a cura di Alessandro Bruni. Review di sintesi elaborata dalle fonti citate a piè di pagina.
Nell’ultimo decennio gli studi sullo spettro autistico si sono focalizzati sulle cause genetiche e epigenetiche, sulle caratteristiche immunitarie, autoimmuni e metaboliche che possono concorrere all’espressione dei fattori clinici tipici di questa sindrome. Tuttavia, è nel campo clinico dove ancora esistono latenze e scarse scoperte significative: potrebbe apparire come un paradosso, ma esistono motivazioni rilevanti del mancato decollo della terapia genetica (alto numero di geni coinvolti nell'autismo) con conseguente fioritura di metodiche con ancora deboli rilievi scientifici o di esperienze ancora non sufficientemente documentate capaci di distinguere tra ciò che è reale progresso della scienza e ciò che viene venduto come tale, ma che tale non è.
E’ indubbio che la ricerca sull'autismo procede di pari passo con l’evoluzione delle discipline che lo studiano. Partendo da questa affermazione generica, e banalmente vera, è necessario avere una profonda conoscenza delle differenti discipline che concorrono alla comprensione e alla terapia dello spettro autistico. Un distinzione che in passato troppo spesso ha portato ad uno scontro tra metodi sperimentali differenti e confutazione reciproca di competenze (specie tra componente medica e psicologica).
Partiamo da dati certi e noti. L’autismo ha a che fare con il cervello di cui distinguiamo il corpo anatomico, le sue componenti e la mente. Il cervello, anatomicamente e funzionalmente, può essere descritto in tre comparti sviluppatisi in sequenza ontologica tra vita intrauterina e post nascita: il “cervello rettiliano”, tipico dei rettili, il “sistema limbico”, tipico dei mammiferi e la “corteccia cerebrale”, tipico dell’uomo. La corteccia cerebrale svolge attività di risoluzione di problemi e decisioni ed è artefice dell'autocontrollo regolando il comportamento sociale. È, inoltre, la sede delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria, tutte manifestazioni che interessano fortemente la condizione autistica.
Per affrontare con globalità le funzioni cerebrali, come espressioni precipue di ogni individuo neurotipico o neurodivergente, si devono considerare anche le due note manifestazioni funzionali e globalizzanti: la mente, intesa come il complesso delle possibilità e dei contenuti intellettuali e spirituali dell’individuo, e la psiche, ovvero il complesso dei fenomeni e delle funzioni che consentono all’individuo di formarsi un’esperienza di sé e del mondo, e di agire di conseguenza. Anche questi ambiti funzionali sono fortemente influenzati dalle neurodivergenze autistiche.
Prendiamo brevemente come esempio lo sviluppo evolutivo a partire da un neonato: la prima relazione con il genitore accudente è regolata dalla necessità della sopravvivenza, con conseguente pseudo sorrisi, vagiti, riconoscimento visivo e forte presa manuale. Sono agiti basati prevalentemente sull’azione dei cervelli rettiliano, istintivo, e limbico, emozionale tipico dei mammiferi che hanno cura della prole. Solo successivamente con l’adolescenza, comincia ad affermarsi l’identità autonoma (apprendimento, lavoro) e l'esplorazione affettiva di un partner. E’ la fase in cui si costruisce il processo gratificante con ricompensa adattativa che si esprime in una vita sociale articolata dalla costruzione familiare (familazione), dalla collocazione sociale (dal clan alla società civile), dall’operatività del lavoro collaborativo e dalla costruzione di relazioni sociali di riscontro civile (altruismo, amicizia, democrazia, capitalismo, arte, socialità, ecc.). Tutte manifestazioni che riguardano principalmente l'attività della corteccia cerebrale e che, come è noto, sono fortemente influenzate dalle sindromi autistiche.
Detto questo sul piano biologico, dobbiamo considerare l'influenza che ha il contesto di vita del bambino, specie in quelli con spettro autistico, sulla loro capacità di comunicazione con i familiari e in ambiente scolastico, ma anche dalla reazione che l’ambiente sociale di contesto genera negli stessi soggetti autistici.
