a cura di Alessandro Bruni. Sintesi con elaborazione personale tratta dalle fonti citate a piè pagina.
L’Early Start Denver Model (brevemente citato come ESDM o Denver model) è un intervento specifico, di supportata efficacia, rivolto a bambini con disturbo dello spettro autistico nei primi anni di vita. È un intervento svolto a base evolutiva e relazionale che incorpora le strategie naturalistiche dell’analisi comportamentale.
Alla base del Denver model vi è la visione che la biologia dell’autismo renda gli stimoli sociali come la voce, i volti e i gesti delle altre persone meno salienti rispetto a ciò che avviene nello sviluppo dei neurotipici. Infatti, è noto che i bambini con disturbo dello spettro autistico sono meno motivati a interagire con le altre persone, in relazione al fatto che hanno un diminuito orientamento verso gli stimoli sociali e diminuite capacità di interazioni sociali che ne limitano le possibilità di apprendimento aumentando, invece, il divario comunicativo tra loro e quello dei bambini con sviluppo neurotipico.
Lo scopo del Denver model è quello di riportare i bambini con disturbo dello spettro autistico all’interno del circolo delle interazioni sociali normali e allo stesso tempo colmare i gap che si sono accumulati in tutte le aree dello sviluppo attraverso un percorso basato sulla scienza dello sviluppo del bambino e con tecniche di insegnamento comportamentali e naturalistiche ad alta precisione.
Nel Denver model, il disturbo dello spettro autistico è considerato come un disturbo evolutivo che colpisce tutti i domini dello sviluppo. Questo orientamento evolutivo è alla base del programma educativo che guida le finalità e gli obiettivi del trattamento e dell’ampia gamma di tecniche di intervento utilizzate. Il percorso terapeutico del Denver model si basa sulla scheda di valutazione iniziale approfondita e si sviluppa con il procedere dell'intervento con valutazioni successive per monitorare il progresso del programma educativo pianificato. La scheda valutativa è fondata su un elenco di abilità specifiche poste in sequenza evolutiva nell’ambito delle seguenti aree:
- la comunicazione ricettiva,
- la comunicazione espressiva,
- l’attenzione condivisa,
- l’imitazione,
- le abilità sociali,
- le abilità di gioco,
- le abilità cognitive,
- le abilità fini motorie,
- le abilità grosso-motorie e le abilità di autonomia.
Cinque di questi domini assumono un forte peso nell'intervento del Denver model:
- imitazione,
- comunicazione non verbale,
- comunicazione verbale,
- sviluppo sociale e gioco.
L’intervento terapeutico-educativo inizia con una valutazione del livello attuale delle abilità del bambino nelle aree definite nella scheda di valutazione. Sulla base dei risultati vengono fissati gli obiettivi di apprendimento, che il bambino dovrà raggiungere. Una caratteristica del Denver model è la sua flessibilità in termini di setting di implementazione in vari contesti di vita del bambino quali asili, terapia con i genitori e teleriabilitazione. Un setting che prevede una alta capacità professionale e operativa degli attori adulti, una capacità che deve essere anche armonizzata tra gli adulti di riferimento quali: operatori psicosociali, genitori, insegnanti, insegnanti di sostegno, caregiver familiari.
In sostanza il Denver model è un metodo di intervento sul bambino autistico basato sull'approccio naturalistico evolutivo comportamentale che deve interessare con diverse espressioni armoniche tutto il contesto relazionale del bambino, mediante l'applicazione di routine di attività condivise in un contesto che mira a ricreare le interazioni adulto-bambino che nello sviluppo tipico facilitano l'apprendimento nei primi anni di vita.
In queste routine, il minore e l'adulto costruiscono assieme un “tema” iniziale di partenza in base all'interesse del bambino, che servirà come cornice programmatica per insegnagli comportamenti nuovi. Una sequenza di apprendimento che inizia tipicamente con l'adulto che offre la possibilità al bambino di scegliere tra diversi oggetti, per esempio bolle di sapone, palloncini o trenino. Il bambino sceglie liberamente l'oggetto di sua preferenza, senza che ci sia alcuna proposizione da parte dell'adulto.
Un tipico esempio di intervento potrebbe essere questo: Il bambino sceglie un trenino tra i giochi a sua disposizione e manifesta il suo interesse nella scelta e nella sua esplorazione visiva rigirandolo tra le mani. Dopo una attesa di radicazione di interesse, l'adulto prende un altro trenino del tutto identico a quello che il bambino ha tra le mani e imita l'azione del bambino, con l'obiettivo di creare un'alternanza di turni nelle sequenze di gioco (mimando ad esempio il suo farlo scorrere sul pavimento con interventi di sequenza; al suo farlo scorrere l'adulto ripete e si cerca di stabilire una sequenza di tempi alternati tra l'azione del bambino e quella dell'adulto) utilizzando anche commenti vocali semplici e giocosi per segnalare al bambino quando è il proprio turno e quando è il turno dell'adulto. Quando viene stabilita un'alternanza di turni, l'adulto introduce una “variazione” sul tema, ovvero propone un'azione diversa da quella messa in atto dal bambino, ma sempre connessa al gioco in corso e incoraggia il bambino a fare la stessa cosa. Se questi risponde imitando l'azione, il gioco prosegue, altrimenti l'adulto fornisce un aiuto per far proseguire la routine fintanto che il bambino risponde correttamente con una sua azione di imitazione.
