rivista trimestrale dell'associazione Macondo
direttore responsabile Francesco Monini, comitato di redazione Stefano Benacchio e Gaetano Farinelli
Madrugada è l’alba di Macondo, espressione dell’associazione per l’incontro e la comunicazione tra i popoli; è una rivista ricca di interventi e di stimoli alla riflessione. È una rivista che getta ponti: ponti tra i popoli e le culture, richiamando alla conoscenza, alla solidarietà, all’incontro. È una voce, che desidera ascoltare prima di dire, fuori da ogni pregiudizio e settarismo, che guarda alla realtà contemporanea con spirito critico nella speranza di contribuire alla costruzione di un mondo migliore fondato sul dialogo e sul rispetto per la vita e la dignità umana.
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SOMMARIO
2 - POESIA. Ode all'imperfezione di Anna Fresu. Nata a La Maddalena, in Sardegna, laureata in lettere e filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma. Ha seguito numerosi corsi di teatro, tra cui il Teatro Studio, partecipando alla creazione del teatro Spaziozero. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice. Ha condotto laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico, dove ha insegnato e diretto la scuola nazionale di teatro e creato e diretto, con il regista e giornalista Mendes de Oliveira, il dipartimento di cinema per l’infanzia e la gioventù realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il suo lavoro in Mozambico è stato premiato al Festival del cinema per la pace nel 1991. Nel 1996 è tornata in Mozambico come collaboratrice RAI per una serie di servizi televisivi e ha realizzato un laboratorio teatrale con i meninos da rua, bambini-soldato e vittime della guerra. Nel 2013, ha pubblicato il suo libro di racconti Sguardi altrove (Vertigo Edizioni). Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con alcune riviste on line e blog. Nel 2018 ha pubblicato il libro di poesie Ponti di corda (Temperino Rosso Edizioni) e ha curato l’antologia poetica Molti nomi ha l’esilio (Kanaga Edizioni). Nel 2020, pubblica per Macabor editore la raccolta di micro-racconti Storie di un tempo breve, anzi brevissimo. Di recente, alcune sue poesie sono state ospitate dalla rubrica Parole a capo del quotidiano online periscopio. Effe Emme
4 - A PARTIRE DAL FUTURO. La voglia di letargo e il movimento giusto di Giovanni Colombo. È un autunno triste. La coincidenza di tanti elementi nefasti – la guerra in Ucraina (con il ritorno della minaccia nucleare), la pandemia, la siccità, la crisi energetica – sta diffondendo una paura crescente. Quindi non sorprende che la reazione del grande pubblico – la massa che sente di dover solo subire gli eventi – sia quella di volerne sapere il meno possibile, di chiudere gli occhi, di scappare dall’eccesso di novità, di cui troppe sgradite. Recentemente uno studio del Reuters Institute dell’Università di Oxford – il Digital News Report 2022, basato su dati raccolti in 46 mercati distribuiti su sei continenti – ha evidenziato che una parte ormai molto consistente e in crescita della popolazione mondiale sceglie deliberatamente di evitare di seguire le notizie perché mettono troppa agitazione. «Wake me when it’s over», si dice in inglese, «svegliatemi quando è finita…». Sta succedendo anche a me, che pure vengo da una storia di militanza indefessa, di non voler leggere più i giornali, di non seguire più le trasmissioni televisive, di dire «svegliatemi quando sarà passata ’a nuttata, quando saremo in un’altra stagione politica». Sì, lo confesso, ho preso male i risultati delle ultime elezioni. Il fatto che fossero ampiamente previsti non ha addolcito la pillola. Mi duole peggio di un callo vedere il dato dell’astensionismo (salito al 36 per cento) e constatare che il centrodestra con solo il 44 per cento, a causa di una legge elettorale sciagurata e della divisione assurda del campo avversario, ha un’ampia maggioranza nelle due Camere. [continua a leggere]
