiare, lentamente, guardando il malato negli occhi.
- Assicurarsi sempre che il paziente ci stia guardando ed ascoltando, senza altre distrazioni, prima di parlargli.
- Utilizzare il contatto fisico per trasmettere sensazioni positive di protezione ed affetto.
- Imparare ad interpretare il linguaggio corporeo del malato (gesti, tono della voce, espressione del viso) che spesso sostituisce quello verbale; riconoscere i suoi messaggi vi aiuta a comprenderlo, e a farvi comprendere, ponendo voi stessi particolare attenzione al vostro linguaggio corporeo.
- Mantenere la calma ed evitare i conflitti: nei momenti difficili, in cui il paziente manifesta irritabilità o aggressività, non tentare di convincerlo, non sottolineate la sua reazione esagerata, evitate di intraprendere una discussione; ricordate piuttosto che quel comportamento non dipende dalla volontà del malato, ma è uno dei sintomi della sua malattia; mantenete la calma, rassicuratelo, sorvolate sul momento la questione.
Anche di fronte ad allucinazioni o deliri, non è utile cercare di riportare il malato alla realtà, anzi questo potrebbe essere peggiorativo. Immaginate che in questo momento qualcuno venga a dirvi che il foglio che state leggendo non esiste: questo vi procurerebbe ansia, cerchereste a vostra volta di convincere l’interlocutore del fatto che il foglio esiste. Piuttosto, quindi, assecondate il bisogno del malato: se è spaventato da ciò che vede rassicuratelo, se è sereno sorvolate.
Ricordate inoltre che su allucinazioni e deliri è possibile intervenire farmacologicamente, per cui rivolgetevi al vostro centro di fiducia non appena questi sintomi dovessero manifestarsi:
- Non sottolineare le mancanze e gli errori; ad esempio, se il malato continua a porvi la stessa domanda, non è utile sottolineare che la domanda è già stata fatta ed ha già avuto risposta. Mantenere la calma, cercare se possibile di distrarre il paziente con altre attività.
- Cercare di trovare una routine quotidiana da rispettare: la stessa sequenza nell’esecuzione delle cose (ad esempio al mattino stabilire che prima si prendono le pastiglie, poi si fa colazione, poi ci si lava, etc.) riduce la possibilità di disorientamento e paura.
- Non sostituirlo da subito in tutto, come spesso si tende a fare perché è più sbrigativo; al contrario stimolarlo nel mantenere per quanto possibile la propria autonomia o aiutarlo in modo discreto; oltre che a preservare più a lungo le capacità residue del malato, in questo modo lo si aiuta anche nel mantenere la fiducia in se stesso.
- L’attività senza sconfitta: sono quelle attività in cui è utile occupare il malato di Alzheimer, nelle fasi non avanzate di malattia, con lo scopo di ridurre la frustrazione e di mantenere le capacità residue; chi assiste il malato conosce i suoi punti di forza, e deve giocare su quelli.
Le attività vanno scelte in base agli interessi del malato e alle sue capacità residue. Queste attività sono anche importanti per scandire in modo routinario la giornata e per evitare la noia. Esempi: leggere il giornale, ascolto delle notizie, seguire un pezzo di film e commentarlo insieme, collaborazione nelle pulizie di casa, preparazione della lista della spesa, preparazione dei pasti, riposino, giochi con le carte, ascolto di musica e ballo, giardinaggio, ricamo, racconti dell’infanzia, etc.
- Cercare di mantenere vive le passioni o gli hobby del malato, ricavando degli spazi nell’arco della giornata da dedicargli in modo da spezzare la monotonia e la noia.
- Non arrabbiarsi con il malato per i suoi comportamenti inadeguati; ricordarsi che si tratta di sintomi e non di “volontà”, al pari di qualunque altro sintomo di altre malattie, come la febbre, il vomito, etc. Arrabbiarsi è controproducente, perché il malato non è in grado di comprendere il motivo della vostra rabbia, e questo gli provoca ulteriore smarrimento.
- Essere flessibili e capaci di adattarsi; non ostinarsi in comportamenti o procedure non accettate dal paziente; cercare al contrario soluzioni alternative per il raggiungimento dello stesso scopo.