Sul piano dello studio classico, quale quello universitario, le discipline che si fanno carico di conoscenza della sindrome autistica sono: la medicina, la psicologia, la sociologia. Discipline che in passato avevano ambiti di studio ed applicazione in contesti di apprendimento e di professione differenti. Non solo, ma avevano ed hanno modalità di studio molto differenti sia sul piano della ricerca che sul piano dell’applicazione terapeutica ed educativa (forma mentis).
Oggi è contestualmente accettato che lo studio dell’autismo ha bisogno di ricercatori e di terapeuti che siano capaci di operare in team con competenze plurime: non esiste un singolo operatore professionale capace di affrontare clinicamente l’autismo nelle sue molteplici espressioni.
Sul piano sociosanitario della gestione dell’autismo dobbiamo ricordare tre figure professionali che sono storicamente connaturate nel costume sanitario e popolare: la figura del medico come "massimo" referente sanitario, la figura dello psicologo come referente "accessorio", la figura del sociologo sanitario (oggi spesso riferita come antropologo sanitario) considerato come un "qualcuno che serve alla gestione" e non all’utente (in virgolettato sono le espressioni di costume e non di competenza). Questa condizione spesso subliminale, ma altrettanto spesso esplicita, comporta una gerarchia decisionale e valoriale spesso inquinata da recessi di "nobiltà" professioinale arcaica impropria nel caso della terapia autistica. La struttura sanitaria italiana ha storica e profonda apicalità gestionale di "uomo solo al comando" che limita lo studio e la terapia, mentre nei Paesi con sistema sanitario più evoluto, lo studio e la terapia sono governate da un team che considera apicale non una professionalità, ma l’insieme delle competenze del team (e più vaste sono più ci si può avvicinare all'intervento corretto).
Sul piano della ricerca terapeutica in Italia, ma anche all’estero, lo studio dello spettro autistico ha uno scontro metodologico generale divergente e una risoluzione pratica convergente, entrambe non prive di pericoli. Il primo punto, a cui spesso si fa riferimento, è costituito da cosa significa ricerca scientifica. Per assunto storico galileiano una ricerca scientifica è una ricerca che si manifesta come ripetibile. Nel campo della ricerca sull’autismo questa è una condizione che si verifica con difficoltà perché (di seguito riportato in breve per le situazioni più note):
- il cervello ha difficoltà ad essere studiato in vivo sul piano strumentale e ogni mente è diversa dall'altra;
- l’autismo non è una condizione generalizzabile perché ogni paziente ha il suo autismo particolare (di qui spettro autistico);
- lo studio genetico fornisce l’identificazione di origine dell’autismo, ma non la terapia (per ora);
- lo studio dell’autismo con animali di laboratorio è spesso inficiato da condizioni biologiche differenti in relazione alla specie utilizzata (e da una corteccia cerebrale meno sviluppata). Oggi i maggiori risultati sul metabolismo cerebrale dell’autismo sembrano derivare dall’uso di organoidi in vitro e dalla risonanza con spettroscopia);
- il medico e il sociologo sono abituati a ragionare in termini oggettivi (quindi ripetibili) sulla patologia e sulla epidemiologia, ma la persona con spettro autistico non è malato e i tre gradi di gravità del DSM5 non esprimono completamente la sua neurodiversità;
- lo psicologo e l'educatore, anche clinici, sono abituati a lavorare in termini soggettivi. Ogni paziente è un caso diverso che va compreso nella sua realtà non solo biologica, ma anche antropologica.
- l’attività terapeutica pubblica in Italia è oberata da un numero elevato di casi (circa un caso ogni 77 nati) e da un numero di operatori assai ridotto, spesso in condizione di precarietà. Questa realtà operativa può portare l'operatore ad esercitare in solitudine, mentre l’optimum è il lavoro con più operatori con differenti competenze che lavorano in team;
- l’attività terapeutica nel privato presenta luci e ombre che riguardano una certa tendenza alla solitudine operativa o a strutture che operano correttamente in team che però hanno un costo da far dire che l’autismo è una sindrome per ricchi;
- i genitori considerano il figlio in termini soggettivi e hanno debole interesse alla situazione oggettiva sociale del disturbo. A loro preme solo il superamento del disagio del loro figlio (e ne hanno già abbastanza...).
