Stigmi e controllo adulto a discorsi dominanti
La realtà operativa della diagnosi e della terapia dello spettro autistico è ancora oggi sovraccaricata da stigmi e stereotipi erronei del passato che sono difficili da superare. Un passato che andrebbe concettualmente cancellato, ma che si ritrova in internet e in molti articoli divulgativi, informativi, pubblicitari e di speculazione affaristica. Una devianza che si subisce perché è di metodo e riguarda tutte le conoscenze, ma che procura grande danno quando le famiglie sofferenti per il proprio figlio cercano soluzioni o meglio rassicurazioni da imbonitori che oscillano tra ignoranza e malafede.
Un modo classico di valutazione delle ricerche è fornito da Evidence-Based Practices (EBP), un approccio basato su prove di efficacia in cui si indica che pratiche e strategia, sia a livelo individuale, sia a livello sociale, devono fondarsi sulla valutazione dei migliori risultati provenienti da studi clinici controllati. L’approccio consente di distinguere le ricerche scientifiche da quelle pseudo-scientifiche. Un metodo che tuttavia non è applicabile per tutte le discipline e per tutte le tipologie di pazienti specie nell’autismo (Bottema-Beutel K. We must improve the low standards underlying “evidence-based practice” in Autism n. 2, 2023.)
Sappiamo che le persone con autismo hanno una peculiare sensibilità nella percezione degli stimoli sensoriali sonori, luminosi, gustativi e olfattivi. Una sensibilità che è, in relazione ai casi, differente anche tra autistici, come diversa è tra gli individui normotipi. Una persona con autismo esprime una significanza della vita di relazione rispetto a quella dei normotipi, ma è anche differente rispetto ad altri autistici. Questo non deve meravigliare essendo la condizione autistica frutto dell’interessamento di numerosi geni che svolgono funzioni differenti. In altre parole ogni autistico è differente dall’altro perché l’espressione costitutiva dei geni interessati è differente e i geni mutati per l'autismo sono collocati anche in cromosomi differenti, sebbene molti di questi siano collocati nel cromosoma 15.
Ogni persona autistica, quindi, assume ruoli o aspettative sociali differenti da una parte all’altra del mondo in uno scenario che, a causa del contesto di vita differente, determinano evoluzioni differenti e quindi esprimono la necessità di assunzioni terapeutiche differenti. Anche questa considerazione non deve sorprendere troppo. Basta pensare alla necessaria differente modalità di intervento psicoterapeutico in individui normotipi di cultura etnica differente. Uno psicologo formatosi a Milano e di cultura occidentale ha difficoltà ad assumere un ruolo terapeutico di un paziente indiano appena arrivato a Milano a causa della differente significanza ed educazione socio culturale che l’indiano ha avuto. Ovviamente ben minore sarà il problema terapeutico se il paziente è di seconda o terza generazione. Mentre un chirurgo occidentale non ha alcun problema ad affrontare una appendicectomia su un paziente indiano, e viceversa.
Concludendo, si deve affermare che è sbagliato parlare di autismo al singolare, perché in effetti l’autismo è una condizione plurale, composita che si esprime in condizioni differenti. Così come le definizioni mediche dell’autismo sono in continua evoluzione anche le definizioni sociali devono essere evolutive e infine anche il sistema sociosanitario deve continuamente aggiornarsi seguendo l’evoluzione delle persone autistiche nella società. In definitiva, come molte altre condizioni umane o modalità di appartenenza a una categoria, la condizione autistica dipende da come viene vissuta e narrata dall’individuo e dalla società in cui vive.
Dagli stigmi alla accettazione della neurodiversità
L’espressione neurodiversità si riferisce alla ricca varietà dei sistemi nervosi comune negli esseri umani. Si tratta di una condizione definita da neurotipico quando la differenza è piccola o comunque riconosciuta dal sistema sociale in cui si vive mentre diviene da neuro divergente se questa varietà si verifica in una minoranza di persone. In metafora l’uso alimentare dell’aglio per un inglese è “neurodivergente”, mentre per un francese è “normotipico”. Si tratta di una differenza dovuta all'educazione specifica ricevuta e anche nel tempo una condizione che ha influito sull’impronta genetica. Tanto che in Italia, con una educazione alimentare comune esistono persone anche nella stessa famiglia che, indipendentemente dall'educazione alimentare, non sopportano l’aglio probabilmente per impronta genetica.
La neurodiversità non si riferisce solo alla descrizione neurologica, ma è divenuto un campo di ricerca assai ampliato nel campo socio-culturale percependo che tutto quello che si allontana dalla norma di consuetudine sia da correggere, ma piuttosto da approfondire essendo una variabile insita nella natura umana e non per assioma da correggere. Come umani abbiamo passato lunghi periodi storici di nefando razzismo, emarginazione, ghettizzazione e stigma verso chi era diverso dalla maggioranza. Accanto a questi rigurgiti tuttora riscontrabili, si è fatto strada il riconoscimento delle diversità che hanno lottato per il proprio diritto alla differenza, come nel caso delle rivendicazioni queer in un mondo in cui le persone non eterosessuali e non cisgender, statisticamente di minoranza, sono state spesso oggetto di discriminazione e di violenza. Una situazione che per varie situazioni può colpire le persone autistiche gravi e medio-gravi nel momento in cui rimangono privi del sostegno familiare (il dopo di noi).