- Facilitare l’orientamento spazio-temporale del malato valorizzando le sue abitudini, i suoi ricordi, i suoi oggetti. Parlare con lui di un argomento che gli interessa particolarmente e che gli evoca sensazioni positive (ad esempio il suo lavoro che amava tanto), spesso può aiutare a risolvere momenti difficili.
- Rendere idoneo l’ambiente in cui vive il paziente, sia per la sua sicurezza sia per facilitarlo nell’orientamento all’interno dell’abitazione e nel riconoscimento delle stanze (vedi manualetto specifico).
Altri accorgimenti di ordine pratico possono facilitare lo svolgimento e la gestione delle attività quotidiane, e di conseguenza ridurre le situazioni in cui il malato manifesti disturbi come irritabilità o aggressività:
- Igiene: cercare di mantenere le abitudini precedenti in modo da evitare cambiamenti che potrebbero disorientare il paziente; se il paziente si lava ancora da solo, lasciare gli oggetti di cui ha bisogno come spazzolino, pettine, etc., bene in vista; spesso il bagno, se genera conflitto, viene meglio tollerato se effettuato da una persona diversa dal caregiver familiare.
- Abbigliamento: preservare il più a lungo possibile l’autonomia nel vestiario, piuttosto supervisionando il malato; preparare gli indumenti nell’ordine in cui il paziente dovrà indossarli; evitare indumenti difficili da indossare o con allacciature difficili (come bottoni, cinture, etc.); preferire scarpe senza lacci; posizionare gli indumenti sporchi in posti inaccessibili. Ricordarsi sempre che la cura dell’aspetto esteriore è un elemento importante per la dignità del malato.
- Alimentazione: preparare per quanto possibile ( e per quanto consentito da eventuali altre patologie, come ad esempio il diabete) cibi graditi dal paziente, che assicurino un corretto apporto nutrizionale; presentare i piatti uno alla volta, in modo da non mettere il malato nella condizione di dover scegliere cosa mangiare; prestare attenzione alla temperatura dei cibi; utilizzare suppellettili (bicchieri, posate, etc) di facile impugnatura e utilizzo.
L'attività motoria e l'ambiente familiare
E’ dato già assodato, che l’esercizio fisico faccia bene anche alla persona anziana, perché il nostro corpo non è stato “progettato” per l’inattività, bensì per il movimento e questo vale per il giovane come per l’anziano. Ancor oggi, si è portati a credere, osservando un anziano perdere la sua autosufficienza e la sua abilità, che la responsabilità principale di questo fenomeno sia legata all’invecchiamento; in realtà, la causa è molto evidente, almeno nella maggioranza dei casi della popolazione in oggetto: è diventato inattivo!
Perciò si invecchia più velocemente (e male), nel momento in cui si abbandona l’attività fisica. Discorso analogo va applicato anche alla persona anziana malata di Alzheimer o di un’altra forma di demenza. Infatti anche in un corpo aggredito da una patologia dementigena, è doveroso somministrare parallelamente alle terapie farmacologiche anche, tra le altre non farmacologiche, un’adeguata attività fisica, limiti permettendo, ovviamente. Oggi anche la scienza, attraverso la ricerca, testimonia l’importanza di questa affermazione.
Tutte queste attività hanno una grande forza ed un potere ancestrale. Perciò, stimolare il lavoro, la socializzazione (grazie a tecniche di lavoro di gruppo), le emozioni, può indurre il cervello dell’anziano a mantenere la propria plasticità e dunque può rallentare quantomeno, il progredire della malattia.
La demenza comporta per la persona la perdita progressiva della capacità di continuare a svolgere correttamente le attività, a partire da quelle più complesse, per finire a quelle definite “di base” perché indispensabili alla propria sopravvivenza. Si tratta fortunatamente, di un processo graduale e piuttosto lento, ed il nostro proposito con l’attività motoria è quello di rallentarlo ulteriormente.
La nostra attenzione deve essere rivolta alle 4 aree di maggiore interesse: la forza, la resistenza, la mobilità e l’equilibrio (le aree cioè, che sono maggiormente depresse con l’avanzare degli anni, e ancor di più, in presenza di una patologia come la demenza).
