di Marina Viola. Scrive e vive a Boston con amore, con dolore, con levità. Pubblicato nel blog dell'autrice il 29 aprile 2023.
Mi è capitato anche in passato di trovarmi con le ginocchia per terra, a implorare una tregua, una pausa al dolore atroce della disperazione. Quello che invece non mi è mai capitato è diventare emotivamente incontinente, non riuscire ad aggiungere una briciola in più da sopportare, perché lo sforzo di trovare un equilibrio dove equilibrio non c’è è già di per sé estremamente arduo. Sono come immortalata in un’immagine di contadini asiatici, che portano sulle spalle dei lunghi manici di legno su cui appendono i cestini pieni del raccolto. Basta aggiungere una mela in più da una parte, e destabilizza tutto.
Ecco, qualcuno ha appena buttato una briciola in uno dei miei cestini, e adesso tutto il raccolto è sparpagliato per terra e non ho la forza di raccogliere nulla, non ho la forza di bilanciare più niente. Adesso sono per terra, a carponi, nel tentativo di cercare ordine in un disordine che mi schiaccia. E divento emotivamente incontinente. Invece di raccogliere il mio bottino, mi dispero e annego nello strazio della fatica.
Forse, anzi sicuramente, è molto più bravo e diretto a descrivere questo mio periodo orribile l’enorme Vasco Rossi in questa canzone, Vivere O Niente, che da qualche mese a questa parte, considero il mio inno. Si riassume tutto in questo verso:
Io non ho voglia più di fare finta
Che vada tutto bene solo perché è
Guardami
Io sono qui
E te lo voglio urlare
Io sto male
Ammiro il coraggio di mostrarsi così vulnerabile, di cantare davanti a migliaia di ragazzini un dolore del genere. Guardando il video live mi viene da pensare cosa ne sanno loro di stare così male, sanno tutte le parole a memoria manco fosse una canzonetta. Ma si rendono conto di quello che stanno testimoniando? Un uomo che sta male, tanto da urlarlo in uno stadio.
Parlo del video di Vasco, ormai anzianotto, che canta questa canzone su un palco enorme, con tutte quelle luci che sembra un circo, con tutta quella gente che sente ma non ascolta, e ho provato un’enorme tenerezza per lui. Avrei voluto prendermelo, abbracciarlo e dirgli che anch’io sto male, come possiamo fare per stare meglio tutti e due? Ha avuto il coraggio di condividere le sensazioni più difficili da esprimere a se stessi, figurati a migliaia di ragazzini che ti pendono dalle labbra. Uno che cantava dimmi di cosa ti fai, non dirmi che non ti droghi mai, che nella vita ha sempre voluto sgarrare, testare i limiti, adesso urla di stare male.
Un uomo. Per di più, emiliano, un po’macho, probabilmente della vecchia scuola, che ha anche cantato: “Magari è femminista, e non vuol certo farsi violentare” senza che nessuno lo mettesse al muro. Uno con la giacca di pelle che per mestiere fa quello con il pelo sullo stomaco. Quello lì, adesso regala anche a noi il permesso di poter dire che siamo male.
Sto dicendo tutto questo, che forse non ha nessun filo logico importante (cit.) per dire che io sto male e che sono al limite della sopportazione di una vita spesa a fare in modo che i bisogni degli altri, e non i miei, siano accomodati. Ventisei anni di Luca sono tantissimi anche per un figo come Vasco Rossi. Eppure, a volte, sono riuscita a bilanciare il mio raccolto senza troppi sforzi. Ne vado fiera, se devo dire la verità.
Ho impiegato ventisei anni per crollare, per ammettere di stare male: avrebbe potuto durare molto meno. Metà della mia vita da adulta è stata offerta a Luca, e adesso non riesco più a tenere a bada la mia necessità di godermi la mia carriera, la mia voglia di tranquillità, di libertà. E non so come fare a slacciare le mie stringhe e togliermi le scarpe per camminare a piedi nudi. Ho bisogno dell’aiuto di chi ha voglia di darmelo per rialzarmi, per prevenire che altre briciole disgreghino il mio equilibrio molto approssimativo.
Oltre che ascoltare Vasco, vorrei trovare il modo di stare meglio.