6 – PAROLE DA SALVARE. Il lessico del contagio: parole in pandemia di Monica Lazzaretto. È raro poter datare, con una certa precisione, e in un breve lasco di tempo, l’inizio di un proliferare linguistico di livello planetario che, a valanga, ha travolto la vita personale, affettiva, sanitaria, sociale, politica, lavorativa, scolastica, economica di ognuno di noi e delle nostre comunità di appartenenza. Solitamente le parole evolvono nel tempo, con cauta lentezza, incontrandosi, attraendosi, respingendosi, scambiandosi significati, meticciandosi, confondendosi, prestandosi parti per poi trasformarle. La linguistica, con fare segugio, ritrova la strada, recupera, descrive, ricostruisce la loro storia e tenta di dipanare il gomitolo delle loro trasformazioni, intrecci che vanno dalla loro nascita, dai loro primi passi, fino alle definizioni dei nostri giorni. Un articolo su la Repubblica segnalò per la prima volta il ricovero del primo paziente affetto da coronavirus, termine non nuovo in ambito medico ma sconosciuto ai più. Era l’11 gennaio 2020. Da quel momento però questa parola, e il suo acronimo covid-19, fecero da apripista a un proliferare incredibile del linguaggio, una contaminazione di termini, registri, contesti, usi figurati, traslati enfatici, mediatici e, forse per la prima volta in modo così imperversante, social. Si è velocemente formato un vero e proprio “lessico del contagio” globale, caratterizzato da una scelta linguistica “deflagrante”: parole usate spesso come specchi deformanti, uno stile comunicativo a volte inutilmente complicato, improprio, con espressioni ambigue, che ha messo insieme a termini medici, scientifici e semi-specialistici, neologismi, forestierismi, risemantizzazioni, sigle e acronimi utilizzati nella comunicazione giornalistica, istituzionale, pubblicitaria, economica, burocratese, commerciale e nelle scritture spontanee dei social network. [continua a leggere]
9 - 17. DENTRO IL GUSCIO. La scuola alla prova della pandemia. Fare o non fare. Non c’è provare. di Giovanni Realdi. Il saggio Yoda ammonisce il giovane Skywalker ne L’impero colpisce ancora. Il tirocinante jedi si allena, ma il suo «ci proverò» suggerisce rassegnazione: sta sperimentando il proprio limite, tentenna. Il Maestro lo inchioda all’alternativa secca: si tratta di decidersi per agire oppure per non farlo, tertium non datur. La severità delle parole rimanda all’assenza di severità interiore: anche optare per il non fare è praticabile, ed è comunque effetto di una crisi, se siamo consapevoli del senso complessivo del percorso intrapreso. Chi semplicemente “ci prova” sta evitando il bivio di fronte al quale è posto. Rimane «tiepido», leggeremmo nel libro dell’Apocalisse. La stagione pandemica non ancora conclusa è un’occasione di crisi per il sistema-scuola. E crisi significa “bivio”, biforcazione, cioè luogo nel quale una delle due direzioni va presa – se si intende proseguire. Rimanere fermi è all’apparenza una terza possibilità: me ne sto qui, sbrigo l’indispensabile per non diventare “fuori legge”, attendo che qualcosa accada. Equivale all’atteggiamento di tutte le persone che hanno aspettato (e salutato) il ritorno alla normalità. Quel che emerge dalle riflessioni che abbiamo raccolto è invece il fatto che tale normalità avesse bisogno di essere discussa: un intero blocco di pratiche e discorsi che, con pallidi maquillage delle pseudo riforme ministeriali, replica sé stesso, da decenni. La domanda di senso, in nome della quale fare/non fare, cioè decidersi per quali azioni e quali parole in fase di crisi, è ovviamente enorme: a cosa dovrebbe servire la scuola? [continua a leggere]