Utilizziamo per gli esercizi minime attrezzature, peraltro molto semplici e facilmente reperibili, come bastoni (in alternativa il manico della scopa), palle, nastri elastici (in alternativa un elastico per portapacchi), sedie, piccoli pesi (in alternativa due bottigliette da ½ litro di acqua); sono anche utili, avendoli a disposizione, corridoi ampi e scale con corrimano.
La gestione pratica del malato
Per la persona affetta da demenza, come per tutti noi, casa significa sicurezza, calore, continuità degli affetti. Nella propria abitazione, lungo percorsi diventati automatici, tra ambienti ed arredi che conosce da sempre e che gli evocano ricordi, emozioni, significati profondi, il paziente mantiene più a lungo la propria autonomia e la propria identità. La demenza comporta modificazioni neurologiche, sensoriali, motorie, che consigliano un’attenzione particolare agli ambienti di vita, così da renderli sempre più sicuri e facili da usare, mantenendo intatto il loro calore. E’ bene innanzitutto, non introdurre in casa troppi cambiamenti, ma alcuni però, in rapporto allo stadio della malattia ed ai diversi problemi che il malato presenta, possono favorire l’orientamento e il mantenimento dell’autonomia, evitare confusione, prevenire cadute ed incidenti domestici.
Consigli pratici
- Fate indossare scarpe comode (limitare l’uso delle pantofole da non usare mai durante le attività), ed abbigliamento adeguato alla stagione.
- Negli ambienti di casa, mantenete un’illuminazione adeguata: in particolare i dementi, hanno bisogno di un’illuminazione più forte (ma che non sia abbagliante!), facendo attenzione ad evitare i contrasti tra un ambiente in penombra ed uno molto illuminato.
- Identificate bene gli ambienti, come ad esempio il bagno, che è bene sia facilmente individuabile (per un colore particolare della porta, una scritta, un disegno, un adesivo).
- Se è in grado di alzarsi dal letto durante la notte, lasciate la luce accesa in bagno. E sempre a proposito del bagno, dotatelo di tutti i sostegni necessari in prossimità del water (la cui seduta deve anche essere adattata all’altezza giusta con appositi alza-sedili), del bidet e della vasca (che deve essere dotata di sedile) o della doccia.
- Rimuovere tappeti e scendiletto ed evitare un eccessivo ingombro di mobili e suppellettili.
- Utilizzate sedie e poltrone con braccioli che aiutino il paziente ad alzarsi e sedersi con facilità.
- Adattate anche l’altezza del letto alla persona: seduto sul letto, il paziente deve poter appoggiare i piedi a terra.
- Collocate vicino al letto un sostegno robusto a cui aggrapparsi, quando si alza dal letto (un cassettone pesante, un sostegno a parete).
- Se sono presenti gradini, evidenziate l’alzata della pedata o segnate il margine del gradino (ci sono appositi nastri adesivi in commercio); contestualmente evitate le cadute con un corrimano o dei sostegni.
- Quando la persona, totalmente disorientata, tenta di uscire di casa, può essere necessario chiudere a chiave la porta o il cancello del giardino, assicurandosi che abbia sempre con sé un documento di riconoscimento, con l’indirizzo ed un recapito telefonico.
- Porre particolare attenzione a tutti i rischi ambientali: impianti elettrici non protetti, fornelli a gas (possono essere dotati di valvola di sicurezza), coltelli e forbici, oggetti di vetro, detersivi e farmaci, ma anche gli alcolici: talvolta può essere necessario chiudere a chiave la dispensa o il frigorifero.
- Se la persona aveva la passione del giardinaggio, o curava l'orto di casa, o aveva cura degli animali domestici come ad esempio il cane, con i dovuti accorgimenti, lasciate che continui ad occuparsene.
Infine si ricorda che con il demente la comunicazione è fondamentale. In molti casi quella verbale è sostituita da quella non verbale: dobbiamo imparare ad “interpretare” quanto il malato ci vuole comunicare dalle sue espressioni e da quello che ci trasmette con il suo corpo.
Il demente può aver perso completamente la capacità di capire il significato delle parole, ma comprende bene quando siamo stanchi, irritati, frustrati; ma sente anche, dal modo in cui ci avviciniamo a lui, la nostra disponibilità ed il nostro affetto.