Per ottimizzare la motivazione ad apprendere dalle azioni e dalle parole dell'adulto, è necessario catturare l'attenzione del bambino, gestendo la “competizione” con altri stimoli, e dandogli la possibilità di scegliere tra diverse attività e materiali a disposizione. Una volta che la routine di gioco è stabilita sulla base degli interessi del bambino, gli episodi di apprendimento sono inseriti all'interno delle variazioni su temi sempre differenti, ovvero con azioni che non sono ancora parte del repertorio comportamentale del bambino. La routine degli interventi consolidano nel bambino la modalità del gioco come espressione acquisita determinando un "aggancio" personale attivo di motivazione a partecipare all'interazione con l'adulto. Operando in questo modo si viene a stabilire una comunicazione comportamentale naturale che costituisce il primo seme comunicativo con l'altro sgretolando la tendenza all'isolamento del bambino verso il contesto sociale.
Il Denver model è, dunque, un approccio educativo-terapeutico che mira allo sviluppo delle abilità socio-emotive e comunicative, generalmente compromesse nel soggetto autistico, attraverso un intervento mirato sul contesto sociale in cui il bambino è inserito. L’obiettivo principale è rappresentato dal colmare i deficit di apprendimento derivanti dall’incapacità di accedere al rapporto con gli altri, attraverso l’inserimento del bambino in percorsi esperienziali che stimolino la relazione e l’interazione sociale. Si sottolinea la sua significatività nella relazione educativa e il suo ruolo di gioco, quindi non imposto, ma di scelta personale di piacere che significa comprensione che lui è l'attore principale nello sviluppo delle sue abilità sociali.
Concludendo, il Denver Model rappresenta un approccio finalizzato all’acquisizione di competenze specifiche attraverso una metodologia chiara che consente di dimostrare i cambiamenti a breve termine nel comportamento del bambino. È un approccio che si focalizza su deficit specifici che riguardano processi simbolici, socio-relazionali e comunicativi e propone interventi intensivi, puntando sui costrutti profondi dello sviluppo quali le abilità di gioco e le competenze simboliche e comunicative, al fine di indurre cambiamenti quantitativi e
qualitativi nel comportamento dei bambini e miglioramenti cognitivi, comunicativi, socio-emozionali e percettivo-motori. L’importanza di questi cambiamenti è dovuta proprio al ruolo centrale che il gioco simbolico riveste nel promuovere l’esplorazione del contesto sociale e la consapevolezza di sé stessi.
Le modificazioni ottenute sembrano attribuibili alla creazione di importanti relazioni e associazioni facilitate dalla capacità dell’adulto di:
- prestare attenzione alle comunicazioni verbali e non verbali del bambino;
- stabilire interazioni reattive e reciproche con il bambino;
- mettere in risalto tutte le esperienze affettive positive del bambino;
- usare il gioco come principale strumento che facilita la relazione e l’apprendimento.
Le ricerche effettuate possono essere considerate indicatori importanti dell’efficacia del trattamento. Il Denver model si presenta come un approccio dinamico, orientato affettivamente e relazionalmente, che può produrre cambiamenti evolutivi importanti e limitare le difficoltà manifestate in aree specifiche. Queste modalità si sono dimostrate efficaci nel migliorare gli esiti evolutivi dei bambini con autismo in diversi contesti. Numerose ricerche hanno dimostrato che, rispetto ai bambini che hanno ricevuto un intervento comunitario, i bambini che hanno ricevuto interventi basati sul Denver model hanno mostrato miglioramenti significativi nel QI, nel comportamento adattivo e nella diagnosi di autismo, tanto che avevano maggiori probabilità di sperimentare un cambiamento nella diagnosi da autismo a disturbo pervasivo dello sviluppo.
Ostacoli alla applicazione funzionale del Denver model sono il tempo di apprendimento che è particolare per ogni bambino, il tempo di dedizione dell'adulto che non deve forzare le tappe evolutive del bambino, la necessaria globalità armonica operativa tra i caregiver professionali e familiari, i luoghi di incontro che dapprima devono essere conosciuti come luoghi di appartenza da parte del bambino (ambulatori, asilo o scuola, casa dei genitori, case di frequentazione parentale). In sostanza il Denver model, come altri interventi naturalistici evolutivi comportamentali, esige una cornice di luoghi e di adulti in cui il bambino si senta adeguato ed accolto.
Fonti consultate:
- Giacomo Vivanti. La mente autistica. Hogrefe, 2021
- Fred R. Volkmar. Disturbi dello spettro autistico. Edra, 2020
- Mariateresa Cairo e Piervito Cucinelli. Autismo e interventi abilitativi e riabilitativi: il Denver Model pdf Erickson, 2012