- 10. Saper leggere il libro del mondo di Chiara Allegro. Da settembre siamo tornati a vederci in viso. Quelle parti dei volti degli altri che avevamo fatto a tempo a dimenticare, e che ci sembravano così strane quando veniva rimossa la mascherina, sono tornati sotto i nostri occhi. Gli occhi. Erano rimasti l’unica cosa visibile, l’unico contatto. Ma ora? Spariranno? Ora che sarà più semplice concentrarsi sul movimento delle nostre labbra, su smorfie o sorrisi, ora che non sarà più necessario guardarci negli occhi, riusciranno ancora a leggere le nostre emozioni, le nostre paure, il nostro divertimento, la nostra anima? A capire che sentiamo necessario essere letti come persone, e non come un metro di valutazione di quanto abbiamo capito il nuovo argomento? La pandemia ci ha insegnato qualcosa… o, forse, ce l’ha solo messo davanti agli occhi. Abbiamo bisogno di un rapporto umano, di essere messi alla prova, giorno dopo giorno, di persone che accolgono la nostra sfida, di nuove motivazioni per imparare e, forse, anche per insegnare. L’abbiamo capito? Forse non tutti. L’abbiamo fatto? Forse qualcuno. Basta aprire gli occhi e… leggere. Sì, leggere. Ma per questo libro non esistono scorciatoie. Non esiste qualcuno che ce lo può leggere ad alta voce, non esiste un riassunto su internet, perché ognuno lo legge a modo proprio. Bisogna ricominciare a prendere familiarità con i volti, le espressioni, il contatto delle persone che ci circondano in quello che è il nostro mondo, ricominciare a leggerli, a capirli e a vivere circondati da questi. Perché durante questi ultimi anni ci siamo resi conto che ne abbiamo bisogno, perché ne siamo stati privati. [continua a leggere]
- 10 – Macroproblemi di Francesca Maggini. Pensando alla scuola che viviamo in questo periodo la mia mente si affolla di critiche e polemiche, per poi rendermi conto che a tutti questi problemi non so trovare effettive soluzioni. Nel mio immaginario un’ipotetica rivoluzione scolastica sarebbe un processo che va al di là di regole, burocrazia e nuove modalità introdotte da un momento all’altro, ma che parta dalla mentalità con cui studenti e insegnanti vivono l’educazione didattica, dalla scuola materna alla scuola secondaria di secondo grado. Essenzialmente dovrebbe cambiare la nostra risposta alla domanda «Perché vengo a scuola? Perché studio?». La chiave dovrebbe essere la volontà e il desiderio di apprendere poiché l’obiettivo è attualmente troppo sbilanciato verso la valutazione. Non si pretende che ogni ragazzo provi entusiasmo per qualunque argomento, e a tal proposito trovo interessante la possibilità, come già avviene in alcuni paesi, di poter scegliere – a partire da una certa età – alcune delle materie da frequentare. In sintesi, penso che le generazioni già integrate nel sistema scolastico odierno siano ormai “irrecuperabili” da questo punto di vista, poiché abituate a ragionare in un’ottica di raggiungimento a tutti i costi di un certo voto. Penso che questo squilibrio influenzi anche il modo di lavorare degli insegnanti, i quali si trovano costretti a utilizzare ogni mezzo per ricavare un certo numero di voti per studente in un determinato arco temporale. Un altro argomento importante è quello relativo ai docenti. Per lavorare con giovani studenti in una fase per loro di crescita e formazione è necessario avere particolare sensibilità e attenzione. [continua a leggere]
- 10 - La scuola è soprattutto altro di Davide Romanello. Non riuscivo a capire perché tutti gli altri bambini odiassero la scuola. Accecato dalla meraviglia, dalla curiosità, dal divertimento delle ricreazioni, mi era proprio difficile comprendere il senso della tanto abusata frase «la scuola fa schifo». In fondo mi piaceva ogni mattina mettere lo zaino e andare dai miei compagni; poi, quasi dieci anni dopo, durante il lockdown, ho avuto modo di ricredermi. In una grigia camera da letto dove la snervante ruotine si mescolava alla pigrizia nell’affrontare le video lezioni in un vorticoso circolo vizioso che mi risucchiava nella sua monotonia e inerzia, la noia che si respirava da dietro lo schermo mi aveva fatto aderire a quella triste e diffusa prospettiva: la scuola mi faceva schifo, perché la scuola era solo “scuola”. Al contrario, aver potuto trascorrere questo anno quasi nella normalità mi ha fatto di nuovo apprezzare, come da bambino, i lati positivi della vita dentro alle mura scolastiche; per un effetto di luci e ombre è stato forse più semplice notare quali fossero gli aspetti che rendono attraente e stimolante per noi studenti l’ambiente scolastico: non tanto le nozioni che regolarmente ci vengono impartite con costrizione, quanto piuttosto tutto ciò che evade dal mero immaginario istruttivo a cui eravamo limitati in quarantena. Sono le scintille di novità a dare un senso alla routine. L’insegnamento può essere veramente proficuo se nelle lezioni le informazioni vengono accompagnate da un coinvolgimento emotivo che funga da forza propulsiva verso la ricerca e la conoscenza delle informazioni stesse. [continua a leggere]