E non dimentichiamo la grande forza di comunicazione che sa trasmettere il contatto fisico: un abbraccio, una carezza, un bacio, possono essere molto più eloquenti di mille parole, poiché gli affetti e le emozioni, che rappresentano per noi la prima modalità di comunicazione con gli altri, sopravvivono alla perdita della memoria.
Riabilitazione mediante terapie psicosociali
Gli interventi riabilitativi e psicosociali sono finalizzati sia a dare un supporto psicosociale per affrontare i cambiamenti che la malattia porta con sé e sia a ritardare il declino cognitivo e funzionale, nonché a ridurre i disturbi psicologici e comportamentali e, di conseguenza, migliorare la qualità di vita della persona con demenza e essere indirizzati a vari aspetti – cognitivi, funzionali, comportamentali, psicologici, sociali, ed ambientali – mentre per i caregiver si raccomandano soprattutto interventi mirati a informare (psicoeducazionali) e/o dare sostegno psicologico o psicoterapeutico.
Queste forme di intervento, spesso integrate con il trattamento farmacologico, permettono di prendere in considerazione gli aspetti comportamentali, psicosociali e cognitivi non solo del paziente in se, ma di tutta la sfera attorno a lui in modo globale e nella sua interezza, ed hanno dimostrato di essere un valido supporto nella gestione clinica complessiva del soggetto preso in carico.
Le tecniche di riabilitazione cognitiva sono un elemento cardine nel cercare di limitare l’impatto del danno cognitivo nella vita quotidiana e nel comportamento del paziente con demenza. Questo risulta possibile grazie alle straordinarie capacità compensatorie e plastiche, soprattutto con fenomeni come la riserva cognitiva, che tramite prove indirette hanno mostrato che, in combinazione con queste tecniche terapeutiche, possono fungere da processi protettivi durante la neurodegenerazione, rallentandone la progressione.
Dati sperimentali ed epidemiologici ci danno delle evidenze incoraggianti su questo, poiché è stato studiato come la riserva cognitiva, essendo strettamente legata alla plasticità di alcune zone frontali e parietali, possa essere utilizzata come risorsa importante di compensazione sfruttando la plasticità neuronale stessa; inoltre diversi studi PET hanno
mostrato come diversi pazienti, a parità di gravità stadiale della patologia, avessero un danno funzionale più ridotto se caratterizzati da una storia di scolarizzazione maggiore rispetto ad altri, suggerendo come sia necessario un danno quantitativamente maggiore per dar vita a quadri sindromici peggiori nei soggetti con maggiori competenze cognitive e con un’educazione di base arricchita e qualitativamente migliore.
Nel corso degli ultimi decenni hanno quindi fatto la loro comparsa una quantità consistente di metodologie volte alla massimizzazione qualitativa dell’atto terapeutico, ed è sicuramente fondamentale citare quelle basate sull’approccio globale centrato sulla persona; questo criterio terapeutico ha permesso di andare più a fondo nella pratica clinica, non trattando tutti i pazienti come fossero uguali e quindi utilizzando gli stessi paradigmi e le stesse attività in modo uguale per tutti, date le riconosciute differenze inter ed intra individuali influenzate da molteplici fattori della singola entità (storia personale, ambiente di vita e di crescita, quantità e qualità dei caregiver, tratti individuali di personalità) che non permetterebbero la reale efficacia e validità di alcuni approcci con tutti i soggetti.
Proprio per queste ragioni è risultato necessario costruire un modello teorico che si rapporti alla MA come un focus sulla persona nel suo complesso, considerando i suoi bisogni e le sue peculiarità sia fisiche che sociali. Nell’ottica dell’approccio incentrato sulla persona vengono collocate tecniche come la Terapia di Stimolazione Cognitiva dove vengono utilizzate un ampio spettro di attività per coinvolgere e stimolare il paziente, nonché toccare domini cognitivi multipli, spesso in setting gruppali per stimolare anche l’interazione sociale. Essa si fonda sulla plasticità cerebrale e della riserva cognitiva, per poter potenziare e sfruttare terapeuticamente le abilità cognitive residue rallentando il patologico declino cognitivo stesso.