Come già si è detto, l’approccio medico all’autismo ha un carattere storico, poiché per primo ha cercato di studiarlo, divenendo, anche per potere di lobby, il principale interlocutore per le famiglie con figli autistici. Tuttavia, oggi, anche con il conforto di ricerche aggiornate, ci si è resi conto che altre discipline, anche non precipuamente di formazione medica classica, hanno raggiunto una considerazione di competenza importante quali la psicologia, la sociologia, la filosofia, l’antropologia, la pedagogia. Senza fare per questo delle disquisizioni accademiche si deve dire che tuttora l’autismo rimane un mistero avvolto da molti dati che contribuiscono a darne una descrizione e un approccio terapeutico ancora non risolutivo. Il fatto che teorie e ipotesi scientifiche di pochi anni fa appaiono improponibili, suggerisce quanta strada ancora da percorrere ci sia per conoscerne la causa. Ancora si parla di interventi riabilitativi per le persone autistiche quando ormai è certo ed indiscutibile che l’autismo è una condizione congenita e non una patologia a cui si deve ricorrere con una cura riabilitativa, ma semmai con una maggiore comprensione e considerazione di conoscenza.
Prospettive di comprensione sociale dell’autismo
E’ chiaro oggi che l’autismo deve essere primariamente compreso nelle sue manifestazioni sia da parte scientifica che da parte delle famiglie le quali non debbono essere illuse da soluzioni “riabilitative”, ma orientate a forme di interventi valutati con spirito critico basate sulla comprensione della specifica natura neuro divergente. Soprattutto si deve essere consapevoli che rappresentazioni mediche, diagnosi e trattamenti non prendono forma in maniera indipendente dalla società di contesto, dalle pratiche culturali o dalle ideologie dominanti. La nostra società è fortemente dominata da valutazioni meritocratiche, da considerazioni binarie (sano/malato o abile/disabile). E’ un contesto di vita basato sull’”abilismo” che è di fatto uno stigma sociale che si applica ad ogni persona e in ogni situazione di relazione (la scelta del medico la si fa in termini di abilità, come anche la scelta degli amici, dei compagni/e, della scuola, dell’università, ecc.). Questo approccio porta a considerazioni di disvalore verso i disabili, dato che la disabilità è considerata un “difetto” sociale da correggere. Questa presa di posizione è stata fortemente criticata nel campo delle scienze sociali (si veda il sito dell’Università di Stanford relativamente a Critical Disability Studies) dove la disabilità tende invece ad essere inquadrata prima di tutto come uno degli innumerevoli aspetti della varietà umana, al di là delle difficoltà, dei limiti e delle sofferenze che possono caratterizzare questa condizione.
Pur nella diversità delle situazioni e per fare esempi calzanti delle nuova filosofia all'approccio umano (sempre che Vannacci ce lo permetta), una visione filosofica ed antropologica simile per i principi ispiratori queer dato che comunemente i principi ispiratori sono quelli di sviluppare una visione politica (non partitica), relazionale e fluida delle identità, incluse quelle neurologiche. Nel caso dell’autismo, è chiaro come esso si definisca necessariamente in relazione a idee dominanti di normalità e abilismo, idee che riguardano chiunque, e non solamente chi ha ricevuto una diagnosi di autismo. L’autismo è vissuto all’interno di relazioni sociali (in primis nella famiglia e nella scuola), poiché non si tratta esclusivamente di un attributo, di un soggetto, ma come altre categorie identitarie (genere, sessualità,disabilità) prende forma anche attraverso eventi, azioni, incontri, discorsi.
Fra la vita liquida degli individui postmoderni e l'identità fanatica di chi non sopporta il diverso, si impone il desiderio di una nuova forma di relazione dal momento che non abbiamo più l’autorità di un tempo e non la rimpiangiamo, fieri della nostra autonomia e insieme consapevoli della nostra indigenza smascherata ogni presunzione, ci interroghiamo nuovamente sul senso dell’educazione. Abbiamo la necessità di inventare un altro rapporto con il diverso. Ginzburg N. Le piccole virtù. Einaudi, 1998.
Si comprende quanto sia difficile da parte delle famiglie comprendere ed accettare discorsi tanto complessi come quelli sinora svolti. Come caregiver familiari (genitori, fratelli, nonni, e ogni altro componente familiare) abbiamo la necessità di avere un aiuto sostanziale dai servizi sociosanitari pubblici e privati del nostro paese sostanzialmente per divenire esperti nel modulare l’educazione speciale di cui ha bisogno nostro figlio con autismo innanzi tutto sentendoci membri della comunità autistica con serenità come gruppo di persone che vive e dialoga quotidianamente con questo modo di essere. Dobbiamo esprimere una capacità fluida e non di rabbia esistenziale per i mille impicci che avremo nel colloquio con operatori, insegnanti e amici, sostanzialmente loro davvero “disabili” nella comprensione della neurodiversità perché dobbiamo essere consapevoli che a noi è chiesto di andare oltre le diagnosi, oltre gli stigmi, oltre le barriere dato che a noi premono i percorsi di inclusione e identificazione che vadano al di là delle diagnosi e che si esprimano in un rapporto genitoriale di dedizione e di sostegno di colui che oggi è un bambino e domani, quando noi non ci saremo, un adulto autistico autonomo capace di dare un senso alla sua vita.
per leggere la bibliografia consultata aprire questo link