- 12 - Andrà tutto bene? di Marta Sartorello. Questi anni di pandemia sono stati duri per tutti, ma penso che per noi ragazzi siano stati ancora più pesanti che per gli adulti. Scoprire da un giorno all’altro di non poter più tornare a scuola, magari rendendosi conto di avere dimenticato nell’armadietto il dizionario o la felpa, di non aver salutato a dovere qualcuno, è stato piuttosto traumatico. Rimanere chiusi in casa per tre mesi, durante i quali l’unico contatto con gli altri erano le videochiamate è stato veramente difficile! «Andrà tutto bene». Ah sì? Cosa è andato bene? Come studente mi aspettavo che questo periodo potesse essere utile, un campanello d’allarme per riflettere su cosa non andava nell’ambiente scolastico. Dal mio punto di vista avrei rivisto in primis i programmi, da sempre causa di pressione e ansia per professori e ragazzi. Quando capiremo che sviluppare negli studenti competenze utili nella vita è più importante di riempire i loro cervelli di informazioni di dubbia utilità fino a farli strabordare? Quando decideremo di allinearci al resto del mondo? Anche perché, qual' è il senso di strapreparare gli studenti per poi vederseli scappare all’estero appena finita l’università, alla ricerca di un paese in cui il loro impegno potrà finalmente essere riconosciuto e premiato? Da questo avrebbe potuto conseguire una maggior quantità di tempo libero: senza l’ansia di dover arrivare a un certo livello di conoscenze entro l’anno, tutto avrebbe potuto essere preso con più tranquillità, dando a tutti la possibilità di trovare del tempo per attività al di fuori della scuola, dallo sport, tanto decantato durante il lockdown, a una semplice uscita con gli amici... [continua a leggere]
- 12 - Lo strano caso del matematico e il ciclo-fattorino di Paola Stradi. Paradossi. «Professore, cosa ci fa lei qui?». Mio figlio aveva appena aperto la porta di casa al ciclo-fattorino (oramai con l’inglesismo dilagante, rider) e riconosciuto, dietro la mascherina di ordinanza e il fare veloce imposto dalle mansioni che quel ruolo riveste, il suo professore di matematica, supplente per alcuni mesi al liceo. Al mio arrivo, lo sbigottimento iniziale si era tramutato in un dialogo breve e cordiale in cui il prof con autorevole semplicità, aveva spiegato che, sospesa la supplenza per un’inezia burocratica legata alla normativa anti-covid, era approdato velocemente a questo lavoro, in attesa di eventuali ripescaggi dalla graduatoria. «Mi raccomando, saluta la classe e continuate così che siete un bel gruppo». Avevo ancora in mano la mancia che mi ero guardata bene dal consegnargli e, rientrando in cucina, sono stata accolta da inevitabili domande: «Mamma, ma… com’è possibile? Perché il prof non è rimasto da noi a scuola visto che ora abbiamo un altro supplente? Perché non fa un lavoro che riguarda la matematica? Lui non insegnerà più?». Insomma, intuibile come di fronte a questi quesiti la prima a essere confusa ero io; poi abbiamo cercato di mettere le cose in ordine… Addetti ai lavori. Parlando di scuola, ciò che è spiazzante è che non ci si sente mai adeguatamente preparati come cittadini. Una volta come genitore mi sono sentita dire da un’insegnante: «Signora sa, noi addetti ai lavori…». [continua a leggere]