E’ molto importante inoltre, quando si parla di approcci biopsicosociali, includere nel progetto terapeutico anche la corretta informazione e formazione, ove possibile, dei caregiver inerenti alla sfera affettiva e privata del paziente; è necessario spiegar loro quali devono essere i comportamenti e gli atteggiamenti più corretti da tenere nei confronti del paziente e che permetteranno di mantenere una corretta compliance terapeutica, riducendo al minimo le discrepanze tra ambiente domestico e ambiente professionale-terapeutico. A tal proposito una corretta informazione prevede il comunicare di evitare sempre il confronto aperto con il paziente, senza incappare in correzioni fatte con supponenza su episodi legati ai disturbi mnemonici, all’agitazione o alle produzioni allucinatorie, evitando di sminuirle, ridicolizzarle
o di usare toni accusatori che potrebbero solo peggiorare lo stato emotivo interno sofferente del soggetto.
La stimolazione cognitiva è uno strumento di lavoro teso a organizzare obiettivi generali, specifici, azioni condizioni organizzative e indicatori di efficacia. Gli obiettivi generali riguardano il mantenimento di autonomie motorie fini e ha come obiettivo generale di favorire la stabilità delle competenze motorie. Gli obiettivi specifici consentono di definire con maggior dettaglio le azioni da intraprendere quali:
- Il mantenimento di comportamenti di autonomia nelle azioni di cura della persona: lavarsi, vestirsi.
- Il mantenimento di competenze di pianificazione e organizzazione gestuale su richiesta: piegare un foglio, copiare un semplice disegno, avvitare una caffettiera.
Durante l'attività il paziente verrà allenato alla realizzazione di compiti motori semplici e gradualmente più complessi definiti attraverso un elenco di attività definite secondo queste fasi operative:
- La stimolazione verrà presentata in forma ludica in modo da incentivare il gradimento e la partecipazione.
- Gli indicatori di risultato saranno quelli che valutano i risultati raggiunti attraverso il gradimento personale, la partecipazione regolare e volontaria, il mantenimento temporaneo delle autonomie esercitate.
- Le attività vengono adattate alla tipologia e al livello di compromissione di ciascun soggetto, in modo che gli esercizi non siano talmente facili, da non indurre alcuna forma di stimolazione, ma nemmeno tanto difficili da risultare frustranti.
La riabilitazione di primo livello è destinata a coloro i quali presentano un deterioramento cognitivo gravissimo. Vengono proposti esercizi per stimolare abilità mnesica (di memoria) e prassiche (di movimento coordinato).
La riabilitazione di secondo livello è destinata a coloro i quali presentano un deterioramento cognitivo grave. Si somministrano compiti mnesici, prassici e di orientamento spazio-temporale. La riabilitazione di terzo livello è destinata a soggetti con deterioramento cognitivo severo. Vengono stimolate le abilità mnesiche, l'orientamento spazio-temporale.
La stimolazione cognitiva successivamente verrà centrata sull'orientamento, sul linguaggio e sulla memoria biografica secondo questi progetti:
- Il progetto di stimolazione cognitiva centrata sull'orientamento si basa su tre ambiti:
- Lo spazio di vita: orientamento all'interno della cas, localizzazione della propria camera, riconoscimento degli spazi pubblici frequentati.
- Il tempo: uso dei calendari, riconoscimento di stagioni dell'anno, l'orientamento nell'arco della giornata (giorno, notte, mattino, pomeriggio, sera).
- Le persone: riconoscimento dei membri della propria famiglia, riconoscimento di ospiti, riconoscimento degli operatori.
- Il progetto di stimolazione cognitiva centrata sul linguaggio è mirato alla stimolazione delle diverse funzioni linguistiche orali e scritte: capacità di denominazione, capacità di fluenza verbale, capacità di comprensione di informazioni orali e scritte, abilità di lettura, abilità di scrittura.
- Il progetto di stimolazione cognitiva centrata sulla memoria biografica ha come obiettivo di favorire il ricordo di eventi del passato biografico del soggetto al fine di: stimolare le risorse di memoria a lungo termine; promuovere un uso comunicativo adeguato del linguaggio spontaneo; facilitare il riemergere di esperienze emotivamente piacevoli che consolidino il senso di continuità dell'identità personale.