La psicologia e l'educazione speciale stentano a trovare una dimensione oggettiva, e forse, secondo alcuni psicologi ed educatori non è nemmeno necessaria (affermazione che sottolinea un disagio professionale che è assente in altri Paesi socialmente evoluti). Il riferimento è alle EBP, Evidence-Based Practices, ossia agli approcci basati su prove di efficacia che devono fondarsi sulla valutazione dei migliori risultati provenienti da studi clinici controllati.
Questo approccio consente di distinguere gli interventi scientifici da quelli pseudo- o anti-scientifici in termini spesso lontani dal criterio galileiano della ripetività. Ovvero, si finisce col ritenere sufficiente la buona prassi operativa rispetto all'esito ripetibile. Un approccio che genera molti distinguo che talora determinano una valutazione espressa durante l'età evolutiva e quasi mai come esito valoriale in età adulta. Con becera espressione si finisce con l'accontentarsi dell'uovo oggi piuttosto che della gallina domani. Le critiche a questo metodo sono numerose, ma c'è da dire che non c'è altra soluzione veramente alternativa. Di conseguenza ci si accontenta dell'uovo che rende il soggetto autistico comportalmente più simile ai neurotipici e accontenta i genitori che vedono il proprio figlio con comportamenti più governabili in famiglia.
Oggi sul piano esecutivo la maggior parte dei centri per la terapia di soggetti con spettro autistico cercano di bilanciare i loro interventi cercando di esprimere al meglio le qualità di intervento e limitando quelle eventualòmente negative a lungo percorso. Questi lodevoli approcci terapeutici trovano certamente maggiore comprensione ed elasticità quando la terapia è gestita da team a competenza plurima, puttosto che da singoli "illuminati".
Recentemente, grazie a questa apertura al plurale delle competenze, sono nate nuove cornici multidisciplinari, come lo studio neurocognitivo dell’interazione sociale ponendo le basi per uno studio sempre più sofisticato dello sviluppo sociale neurotipico della popolazione e neurodivergente della persona autistica. Combinare questi due fronti non è semplice poiché la maggior parte dei professionisti di lunga pratica sono stati formati al singolare, mentre solo le ultime generazioni di professionisti hanno chiara la necessità di competenze plurime nella valutazione di soggetti con spettro autistico.
A tutto questo si aggiunge il costume delle famiglie che in gran parte è culturalmente improntato sul singolo "specialista-vate" che propone di dare la soluzione della malattia. E' l'approccio più tradizionale che poggia sulla fiducia soggettiva dei genitori e che offre una soluzione soggettiva di spesso debole impatto terapeutico. Ma come abbiamo detto l’autismo non è una malattia, non esiste un’unica causa scatenante, non esiste un farmaco che la risolva, ma solo una serie di interventi di diversi professionisti che si prendono cura del paziente nella sua diversità.
Come scrive Vivanti, il quadro che emerge da questi dati è intrigante e tutt’altro che conclusivo. Le tessere del mosaico creano disegni ambigui, di difficile interpretazione; i conti a volte non tornano, e ipotesi che sembravano poco plausibili, vengono improvvisamente sostenute da dati inequivocabili, e nuovi modi di interpretare la mente danno luogo a nuovi paradigmi sperimentali. Più le domande sono semplici (i bambini con autismo imitano? Vedono la cose come le vediamo noi? Sanno giocare? E soprattutto: perché si comportano in questo modo), più le risposte diventano complesse, aprendo nuovi e affascinanti scenari sulla natura della cognizione umana e sull’eccezionalità della mente autistica.
Fonti:
- per la psicologia: Bottema-Bentel K. We must improve the kow standards underlying evidence based practice, in Autism. 2023.
- per la psicologia: Vivanti G. La mente autistica. Hogrefe, 2021.
- per la sociologia: Scavarda A. Pinguini nel deserto, Il Mulino, 2020.
- per la sociologia: Vanolo A. La città autistica. Einaudi, 2024.
- per la medicina: Volkmar F.R. Disturbi dello spettro autistico. Edra, 2020.
- per la medicina: Tujchibaeva N.M. e Ibodov B.A. Studi clinici e genetici sulla diagnosi precoce dell'autismo. Edizioni Sapienza. 2023.