- 14 - Lezione dal mondo sospeso di Carlo Ridolfi. Qualche mese fa, in una sala cinematografica padovana. Gli spettatori hanno appena finito di vedere il (bel) film di Alberto Valtellina e Paolo Vitali La scuola non è secondaria, girato durante il primo lockdown al liceo “Mascheroni” di Bergamo. Fra il pubblico padovano c’è una nutrita rappresentanza di studenti e studentesse di scuole secondarie. Un ragazzo alza la mano e, con sincerità disarmante e forse un pizzico di ironia, dice: «Volevo precisare che nei mesi della didattica a distanza noi ci siamo annoiati esattamente come quando c’era la didattica in presenza». Qualche mese dopo, in una cena con molti genitori di ragazzi e ragazze che frequentano le scuole superiori. Sento racconti di verifiche pesantissime somministrate il giorno stesso del rientro a scuola dopo mesi di DaD. Voti penalizzanti inflitti (se posso dire: anche con un po’ di sadismo) in modo tale da pregiudicare quasi del tutto le possibilità di recupero. Numeri allarmanti di studenti e studentesse che hanno dovuto ricorrere ad assistenza psicologica e a terapie farmacologiche. Alcuni casi di crisi psichiatriche con necessità di TSO. Sono due esempi, fra i molti possibili, di quanto il mondo degli adulti (genitori, insegnanti) abbia capito poco, se non pochissimo, di quello che è accaduto a partire dai primi mesi del 2020 nei corpi, nelle menti, nelle anime dei ragazzi e delle ragazze. Il primo (gravissimo) errore che è stato fatto, secondo me, è di aver considerato il lungo e intermittente periodo di interruzione delle lezioni a scuola come una fase eccezionale, terminata la quale (ammesso che sia terminata) si sarebbe potuto tornare alla normalità. [continua a leggere]
- 15 - Vale la presenza. Verso un curricolo risonante di Michele Visentin. Da più di due anni il nostro modo di vivere le relazioni è stato condizionato dall’evento pandemico, inaspettato e per certi aspetti traumatico. Il distanziamento sociale ci ha però permesso di entrare in contatto con elementi fondativi del vivere sociale e in particolare della relazione educativa. Uno di questi è quello della presenza, più precisamente dell’essere presenti mentre ci si relaziona con un altro essere umano. Il distanziamento sociale ha obiettivamente limitato la presenza e la vicinanza fisica, ma è pur vero che, anche attraverso forme nuove di comunicazione mediate dalle nuove tecnologie, ha permesso di mantenere e talvolta di rafforzare i legami. Emblematico il caso della scuola che ha dovuto riconoscere che l’allievo o il docente, connessi, si siano sentiti, in alcuni casi, più vicini e performativi lì, “a distanza”, di quanto non erano nella “vicinanza” della classe. Abbiamo così imparato a non considerare apertura e chiusura, presenza e assenza, vicinanza e lontananza come degli assoluti. L’essere presenti, in particolare, si è rivelato essere più una qualità interna, una disposizione personale verso l’altra persona, che una condizione determinata dalla vicinanza fisica. Essere presenti. Essere ricettivi. Che cosa significa essere presenti? L’interrogativo è decisivo soprattutto per chi si prende cura degli altri o svolge una professione a servizio delle persone. Perché la presenza è il predittore più forte di come le persone reagiscono a chi entra in contatto con loro? È possibile essere presenti senza essere nello spazio fisico dell’altro ed è possibile essere vicini all’altro senza essere presenti? Come accordare questi interrogativi con l’esigenza di ripensare i curricoli scolastici? La presenza ha a che fare con la qualità della nostra vita mentale. [continua a leggere]
- 16 - Dal taccuino di un prof arrabbiato di Riccardo Tuggia. Uno sfogo amaro. Dopo mesi di didattica a distanza (o integrata) cosa abbiamo appreso? La cultura è una cosa seria; la socialità conta più di profitti, debiti e crediti; la motivazione cambia nei contesti diversi; ciascuno vive le crisi in modo diverso; internet è uno strumento utile, oggi indispensabile, ma non una religione e il “cosa dire” è più importante delle piattaforme; l’approfondimento personale e la ricerca non possono essere paragonati con la ripetizione a memoria e con la valutazione predatoria; la didattica a distanza è diversa da quella in presenza; non è questione di asticelle e meritocrazia adattate ai propri interessi personali o di classe sociale o professionale; la cultura si trasmette o si assume per passione e non per adempimento; genitori, insegnanti e ragazzi sono sulla stessa barca e non in una guerra di confine; le procedure in ogni ambito lavorativo sono contro natura se spingono alla passività dell’esecuzione di modelli; l’avventura del pensiero continua sempre e comunque. L’endemica scuola... Appunti critici dal fronte I ministeriali, l’Invalsi e la qualità (sulle cose didattiche e non sul noleggio di un pullman o l’acquisto di un fotocopiatore) hanno distrutto la scuola. Mi soffermo sul primo elemento: i ministeriali. Burocrati che parlano come un verbale della Guardia di finanza. Dopo trentuno anni di docenza, decenni di formatore e come pedagogista sono indignato. Adulti che insegnano da anni che ascoltano articoli e commi, tecnici ispettori, norme, decreti, direzioni ordinamentali e tabelle del nulla. Siamo in mano a persone che nell’ipotesi migliore non insegnano da dieci anni... [continua a leggere]
18 - GRANDI DOMANDE. Finalmente siamo tornati in classe di Elena Buccoliero. «Evviva, posso andare a scuola!». Non è frequente che sia un bambino a dirlo, o almeno non nella nostra fetta di mondo, dove vige l’obbligo scolastico. Eppure gli elaborati raccolti nelle sue diverse classi dalla maestra Renata Cavallari, insegnante di religione nella scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “C. Govoni” di Ferrara, sono pieni di esultanza. Lo dicono le parole scritte nei loro molti colori e le tinte dei disegni, pieni di volti sorridenti e soli alti in cielo, mentre le diverse personificazioni del virus covid-19 stanno in una gradazione che va dal broncio alla furia. Troppo ottimismo, si potrebbe pensare con un briciolo di timore per una eventuale delusione ora che i contagi risultano in rapida risalita. Ma non è questo a interessarci. Quel che conta adesso è ascoltare il vissuto dei bambini. Non c’è dubbio che il periodo di chiusura abbia avuto tanti lati negativi. Raffaella scrive: «Mi sono annoiata tantissimo». Enrico: «Tante persone si sono ammalate». Sara precisa: «Sono triste per la nonna», ed è probabile che il covid abbia qualcosa a che fare con questo. Per contro Furio, 10 anni, esibisce una certa disinvoltura: «Io andavo al ristorante lo stesso. Non usavo tante volte le mascherine. Abbracciavo gli altri lo stesso». Le molte limitazioni alla libertà elencate dai bambini val la pena leggerle a rovescio, in ciò che è stato riconquistato. Il sollievo è corale. Un ottimo motivo per essere felici è la prossimità ritrovata che nella scuola ha aspetti peculiari. [continua a leggere]
20 – STRATEGIE DELLA BELLEZZA. La campagna d'estate di Ap/Ps. In questa estate del 2022, la campagna era arsa, non pioveva, i fiumi si asciugavano. Riemergevano relitti bellici, ponti medievali, palafitte preistoriche. I raccolti si seccavano. Il sole spolpava l’anima. Caldo torrido, inverosimile, senza fiato. In questa estate del 2022, Putin continuava la sua campagna militare, seminava bombe, mine, missili. Cresceva la distruzione, fioriva la disumanità. Assurda, malefica, demoniaca. In questa estate del 2022, eravamo in piena campagna elettorale. Alleanze che non decollavano, baci, tradimenti. Terzo polo, cinque stelle, una sola Italia, ripetuta in tutte le declinazioni possibili, forzatamente, fraternamente, sovranamente e popolarmente. Exit. Dove andiamo? Cosa siamo? Da cosa ripartiamo? In questa estate del 2022, ho camminato nella campagna salentina, fra muri a secco, rovi, pecore. Nel caldo della terra, sotto il lucido del cielo, verso spicchi di mare. Ero ospite grato. Siamo ospiti, sempre, ovunque, ospiti di uno spazio e di un tempo. L’autunno, già ai primi giorni, è pioggia che uccide, è minaccia atomica, è la destra al governo. Eppure… la natura resiste, resiste il blu, resiste il verde che riprende l’ultima goccia. Temo l’inverno. L’inverno in noi e fuori di noi. Non perdere il seme, conservalo. Lo aspetta, mite, il tempo giusto.
21 – CARTE D'AFRICA. Malawi di Cecilia Alfier. Fra crescita economica, povertà e brogli elettorali Il Malawi è uno Stato relativamente piccolo (con grandi problemi) dell’Africa sud-orientale che conta circa 18 milioni di abitanti. È un Paese con una natura rude e bellissima, come attesta il Parco Nazionale del Liwonde, dove migliaia di elefanti, ippopotami, coccodrilli e altri animali selvatici vagano liberi, nell’ambiente della savana asciutta. La guida Lonely Planet consiglia un viaggio “trittico” in Zambia, Mozambico e Malawi, definendo quest’ultimo come una delle destinazioni africane più accessibili per i turisti, un’ottima introduzione per i paesi dell’Africa del sud. Purtroppo questo ambiente, apparentemente idilliaco, è sempre più difficile da preservare, a causa del riscaldamento globale. I problemi sono molteplici. Il Malawi è povero, l’aspettativa di vita per gli uomini è ferma a 60 anni, che diventano 65 per le donne. Tuttavia, lo sforzo per uscire dal sottosviluppo è notevole, soprattutto dal 2020 in poi. Questo dopo che le elezioni dell’anno precedente, svolte in un clima turbolento, erano state annullate (ne parleremo più avanti). La crescita economica negli ultimi anni è stata forte, nonostante le difficoltà in agricoltura dovute al clima sempre più ostile e caldo. Le caratteristiche climatiche sono tropicali (o più precisamente subtropicali, soprattutto in montagna): la stagione estiva delle piogge dura da metà novembre ad aprile, con siccità nel resto dell’anno. [continua a leggere]
23 – I PAESI DI DOMANI. Dalle città globali all'urbanizzazione planetaria di Davide Lago. In un recente articolo su Il Sole 24 Ore, Niccolò Cuppini delinea la complessa realtà di Chongqing, una municipalità cinese che sfiora i 39 milioni di abitanti. Nel nucleo urbano vero e proprio si contano otto milioni di abitanti, ma i confini comunali ne contengono trentuno (più o meno gli abitanti del Canada), a cui se ne aggiungono altri otto se si considera l’hinterland. La superficie complessiva è quanto quella dell’Austria. Urbanizzazione e modelli in gioco. Un agglomerato di questo tipo è interessante sotto vari punti di vista. Certamente lo è sul piano dei rapporti tra urbano e rurale, con la campagna molto urbanizzata e intrecciata se non inglobata nella città. Al suo interno, ogni giorno si muovono milioni di persone. Il rapporto con la terra, con le stagioni, con ciò che è vivente, sembra secondario a questo movimento. D’altronde, la municipalità nasce (per progressiva fusione di città) proprio dallo sradicamento delle persone dal loro habitat: è qui che hanno trovato ospitalità milioni di sfollati a seguito della costruzione della diga delle Tre Gole. Chongqing è peculiare anche nella sua forma di governo, essendo sotto la tutela diretta del governo centrale. Il dirigismo politico sembra connaturato a un certo tipo di trasformazione rapidissima del territorio: creazione di aree di speciale insediamento di mega aziende, costruzione di numerose unità abitative, spostamento di masse di cittadini, trasformazione radicale del territorio con conseguente umiliazione della biodiversità. [continua a leggere]
25 – DIARIO MINIMO La lezione di Liliana Segre di Francesco Monini. Come l’Italia non è. Come l’Italia dovrebbe (e forse potrebbe) essere. Il discorso di Liliana Segre per l’apertura dei lavori del Senato della Repubblica dobbiamo leggerlo, rileggerlo, impararlo a memoria (trovate in rete il testo integrale). Ci trovate, come sempre nei suoi interventi, il ricordo vivo di lei bambina nell’Italia fascista delle leggi razziali. Ma la sua è stata una lezione di democrazia, il richiamo al contenuto più alto e più vero della nostra Costituzione repubblicana, che dopo più di settant’anni aspetta ancora di essere applicata. Ed è una responsabilità che pesa come un macigno su tutti i parlamenti e i governi che si sono succeduti. Il suo, espresso con la sua proverbiale mitezza, suona come un vero j’accuse: «Se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione, peraltro con risultati modesti, talora peggiorativi, fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice». Alla fine, come sempre le succede, Liliana Segre, bandiera di una repubblica che non c’è, è stata sommersa d’applausi. Mi sono chiesto cosa pensi in cuor suo di questo universale successo mediatico e credo lo scambierebbe volentieri per qualche atto concreto verso la democrazia e la giustizia. [continua a leggere]
27 – NOTIZIE. Macondo e dintorni di Gaetano Farinelli.
31 - PER IMMAGINI. Io stavo a casa di Cecilia Alfier.
servizio informativo a cura di Alessandro Bruni con aggiornamento e permanenza trimestrale